L’illusione di EuroStack: una visione fallace della sovranità digitale europea

| 12/05/2025

Il White Paper recentemente pubblicato su EuroStack si propone come una strategia per raggiungere la sovranità digitale europea. Con slogan altisonanti come “Buy European”, “Sell European” e “Fund European”, il documento si presenta come un manifesto per l’emancipazione tecnologica dell’Europa. Ma a un esame attento rivela una miscela preoccupante di vaghezza, contraddizioni e opportunismo politico: non una strategia, ma l’illusione di averne una.

Partiamo dalla contraddizione più evidente: mentre il rapporto denuncia la dipendenza europea dai servizi cloud e AI americani – citando una perdita di valore di 264 miliardi di euro – molte delle organizzazioni promotrici di EuroStack continuano a fare affidamento proprio su questi servizi. L’ironia non è solo evidente, è devastante. Non si può proclamare la sovranità con un megafono mentre si implementa con gli strumenti altrui.

Ugualmente problematica è l’ambiguità al centro della proposta principale. Che cosa significa esattamente “Buy European”? Una società è considerata europea in base alla sede legale, alla struttura proprietaria o alla localizzazione dei dati? Senza una definizione chiara, il termine si riduce a uno slogan politico privo di fondamento operativo o legale. Ancora peggio: rischia di violare le regole del WTO e di compromettere la credibilità dell’Europa come partner commerciale trasparente e aperto.

Il White Paper soffre inoltre di una grave carenza di dettagli attuativi. Invoca l’incentivazione della domanda, una maggiore visibilità per le soluzioni digitali europee e una nuova cultura negli appalti digitali pubblici, ma non offre meccanismi, tempistiche né soggetti responsabili. La governance è trattata come un dettaglio secondario, quando dovrebbe esserne il fondamento. Chi è responsabile dell’attuazione di EuroStack? Quali incentivi allineano azione pubblica e privata? Il silenzio su questi temi è rivelatore – e pericoloso.

Vi è poi una dimenticanza ancora più profonda, di natura etica e sociale: enfatizzando un’identità digitale europea definita in modo ristretto – come nel caso del portafoglio di identità digitale EUDI – si rischia di costruire infrastrutture che escludono migranti, popolazioni mobili e gruppi marginalizzati. La vera sovranità digitale è inclusiva, non esclusiva.

Se l’Europa vuole davvero conquistare l’indipendenza digitale, deve andare oltre gli slogan. Deve finanziare infrastrutture cloud e AI europee su larga scala, sostenere standard aperti che favoriscano l’interoperabilità tra paesi, e introdurre incentivi all’innovazione che non puniscano la cooperazione globale. Gli appalti pubblici devono premiare la trasparenza, l’affidabilità e il merito tecnico – non solo l’origine geografica.

E diciamolo con chiarezza: la forza digitale dell’Europa non può nascere dall’isolamento. A differenza degli Stati Uniti, che beneficiano di un mercato linguistico e normativo omogeneo, capitali abbondanti e consolidamento delle piattaforme, l’Europa è frammentata per natura. Questa è una sfida, ma può anche diventare una forza, se gestita con intelligenza. Un’Europa digitale vincente emergerà non dalla chiusura, ma dalla collaborazione intelligente tra Stati membri, settori e partner internazionali.

L’Europa ha il talento, la competenza regolatoria e i valori democratici per diventare leader globale nell’innovazione digitale etica e sicura. Ma per realizzare questo potenziale serve una strategia fondata sul realismo, sulla trasparenza e sul coraggio. EuroStack, così com’è oggi, non offre nulla di tutto ciò. L’Europa merita una visione migliore, più audace e più onesta.

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