Chi è nato tra la fine del secolo scorso e l’inizio del nuovo, in grandissima parte sta facendo le proprie esperienze quotidiane insieme a computer e smartphone. I ragazzi e i giovani sono sempre meno in contatto con elementi naturali e sempre più in relazione con oggetti digitali e mondi sintetici. Siamo di fronte a un modo nuovo di fare esperienza nel quale la presenza di entità artificiali che si presentano dietro uno schermo di un PC, di un palmare o di uno smartphone, diventa frequente e realmente influente.
È un’esperienza che combina le scelte del soggetto umano con le scelte di calcolo delle macchine che egli usa. A sua volta, le scelte codificate negli algoritmi sono influenzate dalle esperienze passate di tanti altri soggetti e sono state conservate sotto forma di dati digitali che gli algoritmi ingurgitano ed elaborano per suggerire all’umano consigli, scelte e soluzioni.
Questo nuovo fenomeno antropologico nel quale l’umano si combina con il digitale, si avvia a completare la transizione dalla millenaria esperienza naturale e fisica alla inedita vita artificiale nella quale le cose con cui abbiamo a che fare si presentano in primo luogo dentro immagini e video ed eventualmente, soltanto successivamente e non sempre, sotto forma di persone in carne e ossa, oggetti con una loro rigidità e un loro peso, sentieri impolverati o luoghi inospitali.
I computer hanno ormai letto tutto quello che gli esseri umani hanno scritto e lo hanno fatto nel giro di pochi anni. Si sono nutriti e hanno digerito tutto quanto è stato espresso nella parola scritta, nelle immagini e nei filmati e quindi hanno molte più informazioni di qualsiasi essere umano. Il punto, però, è se quello che conoscono lo sanno anche usare efficacemente e correttamente. Cioè se capiscono come quell’enorme sapere può diventare (buona) azione. Questo passaggio tra il sapere e il fare tante volte avviene, ma in tanti casi non accade e in queste evenienze la nostra esperienza ibrida può generare brutte sorprese, ci mette nei guai per le scelte sbagliate dell’elemento artificiale che usiamo, al quale ci affidiamo.
Questa tendenza si nota già nelle difficoltà che hanno molti ragazzi nell’affrontare il rapporto con la realtà, nell’incontro con le altre persone, a scuola, nell’assunzione di responsabilità, nel gestire con accortezza i contrasti quotidiani. Sono donne e uomini nati in un mondo già permeato da dispositivi digitali, da app e social media. Quando vedono qualcosa di interessante la prima cosa che pensano è di fotografarla e di condividerla. Non osservano più la realtà con i loro occhi, ma attraverso la telecamera dello smartphone e anche nei loro dialoghi e nelle decisioni sono portati a farsi condizionare dalle loro protesi digitali.
L’artificiale informatico spesso si presenta più semplice, più malleabile, più piacevole e l’esperienza consumata nel mondo digitale, nella vita online, diventa per molti un surrogato desiderabile. Questo desiderio indotto dalla tecnologia rende le esperienze naturali più faticose, meno attrattive, a volte da rifiutare in toto. Il fenomeno in forte crescita degli hikikomori, i cosiddetti “ritirati sociali”, tristemente lo dimostra, come descritto in un recente studio del CNR condotto tra gli adolescenti italiani.
Questo percorso verso l’artificiale, seppure già abbia raggiunto confini che richiedono riflessioni attente, non si fermerà. Dopo i sistemi di intelligenza artificiale generativa, una nuova frontiera dell’esperienza si annuncia. È quella della physical AI che si occupa di usare algoritmi per agire direttamente sul mondo fisico. Combina la potenza dell’IA con dispositivi fisici, come robot, sensori e sistemi autonomi, per compiere azioni nel mondo reale e creare nuove artefatti.
Questa nuova forma di intelligenza artificiale non si limiterà a elaborare dati e prendere decisioni, ma agirà anche nel mondo delle cose, interagendo con materiali, strumenti e macchinari per creare, modificare e comporre oggetti fisici. Un esempio tipico potrebbe essere rappresentato da robot dotati di IA utilizzati per costruire o assemblare prodotti, oppure dalla stampa 3D intelligente, dove gli algoritmi di intelligenza artificiale costruiscono manufatti complessi in autonomia. In questi casi, i sistemi di IA fisica combinano capacità cognitive e operative per “fare le cose”, in maniera simile a come le farebbe un artigiano, ma con maggiore precisione e velocità.
Tutto questo ci deve spingere a comprendere molto bene le tecnologie “intelligenti” avanzate che tutti usiamo. Non possiamo affrontarle e utilizzarle con approcci da utenti superficiali che non comprendono le loro funzioni e la loro potenza. Le tecnologie digitali stanno plasmando il nostro futuro e per continuare a esserne protagonisti occorre conoscerle, costruirle e usarle con la necessaria competenza. Per fare ciò, serve educazione, preparazione e visione culturale sul futuro che ci attende. L’alternativa a tutto ciò sarà un futuro dominato dall’artificiale nel quale gli spazi di azione e di libertà dei cittadini saranno definiti dalle tecnologie e dai loro proprietari.