La nuova sfida di OpenAI: un browser conversazionale basato sull’intelligenza artificiale

Giovanni Di TrapaniGiovanni Di Trapani
| 13/07/2025

OpenAI, la società che ha inaugurato l’era dei modelli linguistici generativi con ChatGPT, si prepara a compiere un nuovo passo strategico: il lancio di un browser conversazionale basato sull’intelligenza artificiale.

Una mossa che non mira soltanto a entrare in competizione con Google – dominatore storico della ricerca online con Chrome – ma che ambisce a riscrivere il modo stesso in cui interagiamo con il web, sostituendo la logica del link con quella della conversazione.

Il nuovo browser, attualmente in fase di sviluppo avanzata, non si limiterà a visualizzare pagine o a suggerire risultati in base a una parola chiave. Al contrario, promette di integrare agenti IA proattivi capaci di eseguire azioni per conto dell’utente: prenotare un hotel, confrontare offerte, scrivere un reclamo o persino interpretare una normativa.

Un’interfaccia conversazionale, simile a ChatGPT, diventerà l’ambiente in cui si svolge l’intera esperienza di navigazione.

Siamo di fronte a una svolta profonda, che non riguarda solo l’efficienza o la comodità d’uso, ma l’architettura cognitiva della rete. La ricerca diventa dialogo, l’intenzionalità dell’utente si fonde con l’azione dell’agente, la personalizzazione si fa predizione. E con essa, emergono interrogativi etici di grande portata. Il primo riguarda la trasparenza. Su quali basi l’agente IA formula risposte, compie scelte, seleziona fonti? La logica degli algoritmi sarà accessibile all’utente o resterà confinata nel dominio opaco della “scatola nera”?
Il secondo tocca la responsabilità: se l’agente sbaglia una prenotazione, invia dati errati o compie un’azione indesiderata, chi risponde dell’errore? L’utente, l’azienda, il modello? 

Ancora più delicata è la questione della giustizia cognitiva: i sistemi di AI, quando personalizzano l’esperienza, possono rinforzare bias culturali, ideologici, economici, escludendo prospettive alternative o marginali. In altre parole, la personalizzazione algoritmica rischia di costruire un mondo su misura che conferma ciò che già pensiamo, indebolendo il dissenso, la complessità, il confronto.

Infine, si apre una riflessione sull’autonomia digitale: quanto spazio resta alla volontà dell’utente quando l’agente IA anticipa ogni bisogno? Dove si colloca il confine tra assistenza e delega, tra supporto e disabilitazione dell’intenzionalità?

OpenAI sta tracciando una nuova rotta, potente e promettente. Ma in questo passaggio, la tecnologia non è neutra: è un artefatto culturale che definisce nuove forme di potere e influenza.

Ed è proprio ora, nel momento in cui si dischiude il futuro della navigazione digitale, che dobbiamo esercitare il nostro sguardo critico, etico e democratico. Non per fermare il progresso, ma per orientarlo. Non per avere meno intelligenza artificiale, ma per avere più umanità dentro e intorno a essa.

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