La continuità invisibile: cosa manca ANCORA a GPT5

Giovanni Di TrapaniGiovanni Di Trapani
| 09/08/2025

L’arrivo di GPT-5 ha innescato, come da copione, un’ondata simultanea di entusiasmi e timori. È il destino di ogni nuova iterazione tecnologica di rilievo: essere salutata come uno spartiacque, alimentata da un marketing capace di suscitare attese vertiginose e da narrazioni seducenti, spesso intrise di filosofie pop autoreferenziali. Ma se il dibattito pubblico si concentra sul salto prestazionale, il vero nodo rimane altrove.

Per quanto questi modelli generativi abbiano affinato la capacità di produrre testi fluidi, plausibili e contestualmente adattivi, la loro struttura di funzionamento resta fondata su correlazioni linguistiche, non su una comprensione autentica del mondo. È un punto cruciale: ciò che leggiamo come discorso articolato è in realtà il risultato di una previsione statistica sulle sequenze di parole, non l’esito di un ragionamento o di un’esperienza.

Il tema diventa ancora più sensibile quando si affronta il passaggio dall’uso conversazionale alla cosiddetta agentificazione: l’impiego di sistemi autonomi in grado di prendere decisioni e compiere azioni. In questo scenario, due condizioni si impongono come imprescindibili: l’affidabilità delle valutazioni prodotte e la fiducia nella delega. La prima è questione di metodo: criteri verificabili, riproducibili e coerenti che permettano di sottoporre i risultati a verifica indipendente. La seconda è una conseguenza della prima: senza affidabilità, la fiducia si riduce a un atto di fede, non a una scelta razionale.

È qui che si annida la continuità del problema. Non si tratta di chiedersi se GPT-5 sia “più intelligente” di GPT-4, ma se i criteri con cui forma i propri giudizi siano effettivamente accessibili, auditabili e stabili nel tempo. In assenza di queste garanzie, la delega decisionale non è un progresso funzionale, bensì una scommessa opaca.

La questione, in fondo, è duplice. Da un lato tecnica: occorrono strumenti di audit e benchmarking che vadano oltre la semplice performance linguistica e misurino la coerenza epistemica dei processi, ossia la capacità del sistema di mantenere un rapporto costante e trasparente tra dati di partenza, ragionamento simulato e risposta prodotta. Dall’altro culturale: dobbiamo educarci a chiedere come un’affermazione sia stata prodotta, non limitarci a valutare quanto bene sia scritta.

GPT-5 segna un avanzamento rilevante sul piano ingegneristico, ma la direzione di marcia complessiva non muta. La vera sfida non è misurare la velocità, la creatività apparente o la brillantezza retorica della macchina: è stabilire criteri solidi per decidere quando — e soprattutto se — sia opportuno delegare a essa una porzione della nostra capacità di giudizio. In assenza di questi criteri, l’innovazione rischia di trasformarsi non in uno strumento di emancipazione, ma in una sofisticata macchina di suggestione.

Barberio & Partners s.r.l.

Via Donatello 67/D - 00196 Roma
P.IVA 16376771008

Policy
Privacy Policy
Cookie Policy
Termini e Condizioni
iscriviti alla nostra newsletter
Questo sito è protetto da reCAPTCHA e la Informativa sulla Privacy di Google, nonché i Termini di Servizio sono applicabili.