Quando la rappresentanza e l’esercizio del potere vengono identificati in un capo spesso insostituibile si ha il cesarismo. Questa deformazione della democrazia ha contagiato i dispotismi di destra e di sinistra. Non si può dire ne siano esentati partiti sovranisti (Fratelli d’Italia, Lega, Cinque Stelle).
Plateale è il caso della Lega. Il suo segretario, Matteo Salvini, è una sorta di irrefrenabile e sfasciacarrozze. Grazie alla sua gestione, il partito creato da Bossi e Maroni da un picco di oltre il 30% dei consensi è scivolato verso l’8-9%. Ha, dunque, cessato di essere un’organizzazione politica di massa per vegetare come il Psi, cioè un partito (quasi) di opinione.
Nessun organo della Lega ha mai pensato di riunirsi per de-legittimare Salvini e tantomeno discutere i risultati (sempre pessimi) delle elezioni. E’ ormai da circa un decennio che il boss lombardo risulta una boccia (quasi) persa, cioè soccombente. Nessuno lo rileva.
Eppure è la costituzione repubblicana a sancire il principio per cui i partiti (al pari dei sindacati) debbono essere governati al proprio interno secondo principi democratici. E’ tale la Lega (ma non solo la Lega) dove il segretario escoria, affonda, azzera progressivamente la grande messe di consensi, ma non ha il pudore elementare di dimettersi?
E’ di tutta evidenza che gli organi interni non funzionano democraticamente. Non sono, infatti, in grado di mettere fine o arginare questa mistica salviniana. Egli non si sente un operatore politico fallito, ma un eroe intangibile.
La situazione è, dunque, la seguente: Salvini non se ne va, né lo si può cacciare anche se da oltre dieci anni non ne azzecca una.
Questa malattia non è stata curata e neanche contenuta. La sua metastasi ha, infatti, contagiato anche il maggiore partito della sinistra, cioè il Pd.
Sul fascicolo bolognese del Corriere della Sera il 25 febbraio, a tutta pagina, si è potuta leggere questa dichiarazione solenne (e disperata) del sindaco Matteo Lepore: “Macchina del fango contro di me”.
Francesco Rosano, il giornalista, in tre pagine riporta gli argomenti che inducono l’inquilino di Palazzo D’Accursio a sentirsi una vittima innocente, invece che il maggiore responsabile dell’aura di malgoverno da cui comincia ad essere affetto il capoluogo emiliano.
Quel che Lepore ama chiamare, con un lessico da piccolo dio ferito, macchina del fango sono i giornali, soprattutto i social, insieme ai sindacati (a cominciare dai suoi compagnucci della stessa Cgil), i gruppi di manifestanti. Per la prima volta nell’ex capitale del comunismo occidentale, un sacco di gente grida a squarciagola che l’operato del sindaco proprio non gli va giù.
Che cosa ha commesso questo cinquantenne di tanto indigesto? Ha fatto tralignare l’indignazione non solo della destra, nella persona del suo maggiore contestatore (il presidente del gruppo parlamentare di Fratelli d’Italia, Galeazzo Bignani), ma, addirittura, quella del popolo di sinistra, che alzerà la voce contro il potere rosso della mitica e leggendaria Bologna.
“Biglietti dell’autobus da 1,50 a 2,30 euro. No! Grazie”
Con questo slogan diretto e tagliente, alle h 14,30, in piazza XX settembre, il primo marzo (data dell’entrata in vigore delle nuove tariffe del bus stabilite dal Comune di Bologna) sfileranno verso Palazzo d’Accursio sindacati di base, collettivi, comitati cittadini, ecc.
In un documento hanno denunciato di voler “fermare governo e Comune, che vogliono scaricare i costi di privatizzazioni e inflazione sulle tasche di lavoratrici, lavoratori e sugli abitanti dei quartieri e della provincia”.
La Regione ha contribuito a terrorizzare la popolazione, in particolare il ceto medio di una delle città più prospere d’Italia. Entro marzo sui ticket sanitari introdurrà, per la prima volta, un contributo anche per quei farmaci da ricetta rossa (l’antibiotico per esempio).
A pagarlo saranno le famiglie con una fascia di reddito superiore ai 35 mila euro lordi. Ma la stessa manovra reguionale ha fissato a 28 mila euro lordi la soglia oltre la quale gli aumenti dell’addizionale Irpef diventano operativi.
Massimo Bussandri, segretario regionale della Cgil, ha inviato al suo compagno di partito, Michele De Pascale (neo Presidente della Regione Emilia-Romagna) e all’assessore alla salute Massimo Fabi, un avvertimento non ambiguo: ”Non accetteremo che a pagare siano i soluti noti, perché l’83% del carico fiscale alla fine è addosso a lavoratori dipendenti e pensionati che già fanno fatica”.
Ma il Corriere della Sera dispone, finalmente, di un capo-redattore di cronaca, Olivio Romanini, che la città la conosce meglio del sindaco Lepore. Può, quindi, tranquillamente scrivere: ”A Bologna, una delle città più ricche d’Italia, circa il 45% dei contribuenti dichiara cifre inferiori ai 20 mila euro di imponibile, tre su quattro stanno sotto i 30 mila euro.”
Finalmente si scoprono le tombe. L’ampiezza dell’evasione fiscale nella rossa Bologna è diventata oggetto di cronaca. Ad opera di un giornalista con la schiena ritta e non dei salamelecchi del sindaco e del presidente della Regione.
L’accusa mossa personalmente al sindaco è di vivere in una torre d’avorio e di non volere aprire “un reale confronto democratico con la cittadinanza”. Quella mossa al Comune è di voler aumentare il biglietto “per coprire le scelte sbagliate del Tper” e usare questa voce di bilancio “per fare cassa”.
Nato e vissuto nei laboratori (partito, quartiere, cooperative, consiglio comunale ecc. ) dell’elite politica comunista, Lepore rappresenta qualcosa che a palazzo d’Accursio non si era mai vista. E’, infatti, un signore ciarliero e assai arrogante, censore impenitente, esperto orgoglioso e polivalente. Ogni giorno che dio comanda ama dispensare consigli, muovere critiche urticanti, imporre assiomi e verità su ogni aspetto della vita terrena e divina. Dal come si stabilizza la mobile (anche se non sismica) Torre Garisenda ai processi per la strage del 2 agosto, dall’esternazione in piazza della bandiera palestinese (e solo dopo molte critiche isserà quella di Israele) alle lezioncine cominterniste sul fascismo ecc.
A tacere sono gli assessori della Giunta felsinea. Non hanno nulla da dire o hanno delegato anche il diritto di respirare ad un gran chiacchierone come il sindaco?
I peccati di Lepore non sono di gola. Non ha timore di enumerarli egli stesso insieme al giornalista della cronaca bolognese del Corriere della Sera: l’aumento del 50% (cioè fino 2,30 Euro) del costo del biglietto del tram e della sosta per le auto, i rincari per i dehors, la limitazione a 30 km della velocita’ del trasporto pubblico e privato nell’area del centro. Non si dice mai, cioè si omette, che questa misura fa aumentare l’inquinamento di chi viaggia e anche, se non soprattutto, il costo delle corse per la loro lentezza.
Uno stress di massa sono le insopportabili e infinite file indiane che turisti e cittadini debbono fare ogni ora del giorno. Il sindaco e la sua Giunta li hanno insaccati nei cunicoli aperti dai molti cantieri per rimettere in auge i vecchi canali su cui Bologna è costruita, mettendo a dura prova la sicurezza idraulica del capoluogo dell’Emilia Romagna. Come se non bastasse si è deciso di mettere mano a una di quelle grandiose opere che una volta si sarebbero chiamate opere di regime, cioè la costruzione di un sistema tramviario di trasporti che in diversi punti della città integri la dotazione dei bus. L’obiettivo è far sì che i posteri possano ricordare che la giunta comunale di Lepore “con il tram, il servizio ferroviario metropolitano e i bus … saranno il nuovo simbolo della città.”
Sull’idea di rendere il trasporto pubblico locale, e il biglietto, più accessibile al territorio di tutta la Città metropolitana, bisognerà aspettare anni. E’ il destino della favole per diventare realtà.
Invece che a un favoloso metrò, un predecessore di Lepore, Renato Zangheri, negli anni Settanta, si era speso più cautamente. Costruì una vera e propria leggenda pubblicitaria, che chiamò ”la città degli autobus gratis”. Lepore ha avuto la bontà di incorniciarla definendola “un simbolo” .
Si trattò, per la verità di una follia che fu rapidamente messa come robavecchia in garage. Ci si rese conto che dal costo del biglietto era esentato anche chi disponeva di redditi altolocati.
A impressionare è che in una città diventata meta privilegiata delle fiere e di centinaia di migliaia di visitatori, anche stranieri, continui ad essere dominante una vecchia e insopportabile piaga: cioè la scarsità dei servizi di trasporto pubblico e privato dall’aeroporto. Al pari dei suoi predecessori la resa del Comune alla corporazione dei tassisti come alle esigenze dei commercianti è completa.
E’ quasi impossibile muoversi nelle vie intorno a Piazza Maggiore, cioè del centro. Sono infestate di tavole, tavolini, sedie per servire cibi freddi e caldi a orde di visitatori che restano perplessi sulla mediocre e prorompente qualità imbandita.
La denuncia degli stessi commercianti non lascia dubbi: ”I cantieri del tram pesano quotidianamente sulla spalle della comunità e il servizio di trasporto pubblico, inutile nasconderselo, riversa puntualmente le sue difficoltà sui passeggeri”.
Non meno sconcertante è che nella mappa del sistema infrastrutturale e dei trasporti non sia stata prevista nessuna fermata alla stazione ferroviaria. Si contano ormai a milioni le folle che si servono anche dei treni, oltrechè dei bus, per entrare e uscire dalla città.
Di fronte a questa massiccia levata di scudi la reazione del sindaco Lepore è quella classica dei comunisti: “C’è tanta disinformazione, una macchina del fango che ha l’obiettivo di coprire le città democratiche”.
Come dicono a Napoli, “maestà, fammo li giochi?”.