Le parole pronunciate dal nuovo Vicepresidente americano Vance a Monaco di Baviera, a meta’ febbraio, urtano noi europei, ma non possiamo limitarci a rigettarle d’impulso, sia perché vengono dalla superpotenza occidentale, sia perché l’Europa presta il fianco alle critiche.
Possiamo osservare che sono parole contraddittorie, laddove l’appello a rispettare la volontà popolare viene dalla parte che reagì alla vittoria elettorale di Biden strizzando l’occhio agli assaltatori di Capitol Hill, o quando Vance combatte l’ideologia auto-distruttiva dell’Occidente che va sotto il nome di cancel culture rovesciando le parti e dunque scimmiottandola, invece di metterne in luce l’incomprensione della storia, il manicheismo e la supponenza. Tuttavia, non possiamo fermarci neanche a rilievi di questo tipo.
La dottrina che ha (ri)portato al potere Trump possiede un certo grado di appeal nei confronti delle opinioni pubbliche europee, e infatti a loro si rivolge apertamente, incurante di commettere ingerenze negli affari interni dei Paesi alleati.
L’UE sembra paralizzata mentre il discorso di Vance, sebbene venato di orgoglio imperialistico che nella nostra epoca può fare presa tra i cittadini statunitensi ma non più tra gli europei, contiene risposte a problemi che si pongono su entrambe le sponde dell’Atlantico. Spese militari e immigrazione clandestina sono punti dolenti più per l’UE che per gli USA, anzi. Il rapporto fra classi dirigenti e popolo o le prospettive delle nuove tecnologie della comunicazione sono questioni critiche per tutti. Passiamole brevemente in rassegna.
La difesa costa. Sono decenni che gli europei lesinano sulle spese militari e che gli Stati Uniti suppliscono nell’ambito della NATO, ma si lamentano della situazione, il che è comprensibile. Gli europei sono riluttanti a spendere per armamenti non solo a causa degli oneri finanziari che ne derivano, ma pure perché sono molto meno propensi degli americani ad impegnarsi militarmente.
Premesso questo, però, il richiamo di Vance ad aumentare la spesa militare stride con il sacrificio dell’Ucraina negli accordi che Usa e Russia stanno invece cominciando a stringere, escludendo proprio i diretti interessati. A che pro gli europei dovrebbe aumentare le spese militari se non per proteggere Paesi aggrediti quali l’Ucraina, di cui invece la nuova amministrazione Usa si fa beffe?
Le migrazioni di massa, dal punto di vista europeo, possono essere un’opportunità, date le altrimenti brutte prospettive demografiche, o una disgrazia, se l’integrazione degli immigrati funziona male. L’immigrazione clandestina è ovviamente molto meno gestibile di quella regolare. Vance, che parla dei fenomeni migratori omettendo l’aspetto demografico, mette il dito nella piaga rilevando le difficoltà dell’integrazione e le resistenze da parte di strati della popolazione europea i quali, per come vanno le cose attualmente, ne sono danneggiati piuttosto che beneficati. Peraltro, egli strumentalizza la questione presentando l’immigrazione di masse di disperati inermi alla stregua di un’invasione ad opera di un esercito nemico. Ignorare le tensioni non si deve, ma contribuire a esasperarle neppure.
Sul piano politico-istituzionale, Vance (e non solo lui) fa confusione tra il populismo -termine ipocrita cui si ricorre per non dire demagogia-, e la democrazia. Il suo motto è: <<embrace what your people tell you (…) even when you don’t agree>>. In realtà questa è l’essenza della demagogia, non è democrazia. Democratico è colui che ha le proprie posizioni e, davanti a quelle che disapprova, ne riconosce la legittimità senza ricorrere a scorrettezze per neutralizzarle, neppure quando si trova in minoranza, ponendosi però all’opposizione invece di aderirvi opportunisticamente.
La voce della gente conta? Certo, ma di tutta la gente, non solo di quella dalla nostra parte; in democrazia la maggioranza vince, sicché è un errore scambiare la libertà di espressione -invero ampia nei Paesi europei, ben più che in altre aree del mondo- con il diritto di prevaricare su governi eletti per realizzare altri programmi.
Alle conferenze internazionali sulla sicurezza, quali quella di Monaco, partecipano i governanti e non i loro oppositori interni, piaccia o non piaccia a Vance: a sua volta l’amministrazione Trump, quando verrà il suo turno, non sarà in dovere di invitare la controparte democratica che rappresenta il 48,3% degli americani (molto più di AFD in Germania). Il paragone tra Greta Thunberg e Elon Musk non regge: a prescindere da mille altre considerazioni, Thunberg non ha dato precise indicazioni di voto, Musk sì.
La questione delle nuove tecnologie della comunicazione è connessa a quella della democrazia. L’enorme potere propagandistico mondiale degli strumenti posseduti da pochissimi soggetti, primo fra tutti Musk, nonché la facilità con cui essi possono veicolare fake news e alterare così gli orientamenti elettorali, rendono necessaria una disciplina.
Vance, bontà sua, ammette che è un male se la Russia compra spazi sui social media per influenzare le elezioni altrui, ma minimizza e, peggio ancora, si dimentica di chi non ha bisogno neppure di comprare perché è il padrone. I giganti del Web e dei social media sono giovani, ma purtroppo hanno già dato esempi di manipolazioni e censure arbitrarie. Il mondo nuovo vagheggiato da Vance, con la sfrenata licenza di intrusione, inganno e condizionamento psicologico per mezzo di lavaggi del cervello cui le nuove tecnologie sanno conferire un’efficacia senza precedenti, somiglia all’incubo romanzato da Huxley.