In un momento in cui l’Europa vuole correre verso l’intelligenza artificiale e una connettività di nuova generazione, rischia di inciampare riscrivendo da zero le regole digitali.
Con il Digital Networks Act (DNA), la Commissione Europea punta a trasformare radicalmente il quadro normativo delle telecomunicazioni. Ma è lecito domandarsi: serve davvero un nuovo regolamento? O stiamo rischiando di creare più confusione che progresso?
L’obiettivo del DNA è ambizioso e condivisibile: semplificare la normativa, migliorare la gestione dello spettro radio, garantire una concorrenza più equa tra operatori di rete e piattaforme digitali, rafforzare la fibra ottica e armonizzare l’azione delle autorità nazionali ed europee. Ma quando si guarda più da vicino, emergono molti interrogativi su tempi, metodo e reali benefici della proposta.
Un sistema giovane che merita fiducia
L’attuale sistema, il Codice europeo delle comunicazioni elettroniche (EECC), è stato approvato solo pochi anni fa. Non è ancora stata condotta una valutazione seria dei suoi effetti. In questo contesto, smantellarlo a favore di una nuova normativa generale appare prematuro e rischioso. Un cambiamento così radicale potrebbe generare incertezza per aziende e investitori, proprio mentre l’Europa ha bisogno di stabilità per attrarre capitali e realizzare reti all’avanguardia.
Semplificare sì, ma con metodo
Unire in un solo testo regolamenti diversi – dall’EECC al Regolamento su Internet Aperto fino ai regolamenti BEREC – può sembrare una semplificazione, ma non garantisce di per sé maggiore chiarezza. Ogni normativa ha origini, obiettivi e ambiti diversi. Un accorpamento forzato potrebbe generare ambiguità, soprattutto se non accompagnato da una chiara razionalizzazione dei contenuti.
In alternativa, interventi mirati sui singoli strumenti esistenti permetterebbero di mantenere l’equilibrio tra flessibilità e coerenza, senza creare nuovi vuoti normativi.
Attenzione alle specificità locali
Uno dei rischi maggiori del DNA è un’eccessiva centralizzazione. Le autorità nazionali conoscono meglio le realtà del proprio mercato e sanno intervenire dove serve. Un regolamento unico europeo troppo rigido potrebbe non adattarsi a tutti i contesti locali, danneggiando proprio quei Paesi che hanno bisogno di maggiore elasticità per crescere. L’Italia, ad esempio, ha un assetto regolatorio specifico che integra media e comunicazioni: serve attenzione per non creare sovrapposizioni o incoerenze.
Separare le reti dai servizi: la concorrenza parte da qui
Un punto cruciale riguarda il futuro degli operatori di sola infrastruttura – i cosiddetti wholesale only. Questi soggetti si occupano esclusivamente di costruire e gestire le reti, senza vendere direttamente servizi ai clienti finali. Questo modello, sempre più adottato in Europa, si basa su un principio semplice ma potente: separare la gestione delle reti dalla fornitura dei servizi.
Perché è così importante?
Perché la separazione favorisce la concorrenza nei mercati downstream, cioè tra gli operatori che offrono Internet, telefonia, contenuti e servizi digitali al consumatore finale. Se più operatori possono accedere in modo equo e non discriminatorio alla stessa rete, aumenta la possibilità di scelta, si abbassano i prezzi, migliora la qualità e si stimola l’innovazione.
Il modello wholesale only è quindi uno strumento essenziale per garantire pluralismo nei servizi digitali, evitare abusi di posizione dominante e accelerare la diffusione della fibra ottica in modo trasparente e competitivo. Non a caso, questo approccio è stato promosso da diverse autorità nazionali, e rappresenta una risposta concreta alle sfide della transizione digitale.
Il DNA, però, non sembra valorizzare appieno questo modello. Al contrario, introduce incertezze sull’accesso alla rete e sulla regolazione dei rapporti tra operatori. L’idea di imporre un “prodotto standard” europeo potrebbe non solo essere inefficace, ma anche controproducente: rischia di ostacolare proprio quei modelli virtuosi che si stanno affermando sul mercato.
È fondamentale che la nuova normativa non penalizzi chi investe in infrastrutture aperte e neutrali, ma anzi li tuteli e li incentivi. L’Europa non può permettersi di scoraggiare gli investimenti in reti moderne e indipendenti: è proprio da qui che passa la vera concorrenza.
Parità di regole tra operatori satellitari e terrestri
Altro tema delicato è la concorrenza tra chi offre connettività via satellite e chi lo fa attraverso reti terrestri. Garantire una concorrenza leale è fondamentale, ma va riconosciuto che queste due modalità operano in condizioni tecnologiche e regolatorie profondamente diverse. Applicare regole identiche a situazioni disomogenee potrebbe compromettere lo sviluppo di soluzioni innovative.
L’Europa ha bisogno di reti più forti, veloci e affidabili, ma non ha bisogno di una rivoluzione normativa improvvisata. Il DNA nasce con buone intenzioni, ma rischia di trasformarsi in un esperimento costoso e disorientante. Prima di riscrivere tutto, sarebbe più utile – e più saggio – correggere ciò che non funziona. Perché nel mondo digitale, cambiare troppo in fretta può farci perdere il passo anziché guadagnare terreno.
E soprattutto, non dimentichiamoci di chi sta a valle di queste scelte: cittadini e imprese europee, che hanno bisogno di certezze, non di nuove complessità. La vera trasformazione digitale parte da regole intelligenti, non da un salto nel buio.