L’industria europea delle telecomunicazioni ha rispolverato il suo slogan preferito: la necessità di un approccio “lungimirante” alle fusioni per liberare investimenti e innovazione. L’argomento suona convincente, almeno in apparenza. Ma andando oltre la superficie, si scopre che si tratta meno di costruire il futuro digitale dell’Europa e più di proteggere gli incumbent dalle pressioni della concorrenza.
La narrazione è ben collaudata. Si sostiene che l’Europa sia “troppo frammentata”, a differenza degli Stati Uniti o della Cina, e quindi incapace di generare la scala necessaria per il 5G, la fibra e l’intelligenza artificiale. La cura prescritta è la concentrazione nazionale: meno operatori per Paese, margini più alti e, in teoria, più capacità di investire. Ma si tratta di un rimedio illusorio. L’esperienza dimostra che quando i mercati nazionali si consolidano, i prezzi aumentano, gli investimenti rallentano e l’innovazione si inaridisce. Gli oligopoli non costruiscono il futuro.
Il Regno Unito offre un monito. Dopo una serie di fusioni, la concorrenza si è ridotta, ma le promesse di nuovi massicci investimenti non si sono mai concretizzate. I consumatori hanno pagato di più, mentre gli aggiornamenti infrastrutturali arrancavano. L’Europa non può permettersi di ripetere lo stesso errore sotto la bandiera della “scala”.
Il vero ostacolo alle ambizioni digitali dell’Europa non è la frammentazione, ma il rifiuto di completare un vero mercato unico delle telecomunicazioni. Per decenni, gli incumbent hanno resistito all’apertura delle fortezze nazionali, lamentando allo stesso tempo la loro incapacità di competere con i rivali globali. Il risultato è un mosaico di operatori che si aggrappano a confini che nell’economia digitale non hanno più senso.
Se il consolidamento deve servire l’Europa, dev’essere paneuropeo, non nazionale. E questo richiede una riforma strutturale: una chiara separazione tra reti e servizi. Le reti, per loro natura, resteranno nazionali. Ma devono essere gestite come piattaforme wholesale-only, aperte, neutrali e non discriminatorie. I servizi, al contrario, devono poter scalare a livello continentale, offerti senza soluzione di continuità a 450 milioni di cittadini e imprese in un vero mercato unico digitale.
È qui che il Digital Networks Act deve dimostrare coraggio. La tentazione sarà di annacquare la politica della concorrenza in nome degli investimenti. Ma ciò non farebbe che rafforzare ulteriormente gli incumbent. Al contrario, il DNA deve imporre apertura, favorire i modelli wholesale-only e creare le condizioni per la nascita di fornitori paneuropei di servizi digitali.
Né Washington né Pechino hanno costruito la loro forza digitale sugli oligopoli nazionali; l’Europa non dovrebbe illudersi di riuscirci. I mercati finanziari premieranno apertura e scala continentale, non fusioni difensive che bloccano risorse in strutture del passato.
L’Europa non ha bisogno di meno telco; ha bisogno di telco migliori. Non ha bisogno dell’illusione della scala; ha bisogno della realtà dell’apertura. Se soccomberà al miraggio delle fusioni, rimarrà intrappolata nel passato. Se invece abbraccerà la separazione e un mercato unico, potrà conquistare il futuro.
La scelta è netta. Nell’era dell’intelligenza artificiale e della connettività di nuova generazione, l’Europa può o resuscitare i fantasmi dei campioni nazionali, oppure costruire un quadro continentale all’altezza dell’era digitale. La risposta dovrebbe essere ovvia.