Se lo Stato rinuncia oggi al valore delle frequenze, rinuncia anche alla sua capacità di governare il ciclo di investimenti che porterà al 6G, alla mobilità autonoma, alla sensoristica urbana, ai droni industriali e alla sanità connessa. L’Italia non ha bisogno di scorciatoie né di concessioni gratuite. Ha bisogno di regole chiare, investimenti solidi e un rispetto molto più rigoroso per la natura dei beni pubblici.
Nel controverso dibattito italiano sulle telecomunicazioni sta avanzando, non troppo silenziosamente, una proposta che, in qualunque altra economia avanzata, verrebbe liquidata immediatamente come incompatibile con il buon governo.
Di cosa parliamo? Parliamo della proposta di rendere gratuito il rinnovo delle frequenze 5G.
Dietro l’apparente semplicità tecnica di questa idea si nasconde qualcosa di molto più inquietante: la trasformazione di un bene pubblico tanto scarso, quanto prezioso e strategico, in una rendita privata garantita, senza alcuna contropartita per lo Stato e, soprattutto, senza alcuna logica industriale.
Le frequenze radio: una risorsa preziosa che non può essere regalata…
Le frequenze radio, come è a tutti noto, non sono una commodity replicabile a piacimento. Sono una risorsa limitata e, in quanto tali, sono per definizione destinate ad essere amministrate con prudenza e responsabilità.
Considerarle come un “costo da cancellare” (come qualcuno sta sostenendo) o addirittura come un “fastidio regolatorio”, significa ignorare il fondamento stesso di ogni moderna politica infrastrutturale.
In nessun Paese serio si immaginerebbe di azzerare il valore di una risorsa di questa natura. Equivarrebbe ad un abominio ai danni della nostra società, come concedere gratuitamente e senza alcuna ragione plausibile un’autostrada, un porto o una diga a un soggetto privato, nella speranza ingenua (nella migliore delle ipotesi) che tale gesto possa stimolare quegli investimenti che negli ultimi anni non si sono materializzati.
…Una risorsa che non può essere usata in modo distorto
L’aspetto più paradossale è che lo spettro oggi non solo non è utilizzato in modo efficiente, ma viene spesso impiegato in maniera tecnicamente distorta. Bande di trasmissione progettate per la mobilità vengono sottratte al loro scopo naturale e “intrappolate” all’interno delle abitazioni per sostituire la rete fissa (che non è stata fatta), con modem FWA e 5G che occupano in modo permanente risorse nate per muoversi nello spazio.
È una scelta errata, lo diciamo con forza e convinzione, che penalizza la qualità del servizio mobile, indebolisce gli investimenti nella fibra ottica, crea congestione inutile e rappresenta — sotto ogni punto di vista — uno spreco industriale. Ciononostante e paradossalmente, si propone di eliminarne anche il costo delle frequenze, come se l’inefficienza meritasse non una correzione o una penalità, ma addirittura una premialità.
Lo Stato ha già dato tanto per sostenere le Tlc
Tutto questo avviene mentre lo Stato italiano ha già sostenuto gli operatori con una generosità senza paragoni in Europa. Ha finanziato il 100% delle reti in fibra nelle Aree bianche e circa il 70% nelle Aree grigie a fallimento di mercato, oltre ad aver investito miliardi di euro per collegare scuole, ospedali, isole minori, dorsali e territori dove il mercato non aveva alcun incentivo a intervenire (ma sarebbe bello anche misurare i risultati finali di questi investimenti). Tutto ciò per dire che una parte significativa dell’Italia è connessa oggi con reti avanzate non grazie alla capacità finanziaria degli operatori, ma grazie ai soldi del contribuente. E oggi, secondo la stessa infausta logica, sarebbe lo stesso contribuente a dover rinunciare anche al valore delle frequenze.
Le Tlc italiane e le strategie errate
La narrativa secondo cui il settore sarebbe in difficoltà a causa del prezzo dello spettro non trova alcun riscontro nella realtà.
I problemi delle Telco italiane derivano da anni di competizione quotidiana esasperatamente al ribasso, dai ritardi nell’adozione del 5G stand-alone, da strategie commerciali miopi e, per ultimo, da un modello di ricavi ormai inadeguato all’economia digitale, che consiste nella pura vendita dell’accesso senza alcuna offerta di nuovi servizi.
Infine, non esiste evidenza che dimostri che lo spettro gratuito favorisca gli investimenti. Al contrario, quando una risorsa perde valore, si smarrisce anche la serietà con cui viene gestita.
Se guardiamo al futuro, ciascuno deve fare la propria parte
Ma il punto più critico riguarda il futuro.
Se lo Stato rinuncia oggi al valore delle frequenze, rinuncia anche alla sua capacità di governare il ciclo di investimenti che porterà al 6G, alla mobilità autonoma, alla sensoristica urbana, ai droni industriali e alla sanità connessa.
Lo spettro è l’unica leva con cui il settore pubblico può orientare l’evoluzione delle reti digitali. Svalutarlo significa indebolire la sovranità tecnologica del Paese e lasciare che le scelte industriali siano determinate da operatori che, negli ultimi anni, hanno faticato persino a proteggere i propri margini.
Evitare gli errori. Ora il governo scelga con oculatezza
L’Italia non ha bisogno di scorciatoie né di concessioni gratuite.
Ha bisogno di regole chiare, investimenti solidi e un rispetto molto più rigoroso per la natura dei beni pubblici. Regalare lo spettro non sarebbe una riforma: sarebbe un errore irreparabile. Ed è bene che il governo valuti con accortezza le scelte delle prossime settimane sul tema.
