Come rilanciare le telecomunicazioni europee nell’era dell’AI e del Green Deal

| 10/06/2025

Le reti di telecomunicazione non sono più un semplice back office tecnologico; sono la spina dorsale della competitività, della sicurezza e della coesione sociale dell’Unione.

Lo scenario delle reti, dei servizi e del funzionamento di Internet

Prima di analizzare come rilanciare le telecomunicazioni europee, è necessario chiarire il contesto tecnologico e di mercato in cui si inseriscono. Oggi, le reti di telecomunicazione degli operatori tradizionali (Telco) offrono principalmente connettività, ovvero il trasporto dei dati da e verso Internet. Dall’altro lato, le piattaforme digitali (le cosiddette OTT) forniscono servizi applicativi – streaming, social network, realtà aumentata, gaming – che si appoggiano alla connettività offerta dai Telco.

Nel sistema attuale, le reti Telco e le reti Internet sono architettonicamente distinte e svolgono ruoli differenti. Le reti Telco garantiscono l’accesso alla rete, ma non sono progettate per ottimizzare la qualità dei servizi applicativi che vi transitano. Per compensare questo limite, le piattaforme OTT utilizzano da anni tecnologie abilitanti – come Content Delivery Networks (CDN), edge cloud e AI distribuita – che permettono di avvicinare i contenuti e la capacità computazionale agli utenti finali, migliorando prestazioni e affidabilità.

Ridurre la distanza “logica” tra server e utente, attraverso infrastrutture cloud distribuite, è oggi cruciale per garantire servizi a bassa latenza, elevata qualità e sostenibilità economica. Questo approccio consente non solo di ottimizzare le prestazioni, ma anche di ridurre il traffico trasportato sulle lunghe distanze e abilitare nuovi modelli di business.

Tuttavia, i Telco europei sono rimasti ai margini di questa trasformazione. Non hanno sviluppato in modo sistemico piattaforme cloud all’interno delle loro reti, in particolare nella rete d’accesso – l’“edge” più vicino ai clienti. Questa assenza limita le possibilità di monetizzazione, impedisce di offrire nuovi servizi e soprattutto non consente agli OTT di garantire qualità su tutta la catena di erogazione. La conseguenza è un’infrastruttura europea frammentata, poco reattiva e scarsamente valorizzata.

Un divario che si allarga

Finché l’Europa investirà circa 59 miliardi di euro all’anno nelle infrastrutture, contro i 77 miliardi degli Stati Uniti e i 180 miliardi della Cina, il Green Deal e la sovranità digitale resteranno aspirazioni più che risultati concreti.

Oggi la velocità media di download nell’UE sfiora i 120 Mbps. Negli Stati Uniti supera i 200 Mbps, mentre in Corea del Sud arriva a 250 Mbps. Il divario non è soltanto numerico: ogni megabit in meno riduce la produttività delle imprese, alimenta il digital divide nelle aree interne e costringe università, ospedali e PMI a dipendere da fornitori extraeuropei.

Solo poco più della metà delle famiglie europee dispone di una connessione in fibra FTTH/B; in Corea del Sud la copertura sfiora la totalità, in Giappone raggiunge quasi nove su dieci abitazioni. La distanza ha radici precise.

La frammentazione regolatoria crea oltre cento operatori mobili con licenza, nessuno dei quali possiede la scala dei colossi americani o asiatici. Ogni Stato membro gestisce lo spettro in modo autonomo, con aste disallineate che hanno già assorbito più di 25 miliardi di euro per il solo 5G, cifra cinque volte superiore a quella spesa negli Stati Uniti.

Sul fronte della quinta generazione mobile la fotografia è altrettanto impietosa: la copertura europea supera di poco i due terzi della popolazione e, nella maggior parte dei casi, si tratta ancora di reti non stand alone che poggiano su infrastrutture 4G. PwC calcola che il 5G potrebbe generare fino a 113 miliardi di euro l’anno entro la fine del decennio, ma un potenziale non sfruttato resta solo una statistica.

Il nodo del consolidamento

Il vero nodo da sciogliere è il consolidamento. Non a livello nazionale, dove l’Antitrust ha spesso bloccato le fusioni per timore di ridurre la concorrenza, ma su scala europea, dove non vi sono state vere opposizioni dell’Antitrust europeo e dove manca ancora il coraggio politico ed imprenditoriale per costruire operatori con massa critica continentale. Il consolidamento paneuropeo, mai realmente avvenuto, è ciò che separa l’Europa da un’infrastruttura integrata e competitiva. Senza operatori europei in grado di competere con AT&T, Verizon, China Mobile o NTT, resteremo schiacciati tra giganti stranieri e innovazione a intermittenza.

L’intelligenza artificiale cambia le regole del gioco

Intanto l’intelligenza artificiale sta trasformando le telecomunicazioni in reti capaci di autogestirsi: secondo McKinsey, entro il 2028 oltre il 60 % delle operazioni sarà automatizzato, ma oggi appena un operatore europeo su cinque ha avviato una migrazione che utilizza AI.

L’intelligenza artificiale sta già dimostrando di essere un moltiplicatore di valore per le telecomunicazioni. Secondo Accenture, l’automazione delle operazioni di rete basata su AI può ridurre i costi operativi fino al 25% e tagliare del 15% le interruzioni di servizio. Algoritmi di ottimizzazione energetica permettono di spegnere in tempo reale le celle poco utilizzate e di prevedere la manutenzione, con un risparmio medio di 14 gigawattora l’anno per operatore.

Oltre alla rete, l’AI generativa sta rivoluzionando l’assistenza clienti: nel 2024 Vodafone ha gestito più di cento milioni di interazioni tramite chatbot, riducendo il tasso di abbandono del 7%. Telia in Scandinavia ha lanciato una soluzione AIOps che prende decisioni in cinquanta millisecondi. In questo nuovo paradigma, la competitività non dipenderà soltanto dalla densità delle antenne, ma dalla capacità di addestrare modelli che facciano della rete un organismo adattivo.

Una questione di autonomia strategica

Ogni ritardo nella modernizzazione delle reti europee espone l’Unione a una crescente dipendenza tecnologica, sia in termini di hardware che di servizi digitali strategici. La carenza di operatori cloud europei, la frammentazione nei chip e la debolezza nei sistemi operativi mostrano quanto il controllo delle reti sia una leva fondamentale di autonomia. Una rete lenta è anche una rete vulnerabile, non solo economicamente, ma anche sotto il profilo della sicurezza.

Per questo è urgente avviare una nuova stagione di collaborazione tra operatori telecom e grandi piattaforme digitali. Occorre favorire accordi commerciali strutturati tra OTT e operatori di rete sul fronte dell’edge cloud computing, che, come evidenziato nello scenario, consentono di affrontare le criticità relative alla qualità dei servizi sulla rete Internet geografica. Un esempio: molti servizi applicativi come la realtà aumentata a 360 gradi, disponibili a livello locale, non sono utilizzabili su scala geografica perché le reti dei Telco ne limitano la qualità.

La migliore qualità dei servizi applicativi, oltre a favorire lo sviluppo economico e sociale, consente un incremento di fatturato e margine per i Telco e per gli OTT. I Telco possono offrire “Enabling Services” agli OTT e monetizzare le reti VHC verso i clienti; gli OTT, a loro volta, migliorano la qualità e ampliano la gamma di servizi offerti.

I primi segnali di riscatto

Eppure la storia non è fatta soltanto di ritardi. In Germania la rete 5G stand alone di Deutsche Telekom copre ormai oltre due terzi della popolazione, mentre in Spagna l’edge cloud consente a più di cento fabbriche di sperimentare applicazioni a bassa latenza. Il progetto IPCEI “Next Generation Cloud” riunisce dodici Paesi e un centinaio di partner industriali, dimostrando che – quando esistono massa critica, partenariati pubblico-privati e regole chiare – l’Europa sa colmare i propri divari.

Un’agenda europea per il rilancio

Guardando al 2030, l’obiettivo è connettere ogni cittadino e ogni impresa a reti gigabit e ridurre di quasi la metà le emissioni di CO₂ del settore, in coerenza con il Green Deal. Per riuscirci serve anzitutto un vero mercato unico, con una gestione federale dello spettro e licenze armonizzate che aprano la strada ad aste 6G comuni già nel 2026.

Occorre poi facilitare fusioni transfrontaliere, semplificando le procedure antitrust e sfruttando il braccio finanziario di InvestEU per garantire fino a 20 miliardi di euro alle reti cloud native.

Ma soprattutto, la strada europea deve essere quella di continuare a proporre con coerenza il modello wholesale only, separando le società che possiedono e sviluppano le infrastrutture da quelle che operano sul mercato retail. Questo approccio favorisce una concorrenza più trasparente e stimola gli investimenti a lungo termine, evitando conflitti di interesse e distorsioni che rallentano la modernizzazione delle reti. I casi in cui modelli verticali hanno frenato lo sviluppo della fibra o bloccato l’accesso equo alla rete dovrebbero servire da monito.

Un partenariato pubblico-privato sul 6G, dotato di almeno 3 miliardi di euro per ricerca, testbed e standard aperti, permetterebbe di posizionare l’industria europea in cima alla catena del valore. La trasformazione AI-driven passa invece per l’apertura delle API di rete, incentivi fiscali sugli investimenti in automazione e programmi di re-skilling dedicati. Infine, la sostenibilità dev’essere integrata fin dall’architettura: standard europei che impongano un power usage effectiveness sotto 1,3 e co-investimenti, con il sostegno della BEI, in data center alimentati esclusivamente da fonti rinnovabili. Il raffreddamento a liquido, ad esempio, può già tagliare di circa il 40 % il fabbisogno energetico di un impianto.

Serve coraggio politico, non cautela tecnica

Le telecomunicazioni non sono più un comparto da regolatori: sono il motore stesso della trasformazione economica europea. Perdere altro tempo significa ampliare un divario che già oggi costa competitività, posti di lavoro e autonomia strategica. È necessario che il Consiglio e il Parlamento conferiscano un mandato esplicito a unificare il mercato, finanziare l’innovazione e fare delle reti un alleato della lotta al cambiamento climatico.

O scegliamo il coraggio dell’integrazione e dell’innovazione, o condanniamo l’Europa a restare connessa solo al suo passato. Le reti non possono più aspettare: è l’Europa che rischia di disconnettersi.

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