I dispositivi attuali sono sempre più connessi, condividendo una grande mole di dati, sia sensibili che legati alle nostre abitudini. Quali rischi per la nostra privacy? Il caso delle auto smart e le informazioni cedute ai privati come le compagnie assicurative.
L’Internet delle Cose pervade la nostra realtà, anche se non ce ne accorgiamo. E in effetti qui casca l’asino: rischiamo di sottovalutare i rischi per la nostra privacy, minata da dispositivi sempre connessi e che potrebbero tracciare ciò che facciamo o ascoltarci?
Anzitutto, ci sono dei rischi per la vulnerabilità che aumentano di pari passo con gli oggetti collegati al web di cui disponiamo. Attacchi hacker che non solo possono rubare dati sensibili, ma eventualmente anche comandare da remoto, come potrebbe avvenire con la manomissione delle porte di un’auto, ad esempio.
Le normative europee sui dati, i dispositivi connessi e la privacy
In Europa sono state introdotte delle normative specifiche, come il Data Act approvato nel 2023 dalla Commissione Europea e che verrà applicato da settembre di quest’anno. Il regolamento si concentra sull’accesso dei dati, ma anche sul loro riutilizzo e portabilità, in modo da semplificare la gestione e l’utilizzo degli stessi da parte di istituzioni e privati.
Più specifico per i produttori di servizi e dispositivi digitali il Cyber Resilience Act approvato dal consiglio dell’UE lo scorso ottobre. Con questo regolamento già in fase di progettazione bisogna provvedere alla sicurezza del prodotto, così come nel corso del ciclo di vita tramite il rilascio di aggiornamenti specifici. Inoltre con il CRA le aziende sono tenute a riportare qualsiasi vulnerabilità nota dei loro prodotti e garantire una migliore trasparenza. C’è però da dire che al momento queste norme si applicano ai sistemi operativi più che ai dispositivi intelligenti.
La raccolta dei dati delle auto smart
Una falla che ci riporta al punto di partenza: siamo al sicuro con gli oggetti smart della nostra quotidianità, dalla tv all’auto? Parlando appunto dei veicoli, quelli nuovi immessi in commercio presentano una tecnologia tale da tenere traccia delle abitudini di guida dei conducenti. Sono dati come la velocità di marcia, i chilometri percorsi e via andando restringendo la lente, utili per migliorare l’esperienza di guida e la sicurezza (riprendendo il discorso europeo, il regolamento UE2015/758 ad esempio prevede l’implementazione nei nuovi veicoli della tecnologia per chiamare in automatico il 112 in caso di incidente). La cui raccolta sarà sempre più pervasiva andando verso livelli più alti di autonomia.
Il timore degli apocalittici, però, è quello che i vari dati vengano carpiti in maniera strumentale, per essere dati in pasto alle case automobilistiche e alle compagnie assicurative. Un po’ come i social che tengono conto delle nostre abitudini di navigazione per fornirci pubblicità mirate e non solo.
Le chiarezza nelle condizioni della privacy
Una ricerca dello scorso anno realizzata dall’Università australiana del Nuovo Galles del Sud aveva preso in esame le condizioni per la privacy proposte da 15 marchi automobilistici del Paese per i loro prodotti. Le aziende chiedono all’utente di scaricare app specifiche per sfruttare i servizi di connettività legati all’auto, come le telecamere di bordo o la manutenzione, ad esempio del livello dell’olio o della pressione degli pneumatici.
In questo modo però vengono raccolti una serie di dati che esulano dal veicolo in sé, e riguardano le abitudini di guida dell’automobilista. Informazioni poi cedute ad aziende terze. Inoltre i termini e le condizioni sono o troppo complessi o troppo vaghi, non dando una chiara idea di cosa verrà raccolto e che uso verrà fatto.
I rischi per la sicurezza e le incertezze su limiti e uso dei dati
E che dire dei timori degli Stati Uniti legati all’arrivo sul loro territorio delle auto fabbricate in Cina, non solo in termini di concorrenza con i propri marchi ma anche per quanto concerne la sicurezza? Si teme infatti che i veicoli di Pechino possano essere la testa d’ariete per penetrare negli USA spiando dati sensibili degli americani.
I dati sono il petrolio del XXI secolo, e ovviamente fanno gola a molti. Non solo aziende e privati, come abbiamo visto, ma anche Stati. Evitando comunque di alimentare pericolose paranoie, le informazioni raccolte nell’esperienza di guida sono principalmente oggetto di interesse da parte di compagnie assicurative, che possono quindi avere un quadro più preciso del rischio. Ad esempio premi più bassi per autisti con condotte prudenti. Ma i limiti di questa raccolta non sono chiarissimi. E ciò può avvenire senza un chiaro consenso da parte del proprietario dell’auto.
E c’è il rischio che alcuni comportamenti possano strumentalmente essere classificati come rischiosi, ritrovandosi così la brutta sorpresa di premi più alti pur non avendo fatto incidenti. Negli Stati Uniti sono sorte delle class action contro diversi marchi, sia automobilistici che assicurativi, come General Motors, oltre che nei confronti dei broker di dati.
Il fascicolo di indagine aperto negli Stati Uniti
Il procuratore generale del Texas Ken Paxton ha aperto lo scorso giugno un’indagine a seguito di segnalazioni di questo tipo. “La tecnologia nei veicoli moderni consente ai produttori di raccogliere milioni di punti dati sulle persone che li guidano. Negli ultimi tempi i consumatori hanno aumentato le loro preoccupazioni riguardo al fatto che i loro dati di guida vengano segnalati alla loro compagnia assicurativa senza la loro autorizzazione o che ne vengano a conoscenza. Questi resoconti sulla raccolta e vendita invasiva e incontrollata di dati senza il consenso dei consumatori sono inquietanti e meritano un’indagine approfondita e un’applicazione appropriata“, sono le parole di Paxton riportate nel comunicato ufficiale che annunciava l’indagine.
Per evitare comunque spiacevoli sorprese, è sempre meglio leggere nel dettaglio i manuali d’uso, in particolare le parti dedicate alla privacy che solitamente ignoriamo un po’ tutti (o tendiamo a firmare senza troppe attenzioni). Eventualmente rivolgersi direttamente al produttore, e controllare le impostazioni delle app come quelle installate sull’auto.