Digital Sovereignty: l’Europa alla ricerca dell’indipendenza tecnologica dagli Stati Uniti

RedazioneRedazione
| 21/06/2025
Digital Sovereignty: l’Europa alla ricerca dell’indipendenza tecnologica dagli Stati Uniti

Cresce in Europa la spinta verso servizi digitali non americani, tra tensioni geopolitiche, protezione dei dati, concorrenza industriale e rivendicazione di sovranità tecnologica. Ecosia, ProtonMail e piattaforme open-source intercettano un nuovo sentimento politico e culturale.

Il secondo mandato presidenziale di Donald Trump ha accelerato in Europa un fenomeno latente: la disintermediazione volontaria dai servizi digitali statunitensi. A Berlino, come in altri grandi centri urbani del continente, aumentano gli utenti che cercano di disintossicarsi dall’ecosistema tech made in USA. E non si tratta più solo di attivisti o esperti di privacy: sempre più cittadini comuni, professionisti e amministrazioni pubbliche guardano a strumenti alternativi, motivati da fattori che spaziano dalla sicurezza informatica alla difesa dell’autonomia strategica.

La nuova geografia della fiducia digitale

Presso un mercato solidale berlinese gestito dalla ONG Topio, volontari aiutano i visitatori a rimuovere le dipendenze dai servizi digitali americani: sistemi operativi Android privi di collegamenti a Google, e-mail non tracciabili, browser alternativi. “Prima erano solo esperti di privacy. Ora sono persone politicamente consapevoli”, osserva il fondatore Michael Wirths.

L’evidenza di Similarweb conferma il trend: le ricerche verso servizi alternativi come ProtonMail, Signal, Ecosia e Mastodon sono in aumento, in particolare nei paesi dell’Unione Europea. Il dato più significativo: l’utilizzo di Ecosia nell’UE è cresciuto del 27% su base annua, mentre Gmail ha subito un calo dell’1,9%.

Sovranità digitale e tensioni transatlantiche

La crescente diffidenza verso il dominio tecnologico statunitense si lega a un concetto sempre più ricorrente nei documenti europei: la “sovranità digitale”. Una strategia volta a garantire all’Europa il controllo delle infrastrutture critiche, dei dati dei cittadini e delle catene del valore tecnologiche. La rielezione di Trump ha riacceso le tensioni: annuncio di dazi, accuse reciproche di censura e minacce di ritorsioni legali.

Dichiarazioni come quelle del vicepresidente JD Vance – che ha accusato l’Europa di reprimere la libertà d’espressione – e del segretario di Stato Marco Rubio, che ha minacciato funzionari stranieri che regolano le piattaforme USA, hanno aggravato il senso di distanza politica e culturale tra le due sponde dell’Atlantico.

Privacy, infrastrutture e mercato: l’asimmetria sistemica

Dal punto di vista giuridico, uno dei nodi centrali resta la divergenza tra il sistema normativo europeo e quello statunitense in materia di protezione dei dati. Il Cloud Act americano consente al governo USA di accedere ai dati conservati da fornitori statunitensi anche se situati fisicamente fuori dal territorio nazionale. Ciò mina alla base ogni garanzia di riservatezza percepita dai cittadini europei.

In Germania, il governo ha previsto l’adozione obbligatoria di formati open-source e infrastrutture cloud locali, mentre la regione dello Schleswig-Holstein ha eliminato completamente software proprietario statunitense dalle amministrazioni pubbliche. Ma nonostante questi sforzi, l’interdipendenza tecnica rimane elevata: servizi alternativi come Qwant ed Ecosia continuano a dipendere da Google e Bing per i risultati di ricerca e molte delle loro piattaforme girano su server AWS o Microsoft Azure.

Tecnologia e politica industriale: la sfida europea

Il dibattito sulla digital sovereignty è anche una questione di politica industriale. L’Europa ambisce a creare un ecosistema digitale capace di competere globalmente, sviluppando capacità autonome nei settori chiave: cloud, AI, semiconduttori, cybersicurezza. Tuttavia, secondo gli analisti, il “captive market” creato dai giganti USA rende difficile una sostituzione organica senza una combinazione di intervento pubblico, regolazione efficace e incentivi all’innovazione locale.

La Digital Services Act e il Digital Markets Act rappresentano un primo tentativo di regolazione sistemica. Se da un lato sono accusati da Meta e altre big tech di rappresentare una forma di censura, dall’altro sono sostenuti come strumenti per ristabilire condizioni eque e garantire la sicurezza digitale.

Verso un equilibrio possibile

Il crescente scetticismo europeo verso i colossi digitali americani non significa necessariamente un’uscita totale dall’ecosistema globale. Piuttosto, emerge una domanda di pluralismo digitale, trasparenza, controllo e autonomia.

Il nuovo paradigma europeo non si basa sull’isolamento tecnologico, ma su un modello multilaterale e regolato, in cui le scelte individuali dei cittadini si sommano a strategie statali e iniziative imprenditoriali locali. Un modello che potrebbe ispirare anche altri attori globali nel ridefinire il rapporto tra tecnologia, democrazia e sovranità.

In definitiva, l’Europa si trova di fronte a una sfida epocale: costruire una cittadinanza digitale sovrana e consapevole, capace di decidere non solo cosa usare, ma anche da chi, come e a quali condizioni.

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