Deep Data: la Cina Affonda i Suoi Data Center per Raffreddare l’Intelligenza Artificiale

| 03/09/2025
Deep Data: la Cina Affonda i Suoi Data Center per Raffreddare l’Intelligenza Artificiale

La Cina guida una rivoluzione infrastrutturale attraverso l’immersione dei data center nell’oceano per raffreddarli naturalmente. Questa scelta energetica, economica e geopolitica sfida i modelli occidentali e apre nuovi scenari nella sostenibilità digitale globale

L’intelligenza artificiale chiede potenza, il pianeta chiede acqua

Nel cuore della trasformazione digitale globale, un cuore che batte all’unisono con l’accelerazione di intelligenza artificiale, cloud computing e automazione industriale, si cela un problema invisibile ma urgente: la sete insaziabile dei data center. Queste cittadelle elettroniche, colossali e ininterrottamente attive, non solo alimentano il pensiero computazionale del nostro tempo, ma lo fanno al prezzo di un consumo energetico e idrico che cresce, cresce, cresce, fino a diventare insostenibile.

Si stima che circa il 40% dell’elettricità consumata da un data center venga destinato, in un ciclo continuo e incessante, al solo raffreddamento dell’infrastruttura. Ma non è tutto. Il raffreddamento richiede acqua, e l’acqua, risorsa sempre più preziosa, sempre più contesa, viene pompata da falde sotterranee, fiumi, bacini idrici urbani, talvolta persino da impianti di recupero delle acque reflue. Così, giorno dopo giorno, queste strutture tecnologiche entrano in concorrenza diretta con gli esseri umani per l’accesso all’elemento essenziale della vita, l’acqua potabile.

Paradossalmente, molte aziende tecnologiche, nella loro corsa alla latenza minima e all’efficienza dei costi, hanno scelto di collocare i propri data center in zone aride o desertiche, Arizona, Medio Oriente, Spagna. In questi luoghi, dove ogni goccia conta, l’aria secca è utile per prevenire la corrosione dell’hardware, tuttavia, il prezzo ecologico di tale scelta si presenta salato, quasi inaccettabile, alla luce del cambiamento climatico e delle crescenti crisi idriche globali.

Ed è proprio qui che la narrazione cambia, cambia radicalmente. Mentre l’Occidente indugia, la Cina guarda al mare. In un rovesciamento di paradigma degno di un romanzo moderno, ma perfettamente reale, la Cina propone di spostare i data center sotto la superficie marina, là dove l’acqua è abbondante e naturalmente fredda. Non più deserti, non più torri di raffreddamento, ma capsule sottomarine immerse nell’oceano, dove la natura stessa collabora, silenziosa e costante, nel raffreddare i cuori incandescenti dei server.

Secondo quanto affermano Periola e colleghi (2022), l’ambiente marino, e in particolare la cosiddetta zona mesopelagica, presenta condizioni termiche vantaggiose per il raffreddamento passivo. Tuttavia, proprio quell’ambiente, apparentemente così stabile, può essere soggetto a ondate di calore marine (marine heat waves), fenomeni anomali e in rapida crescita, capaci di innalzare la temperatura dell’acqua e minacciare sia le apparecchiature informatiche che la biodiversità.

In sintesi, il mondo digitale sta entrando in una fase di maturità che esige compromessi intelligenti, e forse perfino poetici, come quello di affidare alla vastità oceanica il compito di sostenere il nostro desiderio collettivo di sapere, calcolare e connettere. Ma il mare, sebbene profondo, non è infinito, e la sua generosità richiederà equilibrio, attenzione, rispetto.

La rivoluzione blu: server sommersi e vento come alleato

L’idea è tanto ambiziosa quanto rivoluzionaria, eppure, proprio per questo, assolutamente necessaria. Spostare i data center negli abissi marini, sfruttando l’acqua salata come mezzo naturale di raffreddamento, significa immaginare un futuro in cui tecnologia e natura non sono più in opposizione, ma in cooperazione. Non si tratta di fantascienza, bensì di ingegneria applicata, calcolo termico, visione strategica. A circa dieci chilometri dalle coste di Shanghai, uno dei principali snodi dell’intelligenza artificiale cinese, prende forma il primo centro dati subacqueo della nazione, alimentato da energia eolica offshore e progettato dalla compagnia Hailanyun, conosciuta anche come HiCloud.

Secondo i dati riportati nello studio di Periola et al. (2022), i centri dati sottomarini possono ottenere un risparmio energetico compreso tra il 5% e il 12% nei periodi più critici, quando il mare mantiene una temperatura costante e naturalmente bassa, rendendo superfluo l’impiego di sistemi di raffreddamento energivori. Ed è proprio questo il principio, semplice quanto efficace, su cui si fonda l’intero progetto: l’acqua marina viene convogliata attraverso radiatori a contatto con i rack dei server, assorbendo calore e disperdendolo nell’ambiente circostante, in un ciclo continuo e autoregolato.

A differenza dei sistemi terrestri, che consumano ingenti quantità di acqua dolce per raffreddare l’aria tramite evaporazione, questa soluzione riduce gli sprechi, limita l’impronta idrica e abbassa drasticamente il rischio di impatti ecologici. Il mare, vasto e freddo, diventa un alleato silenzioso ma potente, capace di gestire la dissipazione termica senza chiedere in cambio energia artificiale.

Il centro dati di Shanghai, nella sua prima fase operativa, sarà dotato di 198 rack, in grado di ospitare tra 396 e 792 server specificamente progettati per carichi di lavoro in intelligenza artificiale. La potenza computazionale promessa è notevole, tanto da permettere, secondo i tecnici Hailanyun, l’addestramento completo di un modello linguistico come GPT-3.5 nell’arco di un solo giorno. Un risultato che, se confermato, rappresenterebbe non solo un traguardo tecnico, ma anche un segnale forte di sovranità digitale e autonomia tecnologica.

È vero, il sito sottomarino cinese è, per ora, più compatto rispetto ai suoi equivalenti terrestri, i quali possono ospitare fino a 3.000 o addirittura 10.000 rack, ma la sua dimensione contenuta è parte di un piano più grande, più lungimirante, più radicale. Questo è un esperimento, sì, ma è anche un prototipo. Un banco di prova destinato a trasformarsi, se il test avrà esito positivo, in un modello scalabile, replicabile, integrabile nella rete energetica e digitale nazionale, con il pieno sostegno del governo centrale.

Così, nell’oceano che lambisce Shanghai, si prepara una delle più affascinanti scommesse del XXI secolo: una sinergia tra intelligenza artificiale e intelligenza ambientale, tra il bit e la corrente marina, tra i sogni dell’uomo e il respiro profondo del pianeta.

Microsoft apre la strada, la Cina corre più veloce

La tecnologia non è del tutto nuova. Più di dieci anni fa, Microsoft aveva già concepito Project Natick, un’iniziativa sperimentale che prevedeva l’immersione di capsule contenenti server a circa 35 metri di profondità al largo della Scozia. L’esperimento, durato due anni, confermò la validità del concetto: minore corrosione, meno guasti, assenza di contatto umano, e un’efficienza energetica sorprendente. Tuttavia, nonostante i risultati promettenti, Microsoft ha abbandonato lo sviluppo commerciale del progetto.

Qui si innesta la svolta cinese. Mentre l’Occidente tentenna, la Cina accelera. Hailanyun è passata in meno di 30 mesi da un progetto pilota a Hainan (nel 2022) a una prima implementazione commerciale a Shanghai, dimostrando una capacità di esecuzione rapida e coordinata che ha pochi eguali. In questo sprint tecnologico si legge non solo un intento ecologico, ma anche un’ambizione geopolitica: quella di affermarsi come leader globale nella costruzione di infrastrutture digitali a basse emissioni di carbonio.

Zhang Ning, ricercatore post-dottorato alla University of California, Davis, lo sottolinea con chiarezza: “Mentre Microsoft ha condotto un esperimento, la Cina ha già imboccato la strada della produzione e dell’implementazione su scala”. In un mondo dove il tempo è sinonimo di potere, la velocità di esecuzione può fare la differenza tra pionieri e inseguitori.

Oceani caldi e attacchi sonori: i rischi sommersi del futuro digitale

Ma se la soluzione sembra elegante e razionale, i dubbi – come i pesci – nuotano sotto la superficie. Le preoccupazioni ambientali non mancano: Microsoft stessa ha rilevato un lieve aumento della temperatura dell’acqua attorno ai suoi moduli sommersi, anche se di pochi millesimi di grado. Altri studi, però, mettono in guardia da scenari peggiori. In presenza di ondate di calore marino – eventi sempre più frequenti – l’acqua di scarico dei data center potrebbe aggravare la carenza di ossigeno nell’ambiente circostante, mettendo a rischio interi ecosistemi marini.

A questi si aggiungono rischi più subdoli: un recente studio del 2024 ha mostrato che i centri dati sottomarini possono essere vulnerabili ad attacchi acustici. Onde sonore specifiche, emesse da altoparlanti subacquei, sarebbero in grado di danneggiare o distruggere l’hardware, aprendo uno scenario inquietante di guerra cibernetica marina.

Hailanyun, dal canto suo, minimizza i rischi. Cita studi condotti nel fiume Pearl nel 2020, secondo cui l’aumento della temperatura circostante causato dai server sommersi è stato inferiore a un grado. Un impatto, a loro dire, “praticamente trascurabile”. Ma resta il fatto che, come ogni nuova frontiera tecnologica, anche questa impone una riflessione etica e regolatoria, che al momento solo la Cina sembra affrontare con decisione e continuità.

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