Dazi al 39%: la neutralità svizzera vacilla davanti alla guerra commerciale con Washington

| 25/09/2025
Dazi al 39%: la neutralità svizzera vacilla davanti alla guerra commerciale con Washington

La Banca nazionale svizzera lancia l’allarme: le tariffe imposte dagli Stati Uniti sono una “sfida enorme” per gli esportatori e costringeranno il Paese a ridimensionare le prospettive di crescita. Orologeria e meccanica di precisione i settori più colpiti.

Per decenni la Svizzera ha coltivato la propria immagine di isola sicura: neutrale in politica, competitiva in economia, resiliente di fronte alle crisi globali. Ma oggi quella certezza vacilla. Con l’imposizione di dazi al 39% da parte dell’amministrazione Trump, Berna scopre che la neutralità non basta più a proteggerla dalle guerre commerciali. La Banca nazionale svizzera (SNB) ha ammesso che le tariffe sono una “sfida enorme” per le aziende esportatrici e che il Paese vedrà rallentare la sua crescita. Un duro colpo per un modello economico che ha fatto della precisione — dai macchinari agli orologi — la sua bandiera nel mondo.

Un allarme senza precedenti dalla SNB

Abituata a parlare per mezze frasi e a trasmettere calma, la Banca nazionale svizzera ha alzato il tono. “Le tariffe americane rappresentano una sfida molto difficile per le aziende coinvolte e tenderanno a frenare l’attività economica”, ha detto il presidente Martin Schlegel. Per la Svizzera, abituata a un rapporto privilegiato con i mercati globali e a un export che pesa più del 40% del PIL, queste parole equivalgono a un segnale di emergenza.

Non è un caso: i dazi arrivano dopo il fallimento della missione diplomatica a Washington della presidente Karin Keller-Sutter, incapace di strappare un accordo con Donald Trump. Il messaggio è chiaro: Berna non è riuscita a evitare il colpo e ora deve fronteggiare la più pesante barriera tariffaria imposta dagli Stati Uniti da decenni.

Tassi stabili, prospettive in calo

Come previsto, la SNB ha lasciato i tassi di interesse allo 0%, una scelta prudente in linea con il contesto internazionale. Ma il vero dato politico ed economico è arrivato con le nuove stime di crescita:

  • 2025: +1% / +1,5%
  • 2026: poco sotto l’1%, contro l’1–1,5% indicato a giugno

Il downgrade può sembrare lieve, ma per un Paese che ha sempre misurato la propria forza sulla stabilità e sull’affidabilità è un segnale preoccupante. La Svizzera non vede recessione all’orizzonte, ma si prepara a una crescita debole e fragile, zavorrata da un contesto internazionale che riduce i margini di manovra.

Orologi e macchinari nel mirino

I settori più esposti ai dazi americani sono due pilastri della brand identity svizzera:

  • L’orologeria, simbolo del lusso e dell’ingegneria di precisione, che genera miliardi di export ogni anno e contribuisce all’immagine globale del Paese. Con un dazio del 39%, competere con brand statunitensi e asiatici diventa una sfida titanica
  • La meccanica di alta gamma e le macchine utensili, spina dorsale del settore industriale elvetico, che rifornisce di componenti e strumenti le fabbriche di mezzo mondo.

Colpire questi comparti significa mettere pressione non solo sui bilanci aziendali, ma anche sull’identità economica di una nazione che ha costruito il proprio prestigio internazionale proprio sulla precisione tecnologica.

Neutralità in crisi: la geoeconomia riscrive le regole

La Svizzera ha sempre usato la sua neutralità come scudo: restare fuori dai conflitti militari e politici per proteggere la sua economia aperta e iper-specializzata. Ma la guerra commerciale lanciata da Washington dimostra che la neutralità non è più sufficiente.

Gli Stati Uniti considerano sempre più settori “strategici” e quindi suscettibili di barriere: dai semiconduttori alle auto elettriche, fino alla sanità e ai beni di lusso. In questo contesto, anche la Svizzera diventa un bersaglio, nonostante la sua immagine di attore indipendente.

Il rischio è evidente: Berna, fuori dall’Unione Europea, ma dipendente dai mercati globali, rischia di trovarsi isolata, costretta a difendere da sola i propri interessi economici.

Un’economia resiliente, ma sotto pressione

Schlegel ha cercato di rassicurare i mercati sottolineando che l’impatto sull’economia complessiva sarà contenuto. E in parte ha ragione: la Svizzera resta solida, con un sistema finanziario forte, un mercato del lavoro dinamico e una diversificazione che le consente di resistere meglio di altri Paesi.

Ma resistere non equivale a crescere. Una crescita dell’1% non basta a sostenere un’economia che fa dell’innovazione il suo motore e che ha bisogno di investimenti costanti per mantenere la leadership nei settori ad alto valore aggiunto.

Resilienza non è strategia

La Svizzera ha costruito la propria forza sulla resilienza: un’economia capace di resistere alle crisi globali senza perdere il passo. Ma l’era delle guerre tariffarie e della geoeconomia multipolare sta mostrando i limiti di questo approccio.

Oggi non basta più difendersi e attendere che la tempesta passi. Serve una strategia industriale e geopolitica capace di aprire nuovi mercati, diversificare le catene di fornitura e costruire alleanze in grado di bilanciare la pressione di Washington.

Gli orologi e i macchinari svizzeri continueranno a rappresentare eccellenza e precisione. Ma senza una risposta politica, la loro competitività rischia di essere compromessa da dazi che trasformano beni di lusso e strumenti industriali in armi di pressione economica.

La vera lezione è che la neutralità, un tempo il più solido dei bastioni, oggi non basta più. E per la Svizzera, abituata a vivere di resilienza, si apre una sfida nuova: trasformare la resilienza in strategia, prima che la guerra commerciale globale riduca i margini della sua economia modello.

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