Secondo un nuovo report di PwC, l’impatto del cambiamento climatico sulla disponibilità di rame potrebbe compromettere la supply chain globale dei chip. In particolare, il Cile — fornitore strategico — è già esposto a rischi idrici critici.
Il cambiamento climatico rappresenta una crescente minaccia sistemica per l’intera catena globale dei semiconduttori. Secondo un recente rapporto pubblicato da PwC, entro il 2035 circa un terzo della produzione mondiale di chip potrebbe essere compromessa a causa della scarsità idrica legata all’aggravarsi della crisi climatica. Al centro dell’analisi vi è la dipendenza dell’industria dei semiconduttori dal rame, materiale fondamentale nella fabbricazione dei circuiti integrati.
La produzione di rame — spiega il report — richiede ingenti quantità d’acqua. Per estrarre 19 kg del metallo sono necessari in media 1.600 litri, secondo i dati del Commonwealth Scientific and Industrial Research Organisation (CSIRO) australiano, citati da PwC. Questa vulnerabilità idrica costituisce un serio problema per la sostenibilità a lungo termine dell’intera filiera tecnologica.
Il nodo cileno: rischio idrico e vulnerabilità geopolitica
Il Cile, primo produttore mondiale di rame, rappresenta oggi un nodo critico. Il Paese fornisce circa il 7% del rame utilizzato nella produzione globale di semiconduttori, ma è fortemente esposto a condizioni di siccità estrema. Le proiezioni indicano che, in assenza di interventi strutturali, la capacità di estrazione cilena potrebbe diminuire significativamente, con ricadute sull’intera industria elettronica.
L’instabilità climatica non è più un rischio teorico, ma un fattore di disruption reale, con impatti diretti su settori ad alta intensità tecnologica, dalla microelettronica all’automotive, passando per il cloud computing, l’intelligenza artificiale e l’aerospazio.
Una sfida alla resilienza della supply chain globale
Il report di PwC evidenzia come l’interdipendenza tra settore minerario, risorse idriche e produzione di chip debba essere considerata una priorità strategica a livello geopolitico e industriale. Le principali economie tecnologiche — dagli Stati Uniti all’Unione Europea, fino ai Paesi asiatici — stanno cercando di diversificare le fonti di approvvigionamento e potenziare le capacità locali attraverso investimenti nella cosiddetta “strategic autonomy”.
Tuttavia, i tempi di sviluppo di nuovi impianti minerari, la scarsità di risorse alternative e la lentezza delle politiche di adattamento climatico pongono interrogativi sulla tenuta dell’attuale modello industriale globale.
Implicazioni giuridiche e normative
La crescente interconnessione tra crisi ambientale e infrastrutture tecnologiche apre scenari di rilevanza anche sotto il profilo normativo. La gestione delle risorse idriche, le regolazioni ambientali sul settore minerario e le politiche industriali dovranno tenere conto della nuova equazione tra clima, materie prime critiche e sovranità tecnologica.
Le aziende del comparto saranno sempre più chiamate a implementare modelli ESG (Environmental, Social and Governance) robusti e trasparenti, con impatti tangibili sia sull’accesso al capitale che sulla compliance regolatoria internazionale.
Il cambiamento climatico: non solo un tema ambientale
Il rapporto PwC lancia un segnale chiaro: il cambiamento climatico non è solo un tema ambientale, ma una variabile determinante della stabilità tecnologica, finanziaria e geopolitica mondiale. La filiera globale dei semiconduttori — già sotto pressione per tensioni geopolitiche, carenze produttive e dipendenza strategica da Asia ed Estremo Oriente — si trova ora a fronteggiare una minaccia ecologica strutturale.
La risposta dovrà essere sistemica: innovazione tecnologica nei processi estrattivi, diversificazione geografica dell’approvvigionamento e coordinamento multilaterale delle politiche industriali saranno le leve necessarie per costruire una nuova resilienza.
Il tempo, però, stringe. E le soluzioni dovranno essere all’altezza della posta in gioco: la continuità operativa della tecnologia globale.