Nel turismo contemporaneo, l’Intelligenza Artificiale non è più un accessorio tecnologico, ma l’infrastruttura cognitiva che filtra e organizza la percezione dei luoghi. Le destinazioni non si raccontano più soltanto attraverso le voci umane — brochure, narrazioni locali, storytelling istituzionali — ma tramite sistemi di raccomandazione, motori semantici e modelli predittivi che costruiscono, in tempo reale, la visibilità di un territorio nel mondo digitale. Tuttavia, questa nuova mediazione cognitiva porta con sé un paradosso: l’AI comprende sempre di più i dati, ma non necessariamente i significati.
Nel turismo contemporaneo, l’Intelligenza Artificiale non è più un accessorio tecnologico, ma l’infrastruttura cognitiva che filtra e organizza la percezione dei luoghi. Le destinazioni non si raccontano più soltanto attraverso le voci umane — brochure, narrazioni locali, storytelling istituzionali — ma tramite sistemi di raccomandazione, motori semantici e modelli predittivi che costruiscono, in tempo reale, la visibilità di un territorio nel mondo digitale. Tuttavia, questa nuova mediazione cognitiva porta con sé un paradosso: l’AI comprende sempre di più i dati, ma non necessariamente i significati.
L’idea di AI-mediated destination governance proposta da Gretzel et al. (2020) descrive bene questa tensione: l’intelligenza artificiale agisce come un intermediario che traduce le scelte di governance territoriale in flussi di informazione, ma spesso senza restituire alle comunità il controllo sul modo in cui esse vengono rappresentate.
La questione non è quindi soltanto quella di “spiegare” come l’AI selezioni una destinazione, ma di renderla intellegibile nel senso profondo del termine: capace di dialogare con la cultura, la storia e le sensibilità dei territori.
L’intellegibilità non può essere un atto tecnico ma un processo sociale. La prima condizione è la partecipazione. I sistemi di raccomandazione nel turismo — come quelli utilizzati da portali pubblici o piattaforme di prenotazione — devono essere progettati secondo logiche di design partecipativo, coinvolgendo operatori, enti locali e comunità.
Questa metodologia, già consolidata nei modelli di co-design applicati ai servizi pubblici digitali (Sanders & Stappers, 2014), consente di condividere le metriche di valore che orientano l’AI: non soltanto la popolarità o la convenienza, ma la sostenibilità, la distribuzione dei flussi, la tutela dei patrimoni identitari.
In questa prospettiva, la governance delle destinazioni diviene una forma di intelligenza distribuita, dove le macchine non sostituiscono le decisioni umane, ma amplificano la capacità dei territori di auto-interpretarsi.
L’AI Act europeo, nella sua proposta originaria del 2021 (European Commission, 2021), ha introdotto un principio cardine: la trasparenza algoritmica come condizione di fiducia.
L’articolo 13, infatti, impone che i sistemi ad alto rischio — tra cui quelli che incidono sull’accesso a servizi pubblici o sul comportamento dei consumatori — siano accompagnati da documentazione chiara su logiche, pesi e criteri decisionali. Applicato al turismo, ciò significa rendere accessibili i parametri con cui un sistema decide di suggerire una località, un itinerario o un’esperienza.
Tuttavia, la trasparenza da sola non basta.
Perché l’intellegibilità sia effettiva, anche i contenuti devono essere semanticamente leggibili. È il tema della semantic readiness (Fesenmaier & Xiang, 2023): la capacità dei territori di dotarsi di ontologie, vocabolari e metadata aperti che permettano alle AI di comprendere il significato dei luoghi.
Come ha mostrato D’Amico (2024), la costruzione di ecosistemi semantici interoperabili — dove le informazioni turistiche sono descritte con standard condivisi e machine-readable — è una condizione necessaria per evitare che le intelligenze artificiali semplifichino i territori fino a renderli indistinti.
I criteri di raccomandazione devono includere variabili etiche, narrative e culturali, ponendo la diversità come metrica di qualità.
Morley et al. (2021) sottolineano che l’intelligenza artificiale nel turismo può diventare uno strumento di inclusione o di esclusione, a seconda dei valori che incorpora. Per questo, la pertinenza algoritmica non può ridursi a correlazioni statistiche: deve integrare segnali di autenticità, sostenibilità, accessibilità e partecipazione.
In altre parole, essere “intellegibili ai territori” significa radicare le decisioni delle AI nei contesti in cui operano. Le macchine devono apprendere non solo dai dati, ma dai valori condivisi, dalle memorie e dalle aspirazioni delle comunità.
Ciò implica un passaggio cruciale: dall’AI come sistema di raccomandazione all’AI come sistema di riconoscimento. Richiede infrastrutture semantiche aperte, audit pubblici e partecipazione continua, ma soprattutto un nuovo patto cognitivo tra territori e intelligenze artificiali.
Se il turismo del futuro sarà sempre più mediato da sistemi di AI, allora l’obiettivo non può essere soltanto “automatizzare” le scelte, ma comprendere per essere compresi.
Come in ogni ecologia complessa, la sostenibilità non dipende dall’efficienza, ma dalla reciprocità della comprensione.
In questo senso, rendere le AI intellegibili ai territori significa anche restituire ai territori il potere di essere interpreti attivi del proprio destino digitale.
