Come la stampa 3D aiuterà gli astronauti a sopravvivere sulla Luna e su Marte

| 26/03/2025
Come la stampa 3D aiuterà gli astronauti a sopravvivere sulla Luna e su Marte

Senza aria da respirare, senza materiali pronti all’uso, senza un ecosistema su cui fare affidamento, l’umanità dovrà contare su una tecnologia capace di creare dal nulla ciò che serve. La stampa 3D sarà il cuore operativo di ogni colonia spaziale, e trasformerà la polvere aliena in strutture, utensili e nuovi habitat.

Dalla frontiera terrestre a quella cosmica

Ogni grande epoca dell’esplorazione umana si è fondata su una premessa essenziale: partire con poco e costruire tutto. I pionieri che hanno attraversato oceani o valicato deserti non portavano con sé case già montate o raccolti pronti, ma strumenti, semi, idee — e la fiducia che ciò che avrebbero trovato sarebbe bastato, se ben lavorato, per generare una nuova vita. Così fu per i primi coloni d’America, per gli esploratori artici, per i Vichinghi che giunsero in Groenlandia. Ognuno di loro si adattò, scavando rifugi nel ghiaccio o costruendo capanne con tronchi trovati sul posto.

Ma ciò che attende i pionieri del XXI secolo è qualcosa di radicalmente diverso. La Luna non offre boschi da tagliare. Marte non possiede fiumi da cui pescare. E nessuno dei due mondi mette a disposizione un’aria che si possa respirare. Qui, il concetto stesso di “adattamento” assume una nuova forma: non più l’uso creativo delle risorse esistenti, bensì la creazione ex novo degli strumenti della sopravvivenza.

In tale contesto, una tecnologia emerge come potenzialmente salvifica: la stampa 3D. Non più solo strumento industriale, ma compagna del viaggio, estensione dell’intelligenza umana, fabbrica tascabile capace di generare habitat, utensili, connessioni e speranza, a partire dal nulla.

Tecnologia additiva: la fabbrica nello zaino

Sulla Terra, la stampa 3D ha già rivoluzionato interi settori, dalla medicina all’ingegneria, dall’edilizia all’aerospazio. È una tecnologia che non sottrae, ma costruisce. Strato dopo strato, partendo da un modello digitale, deposita materiali grezzi come plastica, metallo o cemento per dar forma a oggetti complessi, personalizzati, funzionali. Non è un procedimento nuovo, ma è ora che mostra la sua vera maturità: quando viene chiamata non solo a produrre, ma a sostenere la vita in ambienti ostili.

Sulla Stazione Spaziale Internazionale, tale processo è già realtà. Gli astronauti stampano strumenti essenziali — chiavi inglesi, morsetti, supporti — riducendo la necessità di spedizioni di ricambio dalla Terra, con tempi di produzione che variano da mezz’ora a qualche ora. E mentre i materiali impiegati provengono ancora dal nostro pianeta, nuovi dispositivi, come il Refabricator installato nel 2019, iniziano a chiudere il cerchio, trasformando rifiuti plastici in nuova materia prima. Stampare nello spazio significa ridurre dipendenza, accorciare tempi, aumentare resilienza.

Cos’e’ Refabricator

Il Refabricator è una macchina compatta, progettata per funzionare nello spazio, che unisce in un solo sistema due funzioni essenziali: la stampa 3D e il riciclo della plastica. Installato a bordo della Stazione Spaziale Internazionale nel 2019, rappresenta il primo dispositivo capace di trasformare materiali plastici di scarto, già presenti a bordo, in nuovo filamento pronto per stampare strumenti, componenti e oggetti utili alla vita quotidiana degli astronauti. Nato da una collaborazione tra la NASA e l’azienda Tethers Unlimited, il Refabricator funziona in modo completamente automatizzato, occupando uno spazio ridotto, simile a quello di un piccolo frigorifero. All’interno, la plastica viene raccolta, lavorata e riconvertita in materia prima, pronta per essere depositata, strato dopo strato, in una nuova forma. Il suo valore non sta solo nella versatilità, ma nella filosofia che incarna: chiudere il ciclo dei materiali, ridurre la dipendenza dalla Terra, offrire alle missioni spaziali un modello di produzione sostenibile e reattivo, capace di rispondere alle necessità direttamente in orbita. In un contesto dove ogni grammo trasportato ha un costo elevatissimo, e dove le risorse sono limitate, il Refabricator appare non come un accessorio, ma come una svolta concreta verso l’autosufficienza.

Eppure, la vera sfida inizia quando si guarda oltre l’orbita terrestre. Portare tutto il necessario per costruire un avamposto sulla Luna o su Marte è logisticamente insostenibile: ogni chilo spedito costa migliaia, se non centinaia di migliaia di dollari. Le missioni lunari del prossimo decennio e quelle marziane che seguiranno richiederanno soluzioni più audaci, più autonome. Ecco perché la stampa 3D non sarà solo utile: sarà necessaria.

Sopravvivere stampando: la sfida lunare e marziana

Costruire nello spazio richiede molta creatività ma non soltanto. Abbisogna di adattamento tecnico alle condizioni estreme: microgravità, temperature ostili, radiazioni, assenza di atmosfera. Sulla Luna la gravità è un sesto di quella terrestre, su Marte poco più di un terzo. E ciò cambia tutto: i materiali si comportano in modo diverso, si raffreddano, si solidificano e si assemblano in modi non prevedibili con le regole terrestri.

Gli ingegneri si trovano così di fronte a una doppia sfida: da un lato, devono progettare stampanti che funzionino con affidabilità in ambienti a bassa gravità e alta variabilità termica; dall’altro, devono trovare materiali locali adatti alla stampa. Non si può dipendere per sempre da rifornimenti terrestri. Non si può costruire una civiltà con mattoni importati.

Da qui nasce l’idea di sfruttare ciò che è già disponibile: il suolo. O meglio, la regolite. Quella polvere fine e abrasiva che copre sia la Luna sia Marte, sterile e povera di vita, ma potenzialmente preziosa come materiale costruttivo. Dove manca l’argilla, la regolite può diventare mattone; dove manca il cemento, può diventare legante.

La regolite e il sogno di costruire con la polvere

Pensare di costruire con la polvere sembra quasi un paradosso. Eppure, la scienza ci mostra che non è solo possibile, ma già in corso di sperimentazione. I campioni di regolite riportati dalle missioni Apollo sono pochi e preziosi, difficili da usare in laboratorio. Ma i ricercatori hanno creato “simulanti”, versioni terrestri con composizione simile, per testare metodi di stampa, solidificazione e resistenza.

La Luna offre una regolite più fine, prevalentemente silicea, mentre quella marziana, più grossolana, è ricca di ossido di ferro. Ogni tipo presenta vantaggi e ostacoli, ma entrambi possono essere riscaldati, fusi, pressati, sinterizzati per diventare materiale edilizio. Alcuni esperimenti impiegano laser o microonde per unire le particelle, altri cercano di mescolarle con ghiaccio d’acqua per ottenere una sorta di calcestruzzo spaziale.

Nel 2017, è nato il MarsCrete: una miscela progettata per stampare su Marte, con cui è stata realizzata una piccola struttura di prova. Due anni dopo, un prototipo in scala di habitat marziano ha mostrato al mondo ciò che sarà possibile fare: moduli stampati per dormire, coltivare, lavorare, vivere. Non ipotesi, ma realtà in costruzione.

Dallo spazio alla Terra: un ritorno che costruisce futuro

L’eco di queste innovazioni non si limita all’orbita. Le stesse tecniche che renderanno possibile la vita su altri pianeti stanno già trasformando il nostro. Se si può costruire con la regolite, perché non farlo con la sabbia del deserto o le macerie di un edificio crollato? Se si può stampare una casa su Marte, perché non farlo in un quartiere periferico dove manca tutto?

Le case stampate in 3D esistono già. Le aziende che le producono sperimentano ogni giorno nuovi leganti, nuove miscele, nuovi modelli. E la NASA, attraverso il programma MMPACT, continua a sviluppare tecnologie che potranno avere ricadute immense sull’edilizia civile, soprattutto in contesti di emergenza, nei territori colpiti da terremoti, guerre, disastri ambientali.

Nel frattempo, il conto alla rovescia continua. Artemis III porterà di nuovo esseri umani sulla Luna. La missione marziana resta all’orizzonte, ma si avvicina. Ovunque andremo, la domanda sarà la stessa: possiamo costruire dove non c’è nulla?

La risposta, sempre più chiara, è sì. Possiamo costruire con la polvere. Possiamo vivere dove prima c’era solo vuoto. E lo faremo con una macchina silenziosa, metodica, straordinaria: una stampante che non stampa solo oggetti, ma futuro.

Foto: NASA

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