La presidenza danese del Consiglio spinge per chiudere entro l’autunno la trattativa sul nuovo target europeo di riduzione dei gas serra, necessario per inviare all’ONU il contributo 2035. Sul tavolo: flessibilità con crediti di carbonio, costi per l’industria e tensioni politiche tra transizione verde e spesa militare.
Il Consiglio UE, riunito ad Aalborg sotto la neo-presidenza danese, ha registrato un consenso di massima tra la maggioranza dei 27 Paesi membri per siglare già a settembre un accordo sul nuovo obiettivo climatico al 2040: –90 % di emissioni rispetto al 1990, come proposto dalla Commissione il 2 luglio.
Le posizioni in campo
Gruppo di Paesi | Posizione sul calendario | Principali richieste |
---|---|---|
Nordici + Benelux + Germania | Favorevoli alla chiusura a settembre | Target al 90 % con uso molto limitato di carbon credits |
Polonia, Ungheria, Cechia | Contrari alla “corsia rapida” | Maggiore analisi d’impatto; tutela competitività energia-intensiva |
Italia, Francia, Romania | Apertura, ma con modifiche | Più flessibilità settoriale e crediti internazionali più ampi |
Danimarca (presidenza) | Mediazione | “Finestra stretta” per chiudere negoziato prima del dossier ONU |
Il viceministro polacco Krzysztof Bolesta ha definito “irragionevole” prendere una decisione che “riguarda l’intera economia” in pochi mesi. Portavoce di Budapest e Praga hanno confermato la stessa linea di prudenza sulle tempistiche.
Nodi tecnici: flessibilità e carbon credits
Per convincere i governi scettici, Bruxelles ha inserito nel pacchetto due clausole:
- Crediti di carbonio internazionali: ogni Stato potrà compensare una piccola quota delle proprie emissioni acquistando progetti certificati all’estero (riforestazione, rinnovabili)
- Target domestic differenziato: possibilità di fissare soglie leggermente inferiori per i settori industriali hard-to-abate, previa proposta nazionale.
Restano aperti i dubbi operativi – menzionati dagli stessi Paesi a Aalborg – su criteri di qualità dei crediti e sul rischio di spiazzamento competitivo per siderurgia, chimica e fertilizzanti.
Geoeconomia e politica industriale
- Costo stimato: secondo il Parlamento europeo, raggiungere il –90 % richiederà investimenti pubblici-privati aggiuntivi pari allo 0,7 % del PIL annuo dell’UE nel prossimo decennio
- Difesa vs. clima: l’aumento della spesa militare post-Ucraina pesa sui bilanci nazionali; alcuni governi chiedono di contabilizzare tali oneri nel calcolo delle traiettorie di finanza pubblica
- Industria: la Commissione propone un mix di sussidi verdi, CBAM e allentamento temporaneo degli ETS free allowances per mitigare il rischio di rilocalizzazione.
Prossime scadenze
Data | Evento | Rilevanza |
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15 settembre 2025 | Invio NDC 2035 all’UNFCCC | Il target 2035 dovrà derivare dall’accordo 2040 |
24-25 settembre 2025 | Consiglio Ambiente straordinario | Voto finale atteso sul –90 % |
Novembre 2025 (COP 30, Belém) | Presentazione ufficiale UE | Cartina tornasole della credibilità climatica europea |
Analisi finale
Il negoziato sul target 2040 è crocevia di tre transizioni: verde, digitale (CBAM + dati ESG) e strategico-difensiva. Accelerare entro settembre significa:
- dare certezza a industrie e investitori
- consolidare la leadership climalterante dell’UE in vista della COP 30
- evitare un vuoto normativo che rallenterebbe l’attuazione del Fit for 55.
Ma il compromesso dovrà bilanciare ambizione e flessibilità, con particolare attenzione alle economie dell’Est che temono un impatto sproporzionato sui loro mix energetici e tessuti industriali. L’esito del braccio di ferro definirà la traiettoria economica europea per il prossimo quindicennio, tra decarbonizzazione, competitività globale e stabilità sociale.