Per la prima volta in decenni, le emissioni cinesi restano stabili. Una rivoluzione discreta, fatta di energia pulita, calcoli geopolitici e nuove contraddizioni industriali.
Il colosso asiatico registra 18 mesi senza crescita di CO₂. Dietro i numeri, la scommessa di Pechino: conciliare crescita economica, leadership globale e sostenibilità.
Un silenzio nel cielo di Pechino
Succede raramente che la Cina faccia notizia… per qualcosa che non cresce.
Eppure, da un anno e mezzo, le emissioni di CO₂ sono ferme. Né in aumento, né in calo deciso.
L’analisi arriva da Lauri Myllyvirta, del Centre for Research on Energy and Clean Air (CREA), pubblicata su Carbon Brief: nel terzo trimestre del 2025, le emissioni cinesi sono rimaste invariate rispetto all’anno precedente.
Un dettaglio che, nel contesto globale, ha il peso di un terremoto silenzioso.
Diciotto mesi di stabilità non sono casuali: raccontano un equilibrio fragile tra una crescita che cambia pelle e una politica climatica che inizia, forse, a funzionare.
Una promessa e una prova
Il governo cinese lo aveva detto: il picco delle emissioni arriverà entro il 2030, con una riduzione del 7-10% entro il 2035.
Una promessa, certo. Ma in Cina le promesse non sono mai solo ambientali, sono politiche, economiche, perfino narrative.
È la prima volta che Pechino parla apertamente di tagliare le proprie emissioni, non solo di rallentarne la crescita.
Eppure, secondo Bruxelles, è “troppo poco”.
Il commissario europeo per il clima ha definito l’impegno “deludente”, ricordando che un gigante industriale di questa scala non può limitarsi a “non peggiorare”.
Ma mentre Washington si ritira dai tavoli climatici, complice la linea di Donald Trump, la Cina ha colto l’occasione.
Alla COP30 di Belém, si presenta non come allieva recalcitrante, ma come potenziale maestra: la nazione che cresce senza emettere.
Il vento cambia davvero
I numeri lo dicono meglio delle parole.
Nel 2025 la domanda elettrica è cresciuta del 6,1%, ma le emissioni del settore energetico non sono aumentate.
Un paradosso solo apparente: il 90% della nuova domanda è coperto da fonti pulite: eolico, solare, idroelettrico, nucleare.
Un modello energetico che, sebbene ancora imperfetto, mostra una logica nuova: più potenza, meno carbone.
Il gas naturale, utilizzato come fonte di transizione, ha ulteriormente ridotto la quota del carbone nella produzione elettrica.
È il risultato di una politica aggressiva di investimenti pubblici: parchi eolici offshore, megafabbriche di pannelli solari, nuovi reattori nucleari di terza generazione.
Un piano che sembra uscito da una sceneggiatura di fantascienza e, invece, è già realtà.
La contraddizione della plastica
Poi, il rovescio della medaglia.
Perché la transizione non è mai lineare e la Cina resta un Paese dalle mille contraddizioni.
Nel 2025, le emissioni del settore chimico sono cresciute, spinte dalla produzione di plastica.
Nei primi nove mesi dell’anno, la produzione di polimeri è salita del 12%.
Un boom legato alla domanda interna — packaging per il food delivery, logistica dell’e-commerce — ma anche alla strategia geopolitica di ridurre la dipendenza dalle importazioni statunitensi.
Il governo ha incoraggiato le raffinerie a convertirsi in impianti chimici, per compensare il calo della domanda di carburanti tradizionali.
In pratica, meno benzina, più polietilene.
Un passo avanti dal punto di vista energetico, due indietro da quello climatico.
Le due Cine: una che cambia, una che resiste
C’è una Cina che corre e una che resta indietro.
Le province costiere, vetrina dell’innovazione e della green economy, stanno elettrificando l’industria e sperimentando città a emissioni zero.
Ma nell’interno, dove il carbone è ancora ricchezza, le miniere restano aperte.
Il settore dei trasporti, invece, è il vero vincitore di questa fase: le emissioni sono scese del 5% nel terzo trimestre, grazie all’esplosione dei veicoli elettrici e alla rapida diffusione delle infrastrutture di ricarica.
Un dato che racconta una realtà diversa: la Cina non solo produce le auto del futuro, ma le guida già oggi.
Il problema è che il ritmo del cambiamento non è uniforme.
E in un Paese così vasto, le transizioni non avvengono all’unisono, scorrono a onde, si scontrano, si dissolvono.
La diplomazia del carbonio
Oltre i numeri, questa è anche una storia di potere.
La Cina sa che il linguaggio del clima è, oggi, il nuovo linguaggio della legittimità globale.
E lo usa con precisione chirurgica.
Alla COP30, Pechino arriva con dati concreti e una narrativa studiata: “abbiamo fermato le emissioni, investiamo più di chiunque altro nelle rinnovabili”.
Non è solo green diplomacy, è geopolitica pura.
La strategia è duplice: mostrarsi come partner affidabile per i Paesi del Sud globale e contrastare l’influenza occidentale sui modelli di sviluppo sostenibile.
Non a caso, i colossi energetici statali cinesi stanno già esportando tecnologie solari e infrastrutture di rete in Africa e Sud America.
Una stabilità fragile
Eppure, dietro l’immagine del “gigante verde”, si cela una verità più sfumata.
La stabilizzazione delle emissioni è fragile.
Basta un inverno rigido, una crisi industriale, un piano di stimolo economico per riaccendere le centrali a carbone.
Il Paese continua a costruire nuovi impianti a carbone, spesso giustificati come “riserve di sicurezza”.
Un ossimoro perfettamente cinese: prepararsi al futuro costruendo il passato.
Il rischio è che la transizione resti un equilibrio instabile, più una pausa che una rivoluzione.
Ma in ogni equilibrio c’è un segnale: la consapevolezza che la crescita infinita, da sola, non basta più.
Il respiro del pianeta
Forse è solo un momento.
Forse, invece, è l’inizio di un cambiamento irreversibile.
Diciotto mesi senza crescita delle emissioni: non un punto d’arrivo, ma un respiro profondo, necessario.
Se la Cina riuscirà a mantenere questo equilibrio, o meglio ancora, a trasformarlo in declino strutturale, potremmo dire che la storia del clima è cambiata davvero.
Perché quando il più grande inquinatore del mondo smette di crescere, l’intero pianeta per la prima volta ha una possibilità concreta di respirare.