Cina, due dighe in un giorno: la corsa idroelettrica che vuole riscrivere la geografia dell’energia

RedazioneRedazione
| 30/10/2025
Cina, due dighe in un giorno: la corsa idroelettrica che vuole riscrivere la geografia dell’energia

In meno di 24 ore, la Cina blocca il fiume Yalong in due punti per costruire un doppio impianto idroelettrico da record. Una mossa simbolo della nuova strategia verde di Pechino, tra ambizione tecnologica, potere geopolitico e impatti ambientali.

I progetti Mengdigou e Yagen Stage I produrranno energia pulita equivalente a 3,5 milioni di tonnellate di carbone e ridurranno 9 milioni di tonnellate di CO₂ l’anno. Ma dietro l’impresa ingegneristica si nasconde una domanda cruciale: quanto costa, davvero, la corsa della Cina verso la neutralità climatica?

Una giornata, due fiumi, un messaggio al mondo

In appena un giorno, la Cina ha compiuto una delle sue più impressionanti imprese ingegneristiche del decennio: ha sbarrato un grande fiume in due punti distinti per costruire una coppia di mega centrali idroelettriche nella provincia sud-occidentale del Sichuan.

Secondo China Electric Power News, organo ufficiale della National Energy Administration, martedì 29 ottobre, il fiume Yalong, un affluente dello Yangtze, è stato contemporaneamente deviato in due aree per consentire la realizzazione delle centrali Mengdigou e Yagen Stage I.

Insieme, i due impianti avranno una capacità installata complessiva di 2,7 milioni di kilowatt, pari al consumo annuale di una metropoli come Shanghai.
Una cifra che, tradotta in termini ambientali, significa ridurre 9 milioni di tonnellate di emissioni di CO₂ ogni anno e produrre l’equivalente energetico di 3,5 milioni di tonnellate di carbone.

Non è solo un traguardo tecnico. È un gesto di forza politica e simbolica: la prova che Pechino non intende rallentare nella sua corsa a diventare la superpotenza energetica più sostenibile del pianeta.

Il Sichuan come laboratorio della transizione energetica cinese

Il Sichuan, con le sue montagne scoscese e i fiumi impetuosi, è da anni il cuore idrico e idroelettrico della Cina.
Già sede di alcune delle centrali più imponenti del Paese, la regione è ora al centro della nuova strategia di Pechino per riequilibrare la distribuzione energetica tra le aree industriali dell’est e quelle rurali dell’ovest.

Le nuove dighe di Mengdigou e Yagen non serviranno solo a produrre elettricità pulita: saranno strumenti di stabilizzazione della rete nazionale, riducendo la dipendenza da carbone e gas e permettendo di gestire meglio le fluttuazioni legate alle energie rinnovabili intermittenti come il solare e l’eolico.

Ma il progetto ha anche una dimensione geopolitica. Il Sichuan confina con aree di cruciale importanza idrica e ambientale, come il Tibet e la regione del Mekong, dove il controllo dei flussi d’acqua ha implicazioni strategiche che vanno ben oltre i confini nazionali.

L’acqua come potere: la nuova frontiera geopolitica di Pechino

Per la Cina, l’acqua è da sempre sinonimo di potere e controllo.
Dalla diga delle Tre Gole sullo Yangtze, il più grande impianto idroelettrico del mondo, alle centinaia di progetti in corso nel sud-ovest, la costruzione di dighe rappresenta un’estensione naturale del modello politico cinese: centralizzato, pianificato e tecnocratico.

Oggi, tuttavia, le dighe non sono più solo strumenti di gestione idrica o di sicurezza energetica: sono leve geopolitiche.
Controllare i bacini del sud-ovest significa influenzare il corso dei fiumi che scorrono verso il Sud-Est asiatico, incidendo su economie dipendenti da quelle stesse acque, dal Vietnam alla Cambogia, dal Laos alla Thailandia.

In un mondo in cui il cambiamento climatico moltiplica la scarsità delle risorse naturali, il controllo dei fiumi può valere quanto il controllo dei gasdotti.

Energia pulita, ma a quale prezzo? Le ombre del progetto

Sebbene le autorità cinesi definiscano il progetto un “pilastro verde” della transizione ecologica, molti ambientalisti sollevano dubbi sulla reale sostenibilità di queste opere titaniche.
Le dighe alterano in modo profondo gli ecosistemi fluviali, riducendo la biodiversità, interrompendo le rotte migratorie dei pesci e modificando i microclimi locali.

Inoltre, la costruzione di grandi invasi implica spesso lo spostamento forzato di comunità locali. Anche nel caso del fiume Yalong, le prime stime parlano di migliaia di persone costrette a lasciare le proprie terre, con compensazioni economiche che non sempre riescono ad arginare la perdita di radici culturali e identitarie.

Gli esperti cinesi assicurano che il progetto include programmi di riforestazione e corridoi ecologici per la fauna, ma le associazioni ambientaliste chiedono monitoraggi indipendenti per verificare la reale efficacia delle misure.

La strategia energetica della Cina: oltre la sostenibilità, verso l’autonomia

Dietro l’immagine di “gigante verde” si nasconde un obiettivo più profondo: l’autonomia energetica.
Con una domanda interna in costante crescita e la pressione internazionale per ridurre le emissioni, Pechino punta a riplasmare la propria infrastruttura energetica con un mix dominato da rinnovabili, nucleare di nuova generazione e reti intelligenti.

Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia, la Cina ha installato nel solo 2024 più capacità rinnovabile di Stati Uniti ed Europa messe insieme.
Eppure, la sfida rimane duplice: decarbonizzare senza perdere competitività industriale.

Le dighe del Sichuan diventano così un simbolo della transizione cinese verso una modernità “ecologica, ma autoritaria”, in cui il progresso tecnologico procede di pari passo con un controllo sempre più centralizzato delle risorse.

Un gigante in bilico tra progresso e contraddizione

L’impresa di bloccare il Yalong in due punti nello stesso giorno non è solo una dimostrazione di potenza ingegneristica: è una dichiarazione ideologica.
La Cina vuole dimostrare che la transizione ecologica può essere guidata dall’alto, attraverso pianificazione, efficienza e disciplina, senza dover cedere ai modelli occidentali di mercato e pluralismo.

Ma la domanda resta aperta: può una transizione imposta sopravvivere alle sue stesse contraddizioni?
Le dighe producono energia pulita, ma costruirle consuma risorse, altera territori, sposta popolazioni. L’AI e i big data ottimizzano la rete, ma aumentano la sorveglianza e il controllo. La sostenibilità diventa così un nuovo volto del potere.

La diga come metafora del secolo cinese

Il doppio sbarramento del fiume Yalong è destinato a entrare nei libri di storia non solo per la sua portata tecnica, ma per il suo significato simbolico.
È il manifesto di una nuova era in cui la lotta al cambiamento climatico si intreccia con la geopolitica, la tecnologia e la cultura del controllo.

La Cina non si limita più a inseguire l’Occidente: sta scrivendo il proprio modello di modernità, fondato su infrastrutture titaniche, dati e decisioni centralizzate.

Le dighe di Mengdigou e Yagen rappresentano, dunque, molto più che due impianti idroelettrici: sono il riflesso di un Paese che usa la natura per plasmare il futuro.
Un futuro dove il progresso scorre come un fiume: potente, imprevedibile e impossibile da contenere a lungo.

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