Ottimizzazione fiscale e geopolitica si intrecciano: il governo canadese blocca all’ultimo minuto la Digital Services Tax per evitare una crisi commerciale con gli Stati Uniti e riattivare i negoziati bilaterali. Resta il nodo della tassazione digitale globale.
In una mossa che segna una svolta tattica nel panorama della fiscalità digitale e delle relazioni commerciali nordamericane, il governo canadese ha annunciato il ritiro ufficiale della Digital Services Tax (DST), prevista per entrare in vigore a mezzanotte. La decisione giunge dopo che il presidente statunitense Donald Trump aveva minacciato l’introduzione di nuove tariffe sulle merci canadesi, definendo la misura fiscale un “attacco flagrante” contro le imprese tecnologiche americane.
Una decisione dall’alto impatto sistemico
La DST canadese prevedeva un’imposta del 3% sui ricavi digitali generati da utenti canadesi, superata la soglia annua di 20 milioni di dollari. La sua applicazione retroattiva dal 2022 avrebbe colpito giganti come Amazon, Meta, Google e Apple. L’annuncio del ritiro ha avuto un effetto immediato sui mercati, facendo salire gli indici futures e innescando un rimbalzo anche nelle piazze asiatiche.
Con il blocco della riscossione e la promessa del ministro delle finanze François-Philippe Champagne di abrogare formalmente la legge, Ottawa segnala una chiara volontà di ricomporre le relazioni con Washington e di rilanciare le trattative commerciali entro il 21 luglio, come confermato dal Ministero delle Finanze canadese.
Tra multilateralismo e protezionismo: un equilibrio delicato
L’origine della DST risale al 2020, come misura provvisoria per tassare le grandi piattaforme digitali che, secondo Ottawa, sfruttavano il mercato canadese senza contribuire equamente al fisco nazionale. Tuttavia, il Canada ha sempre dichiarato come preferenza un accordo multilaterale attraverso l’OCSE, in linea con le iniziative per una fiscalità digitale globale.
L’amministrazione Biden aveva già formalmente contestato la DST nel 2024, avviando consultazioni ufficiali per violazione del CUSMA/USMCA, l’accordo commerciale nordamericano. Il ritiro canadese appare quindi anche come un gesto di allineamento rispetto agli obblighi multilaterali e regionali, a tutela della propria posizione di secondo partner commerciale degli USA (dopo il Messico), con un interscambio che nel 2024 ha superato i 760 miliardi di dollari.
Il contesto strategico e le implicazioni future
La decisione giunge in un momento in cui le relazioni commerciali USA-Canada erano tornate relativamente stabili, dopo anni di tensioni legate a dazi su acciaio e alluminio e divergenze normative. Il rischio di una nuova escalation tariffaria, evocata dallo stesso Trump, avrebbe potuto compromettere l’intero assetto dell’area nordamericana.
Tuttavia, il ritiro della DST apre una serie di interrogativi strategici:
- Come si posizionerà il Canada nel dibattito sulla fiscalità digitale in sede OCSE-G20?
- Quale impatto avrà questa mossa sulla concorrenza fiscale tra giurisdizioni digitali?
- Gli altri Paesi G7 adotteranno un approccio simile per evitare sanzioni USA, o manterranno imposte unilaterali?
Tra economia digitale e sovranità fiscale
La revoca della Digital Services Tax rappresenta un atto di realpolitik fiscale, dettato dalla volontà di evitare ritorsioni immediate e salvaguardare le relazioni economiche bilaterali. Tuttavia, sottolinea anche le difficoltà strutturali dei Paesi nel conciliare la sovranità fiscale con l’interdipendenza commerciale e le pressioni geopolitiche.
Nel nuovo ciclo dell’economia digitale, la tassazione delle multinazionali tech resta una questione aperta e profondamente politica. In attesa di un’intesa globale, la gestione delle imposte digitali continuerà a rappresentare un campo di frizione tra autonomia normativa e diplomazia commerciale.