Boom di aerospazio e difesa in Europa

RedazioneRedazione
| 02/12/2025
Boom di aerospazio e difesa in Europa

L’industria europea dell’aerospazio e della difesa cresce del 10,1% e tocca i 325,7 miliardi di euro, con 1,1 milioni di addetti diretti.

Trainata dalla corsa agli armamenti dopo la guerra in Ucraina e dalla ripresa del traffico aereo, la filiera ASD genera 779 miliardi di attività economica, ma resta in ritardo su innovazione e strategia industriale comune.

Nel 2024 l’Europa ha scoperto che il proprio peso geopolitico passa sempre di più da una sigla solo in apparenza tecnica: ASD, AeroSpace and Defence Industries Association of Europe. Dietro quell’acronimo c’è un comparto che ha chiuso l’anno con 325,7 miliardi di euro di fatturato, in crescita del 10,1%, e oltre 1,1 milioni di occupati diretti.

Non è solo una buona notizia industriale. È un segnale politico. In un continente che per anni ha rinviato scelte su difesa comune, autonomia tecnologica e politica industriale, il balzo dell’aerospazio e della difesa racconta una storia diversa: i governi hanno iniziato a spendere, spesso in fretta, e le imprese hanno reagito.

La domanda di sistemi d’arma, velivoli, sensori, satelliti è esplosa dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Ma limitarsi a dire “c’è più spesa militare” sarebbe fuorviante. In gioco c’è un ridisegno della filiera tecnologica europea, che tocca ricerca, lavoro qualificato, catene di fornitura e, inevitabilmente, il rapporto con gli alleati, Stati Uniti in testa.

Difesa: crescita a doppia cifra, ma a caro prezzo

La parte più dirompente dei numeri ASD è la difesa. Nel 2024 il giro d’affari ha raggiunto 183,4 miliardi di euro, con un incremento del 13,8% in un solo anno. L’onda lunga della guerra in Ucraina ha spinto i bilanci pubblici verso obiettivi che fino a poco tempo fa parevano irrealistici: il famoso 2% del PIL per la difesa si è trasformato da slogan Nato a vincolo politico.

A beneficiarne sono stati i grandi campioni del settore, dai sistemi missilistici ai veicoli blindati, dai droni alle soluzioni cyber, ma anche una miriade di fornitori medio-piccoli che lavorano in nicchie ultra-specializzate. Le linee produttive sono state riaperte o potenziate, gli ordini si sono allungati su orizzonti pluriennali, i depositi di munizioni si stanno riempiendo dopo anni di sotto-investimenti.

Eppure questa “rinascita” militare porta con sé interrogativi scomodi. Quanto è sostenibile una crescita trainata da conflitti e tensioni? Che tipo di innovazione viene privilegiata quando la priorità è consegnare armamenti in tempi rapidissimi? Il rischio, sottolineato da più di un analista, è che l’Europa rincorra emergenze a breve termine, senza costruire una vera architettura industriale di lungo periodo, né strumenti di controllo democratico adeguati sulla destinazione della spesa.

Aeronautica civile: tra ripresa dei cieli e sfida della decarbonizzazione

Mentre la difesa corre, anche l’aeronautica civile ha ritrovato una sua traiettoria di crescita. Nel 2024 il segmento ha raggiunto 129,1 miliardi di euro, in aumento del 6%. La domanda di voli è tornata ai livelli, e in alcuni casi oltre, del periodo pre-pandemico, con compagnie aeree alla ricerca di flotte più moderne e meno energivore.

Le imprese europee stanno cavalcando questa tendenza con una nuova generazione di velivoli a minor consumo, cablaggi più leggeri, avionica digitale, materiali compositi. È il tentativo, non semplice, di conciliare espansione del traffico aereo e obiettivi climatici sempre più stringenti.

Dietro la ripresa si nascondono, però, fragilità strutturali: colli di bottiglia nella supply chain, ritardi nelle consegne di componenti chiave, carenza di tecnici e ingegneri qualificati. Molte aziende faticano a trovare competenze in grado di lavorare su propulsioni ibride, sistemi a idrogeno, gestione dei dati in tempo reale. Si investe, sì, ma non sempre con la profondità necessaria per trasformare l’Europa nel laboratorio globale dell’aviazione sostenibile.

In altre parole: il mercato c’è, la tecnologia in parte anche. Manca, spesso, la capacità di coordinare strategia industriale, ricerca pubblica e formazione. E questa lacuna rischia di pesare proprio quando la concorrenza internazionale si fa più feroce.

Spazio: un 3% che vale molto più dei numeri

Guardando i dati in superficie, il settore spazio potrebbe sembrare quasi marginale: 13,2 miliardi di euro di fatturato, in crescita del 3,1%. Una percentuale modesta rispetto ai balzi di difesa e aeronautica. Eppure, per comprendere il futuro dell’aerospazio europeo, è proprio qui che conviene fermarsi un momento.

I satelliti ospitano infrastrutture critiche – telecomunicazioni, navigazione, osservazione della Terra – senza le quali l’economia digitale semplicemente non esisterebbe. Ogni lancio, ogni nuovo payload, tiene insieme un ecosistema industriale che va dalle start-up di data analytics alle grandi agenzie spaziali.

Il problema è che la corsa allo spazio è diventata un gioco dominato da attori planetari, Stati Uniti e Cina su tutti, con l’ingresso massiccio di colossi privati, mentre l’Europa rischia di rimanere intrappolata in una dimensione intermedia, forte in alcune nicchie tecnologiche, ma fragile quando si tratta di massa critica e rapidità di esecuzione.

L’incremento del 3,1% racconta una crescita, certo, ma anche una fatica: quella di trasformare progetti ambiziosi in piattaforme industriali scalabili, capaci di trattenere talenti e capitali sul suolo europeo.

Occupazione e filiera: 4,2 milioni di posti di lavoro che non si vedono

L’industria dell’aerospazio e della difesa non vive in un laboratorio isolato. Secondo ASD, l’intera filiera sostiene quasi 4,2 milioni di posti di lavoro e genera 779 miliardi di euro di attività economica nel continente. Numeri che raramente compaiono nel dibattito pubblico, più attratto dalle cifre dei bilanci statali che dalle dinamiche del tessuto produttivo.

Nelle regioni dove sorgono i grandi stabilimenti di assemblaggio, l’effetto è evidente: crescita del reddito locale, nascita di cluster di PMI altamente specializzate, investimenti in formazione tecnica. Ma una quota non trascurabile del valore aggiunto si disperde in catene globali di fornitura dove l’Europa non sempre detta le regole del gioco.

Inoltre, il settore continua a mostrare forti squilibri territoriali: alcune aree sono diventate hub di eccellenza, altre restano ai margini, con il rischio di creare un’Europa “a due velocità” anche sul fronte tecnologico. La domanda da porsi è se l’attuale modello di crescita contribuisca a ridurre o ad ampliare queste distanze.

Il grande assente: una vera politica industriale europea

Nel presentare i dati, il presidente di ASD Micael Johansson ha lanciato un appello chiaro: servono una strategia industriale per l’aeronautica civile e un impegno consistente a proseguire gli investimenti nella difesa. Tradotto: l’Europa non può più permettersi di procedere per bandi frammentati, programmi nazionali non coordinati e iniziative temporanee legate all’emergenza del momento.

La mancanza di una visione condivisa si vede nella difficoltà a mettere in comune piattaforme, standard e infrastrutture. Ogni Paese continua a difendere il proprio campione nazionale, spesso duplicando capacità produttive e linee di ricerca che, messe insieme, sarebbero molto più efficienti.

Questo modo di procedere, apparentemente razionale dal punto di vista politico interno, rischia di essere letale su scala globale. Stati Uniti e Cina pianificano con orizzonti di decenni, integrando politiche industriali, finanziamenti pubblici, procurement militare e diplomazia. L’Europa, invece, si muove spesso per correzioni successive, inseguendo crisi e contingenze.

I numeri del 2024 dimostrano che la base industriale esiste ed è vivace. Quello che manca ancora è una cornice strategica che le permetta di esprimere tutto il proprio potenziale.

Ricerca e sviluppo: 25 miliardi non bastano più

La spesa in R&D del settore ha raggiunto 25,2 miliardi di euro, con una crescita del 9,4% rispetto all’anno precedente. Sulla carta è un segnale incoraggiante. Nella pratica, tuttavia, ASD stessa riconosce che l’Europa continua a inseguire i grandi rivali globali sul terreno dell’innovazione.

Il nodo non è solo quanto si spende, ma come. Troppi progetti restano confinati nella fase di prototipo, senza una chiara roadmap verso l’industrializzazione. In alcune aree, dall’intelligenza artificiale per i sistemi di difesa alla gestione dei big data per l’aviazione, fino alle tecnologie spaziali dual use, i tempi di trasferimento dalla ricerca al mercato restano lunghi, a volte estenuanti.

Le start-up faticano a scalare, schiacciate tra normative complesse, accesso al credito limitato e procedure di procurement poco adatte a realtà agili. Nel frattempo, talenti formati in Europa vengono attratti da ecosistemi esteri percepiti come più dinamici e generosi in termini di capitali di rischio.

Se l’innovazione è il vero campo di battaglia del prossimo decennio, l’Europa sta giocando una partita in cui non può più permettersi di sbagliare tempi e priorità.

Tra etica, sicurezza e priorità di spesa: le zone grigie della nuova corsa agli armamenti

Ogni volta che l’industria della difesa registra numeri record si riapre una discussione inevitabile: fino a che punto è legittimo festeggiare un boom economico legato a conflitti e minacce? Nel 2024, con la guerra in Ucraina ancora in corso e altre crisi latenti, la domanda suona ancora più urgente.

Da un lato, nessun governo può ignorare la necessità di rafforzare le proprie capacità militari. La deterrenza, nel mondo che si sta ridisegnando, è tornata a essere una parola chiave. Dall’altro, ogni euro speso in armamenti è un euro in meno per welfare, transizione energetica, istruzione, almeno nel breve periodo.

Il punto non è contrapporre in modo naïf “spesa sociale” e “spesa militare”, ma chiedersi quale progetto di società l’Europa intenda finanziare e con quali strumenti di trasparenza. La crescita dell’aerospazio e della difesa può diventare un volano per tecnologie duali utili anche al civile, o trasformarsi in una bolla alimentata da emergenze che cambiano volto ogni pochi anni.

La scelta, ancora una volta, non è solo tecnica. È politica e culturale.

Verso quale cielo vuole volare l’Europa?

I numeri di ASD fotografano un settore in salute: fatturato in crescita, occupazione ai massimi storici, R&D in espansione. Ma sarebbe un errore leggerli come un traguardo definitivo. Sono, semmai, l’inizio di un bivio.

Se l’Europa saprà trasformare questa fase di espansione in una strategia coerente di lungo periodo, l’aerospazio e la difesa potranno diventare il cuore di una nuova sovranità tecnologica: più autonomia nelle forniture critiche, maggiore capacità di influenzare standard globali, filiere produttive capaci di creare valore diffuso.

Se, invece, prevarranno logiche emergenziali, nazionalismi industriali e investimenti frammentati, il boom del 2024 rischierà di restare un picco isolato, una parentesi brillante prima di una nuova stagione di dipendenze esterne.

La domanda, in fondo, è semplice e allo stesso tempo decisiva: che tipo di cielo vuole abitare l’Europa nei prossimi vent’anni? Uno in cui guarda passare i velivoli progettati altrove, o uno in cui continua a disegnarli, costruirli, governarli?

Le risposte non si troveranno solo nei bilanci delle aziende o nei report di ASD, ma nelle scelte politiche dei prossimi anni. E nel coraggio o nella timidezza con cui l’Europa deciderà di investire sulla propria capacità di volare davvero alto.

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