Una mossa strategica tra relazioni industriali, protezionismo tariffario e riorientamento della supply chain globale.
Apple ha annunciato un nuovo investimento da 2,5 miliardi di dollari nello storico partner Corning, produttore del vetro utilizzato nei dispositivi iPhone e Apple Watch, con l’obiettivo dichiarato di trasferire l’intera produzione del vetro protettivo negli Stati Uniti, presso lo stabilimento dell’azienda a Harrodsburg, Kentucky. Si tratta di una delle leve più significative utilizzate da Cupertino per allinearsi alla politica economica “America First” del presidente Donald Trump, in un momento in cui la tensione tariffaria tra USA, Europa e Asia minaccia gli equilibri delle filiere globali.
Il programma AMP e i 600 miliardi promessi: Apple risponde alla pressione politica
L’operazione si inserisce all’interno del più ampio American Manufacturing Program (AMP), con cui Apple ha ufficializzato un impegno di 600 miliardi di dollari in investimenti negli Stati Uniti per i prossimi quattro anni—incrementando la precedente promessa da 500 miliardi avanzata a inizio 2025. Lo ha annunciato il CEO Tim Cook alla Casa Bianca, accanto al Presidente Trump e al Vicepresidente J.D. Vance, presentando anche un omaggio simbolico: una targa in vetro Corning incisa in oro 24 carati, con il nome del Presidente.
Dietro la vetrina americana, la realtà di una produzione ancora globalizzata
Nonostante l’enfasi sul ritorno della manifattura, l’assemblaggio degli iPhone continuerà a essere effettuato in Cina e India, come confermato da Cook. La fabbricazione del vetro in Kentucky rappresenta quindi un tassello importante, ma non risolutivo, nel processo produttivo. Tuttavia, è sufficiente a soddisfare i requisiti per accedere agli sconti sui dazi doganali, un tema cruciale per Apple: solo nel terzo trimestre 2025, i dazi statunitensi imposti dalla nuova amministrazione Trump sono costati all’azienda 1,1 miliardi di dollari.
Tariffe e politica industriale: Apple tra protezionismo e negoziazione strategica
L’annuncio di Trump secondo cui le aziende che investono negli Stati Uniti potranno beneficiare di esenzioni tariffarie costituisce un incentivo diretto per Apple. Il messaggio è chiaro: per evitare i costi della guerra commerciale, le big tech dovranno aumentare la loro “presenza produttiva” nazionale, almeno simbolicamente. L’industria del tech si ritrova così a operare in un contesto di geopolitica economica avanzata, dove ogni decisione di investimento è anche una mossa diplomatica.
Le implicazioni giuridiche: tra antitrust, dazi e governance industriale
Apple non cerca soltanto vantaggi tariffari. Il gruppo è attualmente sotto inchiesta per violazioni antitrust da parte del Dipartimento di Giustizia USA, mentre è coinvolto in un contenzioso sull’accordo da 20 miliardi di dollari con Google per il motore di ricerca predefinito su Safari. Inoltre, deve affrontare le nuove restrizioni imposte dall’Unione Europea sull’App Store. Rafforzare la collaborazione con Washington attraverso investimenti produttivi può dunque rafforzare la posizione negoziale del colosso californiano anche su questi fronti.
Corning come simbolo della resilienza manifatturiera americana
Il rapporto con Corning è uno dei più longevi e strategici per Apple: la collaborazione è iniziata nel 2007, con il primo iPhone, e si è evoluta fino a coinvolgere lo sviluppo di vetri super-resistenti basati su Gorilla Glass, oggi fondamentali per la robustezza dei dispositivi mobili. L’investimento attuale consolida il ruolo di Corning come esempio virtuoso di tecnologia avanzata made in USA, capace di coniugare innovazione dei materiali, produzione scalabile e integrazione nella catena del valore globale.
I semiconduttori restano offshore: accordi estesi ma senza reshoring
Parallelamente al potenziamento dell’accordo con Corning, Apple ha annunciato il rafforzamento delle partnership con Samsung Electronics, Texas Instruments e Broadcom, con un focus su semiconduttori e componentistica avanzata. Tuttavia, non è previsto il trasferimento di fabbriche di chip negli Stati Uniti: la produzione resterà in Corea del Sud, Taiwan e Singapore. Si tratta di un’ulteriore conferma del fatto che la strategia Apple punta più sulla diversificazione della supply chain che sul reshoring integrale.
Un equilibrio delicato tra visibilità politica, sostenibilità economica e innovazione
L’iniziativa di Apple è un esempio emblematico di come le aziende globali del tech si stiano adattando a un mondo sempre più segnato da nazionalismi economici, dazi strategici e logiche di compliance geopolitica. Pur mantenendo la struttura produttiva globale, l’azienda riesce a garantire segnali forti alla leadership americana, rafforzando la propria posizione in una fase complessa sia dal punto di vista normativo che competitivo.
Mentre ci si avvicina al lancio dell’iPhone 17 l’attenzione sarà puntata non solo sulle innovazioni tecniche, ma anche sulla capacità di Apple di governare le pressioni sistemiche del nuovo ordine industriale globale.