Amazon sotto accusa: l’inchiesta italiana che scuote l’e-commerce europeo

RedazioneRedazione
| 25/11/2025
Amazon sotto accusa: l’inchiesta italiana che scuote l’e-commerce europeo

La Guardia di Finanza sequestra prodotti e dispositivi, mentre i magistrati sospettano un modello di evasione su larga scala con ramificazioni in tutta l’UE. Al centro del caso: la responsabilità delle piattaforme digitali e il ruolo degli algoritmi nelle filiere globali.

Un’operazione che arriva al cuore del colosso dell’e-commerce

L’immagine di decine di agenti della Guardia di Finanza che entrano simultaneamente in due siti Amazon italiani ha la forza simbolica delle operazioni che marcano uno spartiacque. Non è solo un blitz operativo: è un atto di accusa, ancora tutto da dimostrare, verso un ingranaggio fondamentale dell’economia digitale europea.

Secondo fonti investigative, la Procura di Milano sospetta che Amazon, consapevolmente o forse solo per effetto della scala e della complessità del suo sistema, abbia finito per funzionare come un “cavallo di Troia” per l’ingresso di merci cinesi sul mercato italiano senza pagamento dell’IVA e dei dazi. Una formula brutale, quasi letteraria, che però rende esattamente l’idea di ciò che temono gli inquirenti: una piattaforma nata per semplificare gli scambi trasformata, nella pratica, in un varco potenzialmente incontrollato.

È una storia che intreccia logistica, tecnologia, geopolitica. E, soprattutto, enormi quantità di denaro.

Il sequestro di Bergamo: un piccolo frammento di un quadro molto più vasto

Nel centro logistico di Cividate al Piano, nella provincia di Bergamo, gli agenti hanno sequestrato circa 5.000 prodotti: giocattoli, cover per telefoni, friggitrici ad aria, penne, forbici. Oggetti comuni, quasi banali. Ma proprio per questo rivelatori: il presunto schema non avrebbe riguardato merci di nicchia, bensì un flusso continuo di beni di largo consumo.

Secondo tre fonti informate sul dossier, quei 5.000 articoli rappresenterebbero soltanto una frazione, minuscola, addirittura, del volume totale sospettato. Le stime parlano di fino a mezzo milione di prodotti potenzialmente coinvolti, distribuiti da una rete di aziende italiane ritenute, in molti casi, mere “scatole” operative per entità cinesi.

In realtà non c’è nulla di improvvisato. Questa nuova indagine è un ramo laterale di un procedimento già avviato negli anni scorsi su una presunta evasione da 1,2 miliardi di euro. Il sospetto, inquietante nella sua semplicità, è che la piattaforma venga sfruttata per spostare merci all’interno dell’UE attraverso vie non dichiarate, aggirando in un solo colpo norme fiscali, doganali e persino i controlli tecnologici.

Milano, quartier generale: il punto nevralgico dell’inchiesta

Il secondo fronte del blitz si è aperto a Milano, dove la Guardia di Finanza ha sequestrato apparecchiature IT e identificato il dirigente responsabile della movimentazione dei prodotti nel territorio italiano. È qui che, secondo gli inquirenti, si giocherebbe buona parte della struttura logistica del presunto meccanismo.

Amazon, dal canto suo, mantiene una posizione prudente: «Siamo impegnati a rispettare tutte le leggi fiscali e collaboriamo con le autorità», ha dichiarato, senza aggiungere altro. È un linguaggio istituzionale, calibrato, comprensibile. Ma non basta a spegnere l’attenzione di una Europa ormai molto sensibile alla questione della responsabilità delle piattaforme digitali.

Un’indagine che si allarga a tutta l’UE

La vicenda non resterà confinata all’Italia. Già a luglio, i magistrati milanesi sono stati convocati negli uffici di Eurojust all’Aia, dove hanno presentato i risultati preliminari ai colleghi di diversi Paesi UE, come Germania, Francia, Paesi Bassi, Polonia, Spagna, Belgio, Svezia e Irlanda.

Questo dettaglio, apparentemente tecnico, è, invece, il segnale politico più forte: se le ipotesi degli inquirenti italiani trovassero riscontri negli altri Stati membri, l’Unione Europea potrebbe trovarsi davanti a uno dei più grandi casi di frode doganale dell’ultimo decennio.
Non solo con implicazioni economiche, ma anche diplomatiche.

Con la Cina e, in modo meno diretto, ma comunque inevitabile, con gli Stati Uniti.

L’algoritmo al centro delle accuse: la frontiera fragile del controllo digitale

Uno dei punti più delicati dell’inchiesta riguarda il ruolo degli algoritmi di Amazon. I magistrati sospettano che il sistema possa aver permesso a venditori extra-UE, per lo più cinesi, di offrire prodotti sul mercato italiano senza renderne trasparente la provenienza, eludendo così gli obblighi IVA.

Non si tratta solo di una questione tecnica. È un nodo culturale, quasi filosofico: fino a che punto una piattaforma può dirsi neutrale quando parte delle sue infrastrutture digitali finisce per incidere direttamente sulla fiscalità di un Paese?

La normativa italiana, come molte in Europa, è chiara: i marketplace sono responsabili in solido per l’IVA non versata dai venditori non europei. Il che, tradotto, significa che Amazon potrebbe trovarsi al centro di un contenzioso multimilionario.

L’EPPO apre un’indagine parallela: la dimensione europea della responsabilità fiscale

Come se il quadro non fosse già abbastanza complesso, si aggiunge un elemento ulteriore: l’European Public Prosecutor’s Office (EPPO) sta già indagando sui conti di Amazon relativi agli anni 2021–2024.
La ragione? Le nuove regole UE sulle vendite online, che impongono obblighi molto più rigidi nella gestione dell’IVA sui marketplace.

Il risultato è un doppio fronte: quello italiano, più investigativo, e quello europeo, più regolatorio. Due binari destinati, con ogni probabilità, a incrociarsi.

Lo specchio di come il commercio globale stia cambiando

Il caso Amazon–Cina non è un incidente isolato, né un episodio amministrativo. È uno specchio, forse implacabile, di come il commercio globale stia cambiando.
Di come i confini fisici siano diventati labili, mentre quelli fiscali restano rigidi.
E di come le piattaforme digitali, nata per semplificare, possano trasformarsi in vettori di complessità giuridica e geopolitica.

L’Europa si trova davanti a una domanda cruciale: può davvero regolamentare un mercato in cui la tecnologia corre più veloce delle sue leggi?
E cosa succede quando gli algoritmi, più che strumenti, diventano attori che contribuiscono, volontariamente o meno, a ridisegnare i flussi commerciali internazionali?

In fondo, questa storia parla di Amazon solo in apparenza.
Parla, più profondamente, di un mondo in cui potere economico, dati e logistica si intrecciano come mai prima.
E dell’urgenza di costruire meccanismi di responsabilità capaci di tenere il passo.

Il resto, inevitabilmente, si giocherà nei prossimi mesi. In tribunale, nei tavoli di Bruxelles, nei server che gestiscono l’e-commerce globale.
E nel delicato equilibrio tra innovazione e legalità che definirà il commercio del XXI secolo.

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