L’indagine della Casa Bianca sui componenti aeronautici riaccende le tensioni commerciali. L’Unione Europea e cinque governi chiedono a Washington di salvaguardare la cooperazione industriale internazionale e la competitività del settore.
Mentre il Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti procede con una nuova indagine di sicurezza nazionale (Sezione 232) sulle importazioni di aerei commerciali, motori e parti, la risposta internazionale non si è fatta attendere. Un fronte compatto composto da cinque governi (Canada, Cina, Giappone, Messico e Svizzera) e l’Unione Europea ha formalmente esortato l’amministrazione Trump a non procedere con l’imposizione di nuovi dazi sull’aerospazio, sottolineando le gravi implicazioni economiche, industriali e geopolitiche di tale scelta.
Un settore ad alto valore aggiunto sotto pressione
Il settore aeronautico, tradizionalmente uno dei maggiori generatori di surplus commerciale per gli Stati Uniti (75 miliardi di dollari annui secondo dati governativi), rischia di essere destabilizzato da nuove tariffe che già oggi impongono un dazio del 10% su gran parte delle importazioni aeronautiche.
L’Unione Europea ha dichiarato che eventuali restrizioni aggiuntive rappresenterebbero una violazione dello spirito di cooperazione industriale transatlantica, minando la reciprocità che finora ha regolato gli scambi nell’ambito dell’Accordo multilaterale del 1979 sull’aviazione civile (Civil Aircraft Agreement). “L’Europa valuterà tutte le opzioni per garantire condizioni eque” ha affermato la Commissione in un documento ufficiale.
Preoccupazioni industriali e geopolitiche
Anche i principali attori industriali statunitensi, inclusi Boeing e Delta Air Lines, hanno espresso allarmi. Boeing ha evidenziato l’importanza di garantire l’esenzione tariffaria per aerei e componenti nei futuri accordi bilaterali, seguendo l’esempio dell’intesa con il Regno Unito del maggio scorso. Airbus Americas ha rincarato la dose, sostenendo che “le attuali tariffe mettono a rischio la produzione nazionale di velivoli” e che la costruzione di una supply chain interamente domestica “non è né realistica né conveniente.”
JetBlue, invece, ha messo in guardia contro il potenziale impatto sui prezzi dei biglietti e sulla sicurezza operativa, mentre il sindacato United Auto Workers, che rappresenta 10.000 lavoratori aerospaziali, ha invece appoggiato dazi e quote di produzione, denunciando la riduzione dell’occupazione nel settore: da 850.000 addetti nel 1990 ai 510.000 attuali.
Il rischio di frammentazione della supply chain globale
Il timore condiviso è che ulteriori tariffe possano compromettere la rete di approvvigionamento globale che oggi sostiene sia la produzione sia la manutenzione degli aerei civili. Il Messico ha dichiarato che nel solo 2024 ha esportato 1,45 miliardi di dollari in componenti aeronautiche verso gli USA, mentre l’UE ha ricordato che importa dagli Stati Uniti circa 12 miliardi di dollari di aerei, esportandone 8 miliardi in senso inverso.
Dietro l’apparente difesa della sicurezza nazionale si cela un dibattito più ampio sul futuro dell’industria aerospaziale americana. Se da un lato Washington cerca di rilanciare la produzione interna, dall’altro rischia di alimentare nuove tensioni commerciali in un contesto globale già segnato da guerra dei dazi, ristrutturazione delle catene globali e crescente rivalità tra USA, Europa e Cina.
Un equilibrio ancora da trovare
L’esito dell’indagine Sezione 232 sarà un test cruciale non solo per l’industria aerospaziale, ma per la politica commerciale degli Stati Uniti nel suo complesso. Le scelte che verranno prese influenzeranno il delicato equilibrio tra protezionismo strategico e cooperazione industriale internazionale, in un settore che rappresenta una delle spine dorsali della capacità tecnologica, economica e difensiva delle nazioni.