In un Paese che ancora fatica a garantire una copertura FTTH adeguata, a modernizzare la sua pubblica amministrazione digitale e a sviluppare un mercato TLC competitivo, evocare reti che “anticipano i bisogni” rischia di trasformarsi in un banale espediente retorico appositamente coniato per celare, al contrario, un’assenza di concreta strategia. Serve, soprattutto, la volontà di affrontare con serietà i nodi strutturali che frenano da anni il settore. Perché la retorica, da sola, non basta.
Nel discorso pronunciato alla Winter edition di Telco per l’Italia, il sottosegretario Alessio Butti ha tratteggiato un futuro in cui le reti italiane si trasformano in organismi viventi, capaci di ascoltare, prevenire e reagire.
Una visione suggestiva, si potrebbe dire, ricca di immagini evocative e di promesse altisonanti. E tuttavia, dietro questa narrazione, rimane un nodo stretto e palpabile di irrisolutezza. E vogliamo essere più chiari, interpretando ciò che i manager del settore dicono a denti stretti. Ciò che emerge è il vuoto tra ciò che viene annunciato e ciò che il settore delle telecomunicazioni italiane affronta realmente ogni giorno: un vuoto che non è mai stato così ampio.
Strabismo tra realtà e desideri?
Nel suo intervento Butti immagina una rete che non si limita a trasportare dati, ma che si comporta quasi come un’entità senziente, trasformando ogni nodo in un sensore intelligente grazie all’intelligenza artificiale. È un’immagine “ad effetto”, utile a catturare l’attenzione, buona a prestarsi per un titolo giornalistico, ma priva di un fondamento operativo credibile.
In un Paese che ancora fatica a garantire una copertura FTTH adeguata, a modernizzare la sua pubblica amministrazione digitale e a sviluppare un mercato TLC competitivo, evocare reti che “anticipano i bisogni” rischia di trasformarsi in un banale espediente retorico appositamente coniato per celare, al contrario, un’assenza di concreta strategia.
Un patto tra pubblico e privato?
Il fulcro del discorso fatto dovrebbe essere il famoso “nuovo patto tra pubblico e privato”, presentato come la chiave per rilanciare il settore. Ma ciò che viene definito patto somiglia più a uno slogan che a un progetto di governance.
Non vengono esplicitati obiettivi condivisi, né criteri di verifica, tantomeno qualsivoglia assegnazione delle responsabilità o individuazione di modalità per evitare distorsioni concorrenziali.
La cooperazione pubblico-privata è essenziale, non si può che essere d’accordo in linea di principio, ma presuppone trasparenza, regole e un chiaro quadro istituzionale, non una semplice “invocazione di collaborazione”.
Le Bolle di connettività 5G?
La narrazione si incanala poi in una celebrazione dei preparativi digitali per le Olimpiadi invernali, con riferimento a “bolle di connettività 5G” e sperimentazioni futuristiche.
Ma anche qui l’enfasi prevale sulla sostanza.
Le reti di supporto agli eventi sportivi sono necessarie, ma non possono essere presentate come la rivoluzione strutturale del sistema delle telecomunicazioni italiane. Manca qualunque riferimento a indicatori di performance, investimenti strutturali, benchmark europei o verifiche indipendenti.
Dalla privacy al Quantum e oltre?
Sul fronte della sicurezza e della privacy, l’affermazione secondo cui la riservatezza sarebbe “un prerequisito abilitante” rischia di restare un desiderio più che un impegno concreto.
L’accenno al quantum computing sembra inserito più per conferire gravitas al discorso che per indicare una reale strategia di migrazione verso algoritmi post-quantum o una roadmap operativa per proteggere infrastrutture che ancora oggi non sono nemmeno uniformemente integrate.
E la PA?
La parte dedicata alla Pubblica Amministrazione è forse la più distaccata dalla realtà quotidiana dei cittadini. Secondo Butti, l’innovazione “raggiunge” il cittadino grazie alla Piattaforma Digitale Nazionale Dati e alla trasformazione del rapporto con la PA. Eppure il Paese continua a vivere una frammentazione regionale profonda, una scarsa interoperabilità tra sistemi e un fascicolo sanitario elettronico ancora incompleto e disomogeneo. I numeri citati – milioni di scambi, migliaia di enti collegati – sono impressionanti, ma non spiegano nulla sulla qualità del servizio, sull’esperienza degli utenti o sui tempi effettivi di risposta delle amministrazioni. Per la cronaca non esiste alcuna lista pubblica e trasparente delle 6/7/8mila strutture sanitarie collegate ad 1 Giga secondo quanto indicato dai finanziamenti PNRR. Al momento nessuno è in condizione di verificare la veridicità di questi numeri esistono solo numeri totali regionali aggregati, ma non vi è alcuna possibilità di verificare se effettivamente la struttura sanitaria X o Y di questa o quella regione abbia effettivamente una connessione a 1 Giga. Tutto sulla fiducia nelle enunciazioni ufficiali, ma senza alcuna trasparenza, pur prevista dalle procedure. Ma di questo probabilmente si riparlerà a giugno 2026, quando finirà il PNRR.
Stato e operatori di Tlc?
Il passaggio più delicato è forse quello in cui Butti auspica operatori TLC meno “vendor di connettività” e più “partner strategici” dello Stato. Un concetto che, se portato alle estreme conseguenze, rischia di confondere irrimediabilmente i ruoli.
In un mercato già fragile e minacciato da posizioni dominanti, l’idea di dissolvere il confine tra Regolatore e Regolato appare pericolosa.
Il settore ha bisogno di regole solide, concorrenza leale, investimenti sostenibili e coerenza normativa con il quadro europeo; non di una fusione concettuale che rischia di minare l’equilibrio del sistema.
E il PSN?
Il Polo Strategico Nazionale viene citato come esempio di visione, ma la realtà è che rimangono ancora molte incognite su governance, interoperabilità, performance e indipendenza tecnologica. Allo stesso modo, l’appello a una “federazione europea del cloud” e a un nuovo modello Gaia-X non è accompagnato da alcuna indicazione su come l’Italia intenda contribuire, sostenere o guidare queste iniziative. Anche qui tracce evidenti di uno slogan buttato con apparente grazia sul tavolo del confronto on un settore che accusa uno stato di crisi senza precedenti.
Una boutade?
L’intervento si chiude con una suggestione quasi surreale: inserire il “diritto all’innovazione” nella Costituzione. Ma quando il Paese fatica ancora a garantire servizi digitali uniformi, copertura adeguata e qualità del servizio, il rischio è che l’innovazione venga evocata, ancora una volta, come principio retorico mentre i problemi strutturali rimangono intatti.
Ma le tlc hanno bisogno di altro?
Il vero futuro delle telecomunicazioni italiane non si costruisce con immagini poetiche di reti che respirano o con richiami a patto evocati, ma mai definiti.
Serve una politica industriale concreta, una visione europea coerente, un quadro regolatorio stabile e una cultura della trasparenza.
Serve, soprattutto, la volontà di affrontare con serietà i nodi strutturali che frenano da anni il settore.
Perché la retorica, da sola, non basta.
E perché un’illusione, anche se ben raccontata, resta pur sempre un’illusione.
