Il mattone quantistico anti-errore della Cina

RedazioneRedazione
| 01/12/2025
Il mattone quantistico anti-errore della Cina

Un team guidato dal fisico Pan Jianwei usa il processore Zuchongzhi 2 per creare un “Lego quantistico” ultra-stabile, potenziale base per computer quantistici molto meno fragili.

Simulando un nuovo stato della materia, con effetti quantistici confinati agli angoli del sistema e protetti da leggi topologiche profonde, i ricercatori cinesi propongono un blocco costruttivo che resiste a rumore ed errori. È un passo chiave verso un’architettura quantistica che sa difendersi da sola e che sposta l’ago della bilancia nella competizione globale per il quantum computing.

Un “Lego” che non cade, neppure quando lo scuoti

L’immagine scelta dal gruppo di ricerca non è casuale: un mattoncino tipo Lego che si rifiuta ostinatamente di staccarsi, anche quando lo si scuote con forza. Dietro questa metafora, che sembra quasi un espediente comunicativo, si nasconde, invece, una delle questioni più profonde dell’informatica quantistica: la fragilità strutturale dell’informazione.

Il qubit, un equilibrista

In un computer quantistico ogni qubit è un equilibrista su un filo sottilissimo. Piccole vibrazioni termiche, fluttuazioni elettromagnetiche, imperfezioni di fabbricazione: basta un nulla perché la delicata sovrapposizione di stati collassi, cancellando il vantaggio quantistico che si era faticosamente costruito. Da qui la corsa globale a inventare strategie di correzione degli errori sempre più sofisticate, spesso tanto pesanti da ridurre drasticamente l’utilità pratica delle macchine.

Il lavoro guidato da Pan Jianwei, uno dei volti simbolo della fisica quantistica cinese, prova a capovolgere il problema. Invece di costruire circuiti sempre più complessi per correggere errori inevitabili, l’idea è quella di progettare direttamente blocchi quantistici intrinsecamente stabili, cioè componenti che, per come sono definiti fisicamente, tendono a sopravvivere al rumore. Non un sogno astratto, in questo caso, ma un risultato sperimentale concreto ottenuto utilizzando il processore quantistico Zuchongzhi 2.

Zuchongzhi 2: il laboratorio dove si disegna la materia del futuro

Zuchongzhi 2 non è solo un altro processore quantistico nella lunga lista di prototipi sparsi per il mondo. È il cuore di una strategia nazionale. Basato su qubit superconduttori programmabili, questo dispositivo è stato usato come piattaforma per emulare un nuovo stato esotico della materia, fino a poco tempo fa confinato alle equazioni teoriche.

In pratica, il team di Pan ha configurato la dinamica dei qubit per riprodurre il comportamento di un materiale immaginario, uno di quelli che non si trovano nella tavola periodica, ma nei diagrammi degli specialisti di materia condensata. In questo materiale simulato, le proprietà quantistiche non si distribuiscono in modo uniforme: tendono invece a concentrarsi in regioni estremamente localizzate, spingendosi letteralmente “ai margini” della struttura, fino ad annidarsi negli angoli.

I corner states, i veri protagonisti della storia

Questi stati confinati agli spigoli, i cosiddetti corner states, sono il vero protagonista della storia. È lì che l’informazione quantistica viene immagazzinata, ed è lì che, sorprendentemente, resiste a perturbazioni che in altri contesti distruggerebbero ogni coerenza nel giro di istanti.

Non è solo un esercizio di bravura tecnica. È una dimostrazione di come un processore quantistico possa funzionare da microscopio teorico, un dispositivo capace di “mettere in scena” stati della materia altrimenti inaccessibili ai laboratori tradizionali.

Topologia: quando è la forma a proteggere l’informazione

Per capire perché questo mattone quantistico è così straordinariamente robusto, bisogna entrare, almeno per un momento, nel linguaggio della topologia. È un ramo della matematica che non si preoccupa dei dettagli minuti, ma delle proprietà globali: la differenza, per intenderci, fra una tazza e una ciambella, che per un topologo sono oggetti equivalenti perché entrambi hanno un solo “buco”.

Applicata alla fisica della materia, la topologia ha portato alla scoperta di intere famiglie di materiali le cui proprietà elettroniche non dipendono da dettagli microscopici, bensì da caratteristiche globali della struttura. Una volta fissata la “forma” topologica, il sistema resiste a disturbi anche significativi.

Una vera e propria corazza

Pan e il suo team spingono questo concetto oltre. Il loro è un stato topologico non in equilibrio e di ordine superiore: significa che la protezione non è solo lungo i bordi del materiale (come nei primi isolanti topologici), ma si concentra addirittura nei punti più estremi, negli angoli. È lì che vengono ancorati gli stati quantistici che interessano alla computazione.

In altre parole, l’informazione non è custodita in un qubit nudo e vulnerabile. È avvolta in una configurazione topologica che si comporta come una vera e propria corazza, una sorta di “armatura quantistica”. Il rumore può scuotere, sporcare, disordinare i dettagli locali, ma finché la struttura globale resta intatta, il cuore dell’informazione non cede.

Questa idea non è completamente nuova, ma la sua realizzazione sperimentale in condizioni controllate, su un processore programmabile, è ciò che rende il risultato cinese particolarmente significativo. Non siamo più nel campo delle promesse teoriche, ma in quello ancora fragile, però concreto delle dimostrazioni di principio.

La grande ossessione del quantum computing: domare l’errore

Tutta l’industria del quantum computing ruota attorno a un paradosso: possediamo dispositivi in grado di fare cose che nessun computer classico potrebbe nemmeno simulare e, tuttavia, gran parte di questa potenza sfugge di mano perché i qubit sono estremamente instabili.

Per correre ai ripari, il campo ha sviluppato una vera cultura della correzione degli errori quantistici. Si costruiscono codici sofisticatissimi, si impilano qubit fisici per ottenere un singolo qubit logico più affidabile, si progettano algoritmi che tollerano un certo tasso di errore. Il prezzo è altissimo: in alcuni scenari ipotizzati, migliaia di qubit fisici servirebbero per simulare, in modo davvero utile, un numero molto più ridotto di qubit logici.

La stabilita’, una proprieta’ nativa

Il mattone quantistico simulato con Zuchongzhi 2 non risolve da solo questo problema, ma suggerisce una via alternativa: immaginare architetture in cui la stabilità non è un’aggiunta, bensì una proprietà nativa. In questo quadro, le fasi topologiche non-equilibrate di ordine superiore diventano un potenziale nuovo standard: blocchi di pochi qubit che, proprio grazie alla loro configurazione, si comportano come entità molto più robuste.

Se in futuro simili blocchi potessero essere concatenati, combinati, scalati in strutture più complesse, si potrebbe immaginare un computer quantistico in cui la correzione degli errori, pur continuando a esistere, non sia più l’unica barriera tra teoria e applicazione. Sarebbe un cambio di paradigma: dalla lotta continua contro il rumore a una convivenza gestibile, quasi “pacificata”.

La Cina e l’ambizione di guidare la frontiera quantistica

Nel raccontare risultati di questo tipo si rischia spesso di isolarli dal contesto. Ma la fisica, oggi, viaggia insieme alla geopolitica. Le scoperte sul mattone quantistico anti-errore si inseriscono in una strategia che la Cina persegue con tenacia: diventare una potenza di riferimento nel quantum computing, nella comunicazione quantistica e, più in generale, nelle tecnologie di frontiera che ridisegnano la competizione globale.

Pan Jianwei, già protagonista del satellite Micius per la comunicazione quantistica e di numerosi esperimenti record, è uno dei volti politici, oltre che scientifici, di questa ambizione. Ogni avanzamento dimostrato dal suo gruppo ha una doppia lettura: da un lato l’impatto sulla comunità scientifica internazionale, dall’altro il messaggio interno, rivolto a decisori politici e investitori, sulla capacità della Cina di posizionarsi in testa alla corsa.

In questo senso, il “Lego quantistico che non cade mai” non è solo un esperimento elegante. È anche un simbolo, una prova di forza. Dice che la Cina non si limita a inseguire le grandi compagnie occidentali sui numeri (più qubit, più velocità), ma intende guidare anche la parte più concettuale, quella in cui si ripensano da zero le architetture quantistiche.

Dalla fisica teorica all’industria: cosa potrebbe cambiare davvero

Come sempre, tra un risultato di laboratorio e una rivoluzione industriale c’è un abisso. Il mattone quantistico protetto dalla topologia è ancora un oggetto sperimentale, realizzato in condizioni controllate, lontano dalle complessità di una macchina commerciale. Ma liquidarlo come curiosità sarebbe un errore di prospettiva.

La storia dell’elettronica classica è piena di esempi analoghi. Gli effetti quantistici nei semiconduttori, i transistor, i primi circuiti integrati: tutto nasce come esperimento di laboratorio, spesso considerato marginale o fine a sé stesso, finché una combinazione di maturità tecnologica, investimenti e visione applicativa non trasforma il prototipo in piattaforma.

Riscrivere le roadmap industriali

Nel caso dei computer quantistici, un “mattone” intrinsecamente stabile potrebbe essere proprio il tipo di innovazione che riscrive le roadmap industriali. Invece di aumentare semplicemente il numero di qubit in dispositivi sempre più rumorosi, i produttori potrebbero concentrarsi sulla replicazione su larga scala di blocchi quantistici robusti, trattandoli come moduli standard.

Le conseguenze andrebbero ben oltre le dimostrazioni di superiorità computazionale. Farmaci progettati attraverso simulazioni quantistiche di molecole complesse, nuovi materiali ottimizzati per l’energia, algoritmi di ottimizzazione capaci di ridurre consumi e sprechi su scala globale: tutti questi scenari, di cui si parla da anni, diventerebbero più credibili se la base hardware smettesse di essere un castello di carte.

Un risultato di frontiera, ma anche un campanello d’allarme

Ogni volta che un Paese compie un salto nel campo delle tecnologie quantistiche, si riaccende un dibattito che riguarda sicurezza, equilibrio internazionale, controllo delle infrastrutture critiche. Il quantum computing non è solo una promessa per la scienza: è anche una potenziale minaccia per gli attuali sistemi di crittografia, per l’equilibrio di potere digitale, per la privacy stessa.

Il mattoncino quantistico cinese non decifra all’istante tutti i codici del mondo, ovviamente. Ma è un pezzo in più verso macchine che, un giorno, potrebbero farlo. E questo spinge inevitabilmente altri attori globali, dagli Stati Uniti all’Europa, passando per India, Giappone e Corea, a interrogarsi sulla propria posizione.

C’è un rischio reale che la corsa al quantum si trasformi in una nuova forma di competizione a somma zero, dove ciascun avanzamento viene letto solo in chiave strategico-militare. Ed è ironico che proprio una tecnologia nata per sfruttare la sovrapposizione degli stati, le connessioni sottili tra sistemi, rischi di alimentare narrative in bianco e nero.

Verso macchine che imparano a non rompersi

Il “mattone quantistico anti-errore della Cina” non è, oggi, ciò che cambierà da solo le sorti dell’informatica. Ma segna una linea di tendenza precisa. Invece di costruire sempre più in alto su fondamenta traballanti, il campo sembra aver capito che occorre tornare alla base: ripensare i blocchi elementari in modo che siano stabili per progettazione, non per aggiustamenti successivi.

Le fasi topologiche di ordine superiore, simulate su processori come Zuchongzhi 2, mostrano che è possibile. Che esistono configurazioni quantistiche in cui l’informazione non è costretta a vivere sotto assedio, ma può trovare nicchie protette, angoli in cui il rumore arriva attenuato, quasi filtrato. Questo, più che un dettaglio tecnico, è un cambio di immaginario: si passa dall’idea di una macchina quantistica sempre sul punto di crollare a quella di un’architettura che impara a non rompersi, per natura.

Affidabilita’ nel lavoro quotidiano

Se nei prossimi anni questi mattoni verranno perfezionati, resi più semplici da produrre, integrati in architetture complesse, potremmo assistere alla nascita di una generazione di computer quantistici meno spettacolari nelle cifre grezze, ma molto più affidabili nel lavoro quotidiano. Non più solo dimostrazioni di potenza, ma strumenti stabili su cui costruire economia, ricerca, perfino politiche pubbliche.

In quella direzione si muove il risultato di Pan Jianwei e del suo team. Non sappiamo ancora se sarà proprio questo mattoncino a diventare lo standard o se verrà superato da altre soluzioni ancora più eleganti. Ma il principio che incarna, la ricerca di una stabilità intrinseca, quasi “ingegnerizzata” dentro le leggi della fisica, è difficilmente reversibile.

Da qui in avanti, ogni progetto di computer quantistico dovrà rispondere a una domanda che Zuchongzhi ha reso improvvisamente concreta: costruire macchine sempre più potenti è abbastanza, se continuiamo a montarle su blocchi che crollano al primo urto? Oppure è il momento di ripensare i mattoni stessi, e con loro l’idea di cosa significhi, in fondo, costruire il futuro dell’informazione?

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