Ankara avvia con la Banca Mondiale i colloqui per un maxi-finanziamento dedicato alla trasformazione della rete di trasmissione, in vista dell’espansione di rinnovabili e nucleare.
Quadruplicare la capacità solare ed eolica, costruire due nuove centrali nucleari e sostenere una domanda in crescita: la Turchia prepara il più grande intervento infrastrutturale della sua storia energetica, affidandosi anche a un sistema HVDC lungo migliaia di chilometri.
La trattativa che segna un punto di svolta
Ci sono momenti in cui un Paese sembra prendere fiato, guardar lontano per un istante e poi rilanciare. L’annuncio del ministro dell’Energia Alparslan Bayraktar, l’apertura dei negoziati con la Banca Mondiale per un finanziamento fino a sei miliardi di dollari, appartiene a questa categoria. Non è solo un’intesa preliminare. È il segnale che Ankara ha deciso di accelerare, con una determinazione quasi brusca, verso una modernizzazione elettrica che era nell’aria da anni ma che ora assume contorni molto più definiti.
La rete turca, cresciuta negli ultimi decenni in parallelo all’espansione economica del Paese, non è più sufficiente a reggere le ambizioni annunciate. E il finanziamento non è una toppa, ma un primo mattone in una ricostruzione su larga scala: un sistema elettrico che dovrà essere più robusto, più flessibile, più interconnesso e, soprattutto, capace di trasportare enormi quantità di energia rinnovabile prodotta lontano dai centri abitati.
L’esplosione rinnovabile come motore dell’intero progetto
La Turchia ha fissato un obiettivo che, a leggerlo in modo distratto, potrebbe perfino sembrare un refuso: quadruplicare la capacità combinata di eolico e solare fino a raggiungere 120 gigawatt in un decennio. È un salto che richiederebbe un’infrastruttura completamente diversa dall’attuale, sia per gestire l’intermittenza delle fonti che per distribuire l’energia attraverso regioni con caratteristiche geografiche ed economiche molto diverse.
C’è una sorta di febbre, forse anche di frenesia industriale, in questa corsa al rinnovabile. Il Paese vuole posizionarsi tra le potenze verdi del Mediterraneo e del Mar Nero e lo vuole fare mentre amplia anche il proprio programma nucleare con due nuovi impianti. Una combinazione che rende la rete il vero nodo strategico dell’intero sistema: senza un’ossatura capace di reggere, anche la produzione più abbondante resterebbe intrappolata nei luoghi di origine.
Ed è qui che l’annuncio del finanziamento trova la sua giustificazione più profonda. Non si tratta soltanto di seguire una tendenza globale, ma di evitare che la crescita energetica turca diventi vittima dei suoi stessi limiti strutturali.
HVDC: la spina dorsale invisibile della nuova Turchia energetica
Al centro del progetto figura la realizzazione di un sistema a corrente continua ad alta tensione (HVDC), lungo migliaia di chilometri. Una scelta che non è puramente tecnica, ma strategica. Le linee HVDC permettono di trasportare energia su distanze enormi con perdite ridotte, stabilizzando un sistema che sarà sottoposto, nei prossimi anni, a sollecitazioni inedite.
L’intenzione è chiara: creare un asse infrastrutturale che colleghi la produzione eolica delle coste occidentali e settentrionali, il fotovoltaico delle regioni interne e i futuri poli nucleari in una rete coerente, elastica, praticamente “a prova di futuro”. Una rete così sarebbe anche una leva geopolitica, consentendo alla Turchia di diventare snodo, forse persino piattaforma, tra Europa, Caucaso e Medio Oriente.
Il ministro Bayraktar lo ha riassunto in poche parole su X, ma tra quelle righe asciutte si intravede una trasformazione da cui dipenderanno non mesi, ma decenni di assetto energetico.
La cornice geopolitica: un Paese che vuole giocare in prima fila
Osservata da fuori, la mossa di Ankara somiglia a un posizionamento preciso in un momento in cui l’energia è tornata a essere un campo di forza strategico globale. L’interesse della Banca Mondiale non è mai casuale: rappresenta una sorta di validazione tecnica e politica di un progetto, un segnale che la comunità internazionale ritiene credibile la direzione presa.
Nell’ultimo decennio la Turchia ha oscillato tra il ruolo di ponte e quello di attore autonomo nei dossier energetici, mantenendo relazioni complesse con Russia, Europa, Stati del Golfo. La modernizzazione della rete non è soltanto un’operazione tecnica. È un modo per riaffermare la centralità del Paese al crocevia delle rotte energetiche, e per farlo con una infrastruttura che lo proietta dentro la transizione energetica globale anziché ai suoi margini.
In una regione in cui il potere è spesso definito dalla capacità di produrre, distribuire e controllare l’energia, la rete diventa un linguaggio di influenza.
Il vero banco di prova: trasformare l’infrastruttura in sistema
L’aspetto più impegnativo dell’intero progetto non è finanziario, sebbene ventotto miliardi di dollari siano una cifra che impone prudenza, ma operativo. Modernizzare la rete significa anche intervenire sui sistemi di controllo, creare nuove competenze, digitalizzare processi che spesso, nel settore elettrico, sono ancora radicati in metodologie analogiche.
La sfida sarà evitare il paradosso che colpisce molti Paesi in transizione: infrastrutture costruite più velocemente della capacità del sistema di sfruttarle davvero. La Turchia dovrà formare tecnici, ingegneri, analisti; dovrà riorganizzare le modalità di gestione della rete; dovrà strutturare un modello in cui rinnovabili e nucleare possano convivere senza creare disequilibri.
Non sarà semplice, ma è precisamente ciò che distingue una visione di lungo corso da un annuncio politico.
Una trasformazione che ridefinisce il futuro energetico (e non solo)
L’accordo con la Banca Mondiale, di per sé, non rivoluziona la Turchia. Ma delinea, con una chiarezza quasi geometrica, il percorso che Ankara intende seguire. Una Turchia che vuole essere non soltanto autosufficiente, ma competitiva; non soltanto moderna, ma rilevante; non soltanto stabile, ma parte attiva della riconfigurazione energetica globale.
La rete che si prepara a costruire non è un’infrastruttura neutra. È una piattaforma per l’industria, per la digitalizzazione, per l’integrazione regionale. E, forse, per una futura leadership nel dialogo energetico euroasiatico.
Un cambio di pelle
Quando il primo tratto del sistema HVDC entrerà in funzione, probabilmente nessuno lo noterà davvero. Le linee non faranno rumore, i flussi non saranno visibili, la modernizzazione resterà silenziosa come devono essere, spesso, le rivoluzioni infrastrutturali. Eppure, quel momento rappresenterà un cambio di pelle, quasi una mutazione, per l’intero sistema energetico turco.
In un mondo che corre verso un’elettrificazione totale, la Turchia sta scegliendo di non essere spettatrice, ma architetto del proprio destino energetico. Se riuscirà a tradurre questa visione in una rete stabile, intelligente, capillare, potrà diventare uno dei protagonisti della transizione globale. Se fallirà, rischierà, invece, un decennio di rincorse affannose.
È il margine sottile su cui si poggiano i grandi progetti. Quelli che, se funzionano, riscrivono una storia. Se si inceppano, la fermano. La Turchia ha deciso quale delle due strade vuole percorrere. Il resto, inevitabilmente, dipenderà dal modo in cui l’energia, ancora una volta, ridisegnerà le geografie del potere.