Washington frena sull’ordine esecutivo AI: la battaglia tra Casa Bianca e Stati entra nel vivo

| 22/11/2025
Washington frena sull’ordine esecutivo AI: la battaglia tra Casa Bianca e Stati entra nel vivo

La Casa Bianca mette in pausa un ordine esecutivo che avrebbe cercato di neutralizzare le leggi statali sull’intelligenza artificiale attraverso cause federali e tagli ai finanziamenti.

La sospensione rivela un conflitto istituzionale crescente: mentre Trump vuole un quadro nazionale uniforme per favorire il settore AI, diversi Stati, sostenuti da membri di entrambi i partiti, difendono il proprio diritto a regolamentare deepfake, frodi e abusi digitali.

Washington si ferma: l’ordine che avrebbe sfidato gli Stati

In un clima politico già teso attorno alla regolamentazione dell’intelligenza artificiale, la Casa Bianca ha deciso di mettere in pausa un ordine esecutivo destinato a creare uno scontro diretto tra governo federale e Stati americani.
L’ordine, secondo documenti visionati da Reuters, puntava a un obiettivo radicale: preempt, cioè neutralizzare o ribaltare in tribunale le leggi statali sull’AI considerate troppo restrittive.

Non una mossa laterale, ma una sfida frontale al mosaico di norme locali che molte aziende tech percepiscono come un freno all’innovazione.
Il segnale politico? Che l’amministrazione Trump era pronta a spingersi molto oltre la linea tradizionale del federalismo americano per “liberare” il settore AI.

Poi, all’improvviso, la frenata.

La misura congelata: un task force per attaccare le leggi statali

Il testo preliminare, ora congelato, era tutt’altro che timido.
Avrebbe autorizzato il procuratore generale, Pam Bondi, a creare un “AI Litigation Task Force”, un’unità dedicata esclusivamente a contestare in tribunale le normative statali su tre fronti:

  • violazione del commercio interstatale
  • conflitto con regolamenti federali preesistenti
  • eccessi di competenza delle legislature locali.

In parallelo, il Dipartimento del Commercio avrebbe dovuto rivedere le leggi statali sull’AI e proporre linee guida che permettessero al governo federale di limitare o sospendere fondi broadband per gli Stati con normative ritenute troppo invasive.

Era, di fatto, un’arma normativa a doppio taglio: cause federali da un lato, tagli ai finanziamenti dall’altro. Una combinazione che, già nel disegno, prometteva scontri feroci.

Il precedente: un Senato quasi unanime contro il blocco delle leggi statali

Che un tentativo del genere potesse incendiare il Congresso era evidente.
Solo pochi mesi prima, un emendamento volto a impedire agli Stati di legiferare sull’AI, ostacolando l’accesso ai fondi del programma BEAD da 42 miliardi, era stato respinto con un voto sorprendentemente bipartisan: 99 a 1.

Un segnale politico allarmante per la Casa Bianca. Su questo terreno, i legislatori non vogliono rinunciare alla supervisione locale, soprattutto quando si parla di:

  • deepfake
  • frodi online
  • abusi su minori
  • contenuti generativi difficilmente rintracciabili.

La tensione è riesplosa quando Trump ha appoggiato l’idea di inserire una misura simile nel National Defense Authorization Act (NDAA), mettendo formalmente l’AI nella categoria “sicurezza nazionale”.

Gli Stati reagiscono: un fronte bipartisan contro Washington

Se l’amministrazione sperava in una spaccatura politica prevedibile, la risposta è stata l’esatto contrario.
Le critiche sono arrivate da entrambi gli schieramenti:

• Marjorie Taylor Greene (R-Georgia)

“Gli Stati devono mantenere il diritto di regolamentare l’AI. Il federalismo deve essere preservato”

• Amy Klobuchar (D-Minnesota)

“L’ordine sarebbe illegale. Attaccherebbe gli Stati per aver protetto consumatori, bambini e creatori”

Non era solo dissenso politico. Era una difesa delle prerogative statali come ultimo argine contro un settore tecnologico percepito come troppo rapido, troppo imprevedibile e troppo concentrato in poche mani.

L’altra faccia dello scontro: Big Tech spinge per un quadro unico

In parallelo, le grandi aziende tecnologiche — Google, OpenAI, Andreessen Horowitz — hanno intensificato la pressione sul governo federale per evitare il proliferare di norme divergenti.

Il loro argomento è semplice, quasi matematico:
50 Stati = 50 regole. E 50 regole = caos per l’innovazione.

Un quadro federale uniforme, sostengono, permetterebbe di:

  • sviluppare modelli AI scalabili
  • facilitare test e deployment
  • evitare requisiti incompatibili
  • accelerare l’adozione commerciale.

Ma questo stesso modello centralizzato, verticale si scontra con una lunga storia americana: quella in cui gli Stati sono i primi laboratori normativi e non semplici spettatori.

Una pausa che non risolve il conflitto, ma lo espone

La sospensione dell’ordine esecutivo non chiude la questione.
Anzi, la cristallizza.

Da una parte la Casa Bianca, che vuole un framework nazionale che favorisca l’AI e limiti la frammentazione normativa.
Dall’altra, gli Stati e un Congresso insolitamente compatto che rivendicano il diritto di regolamentare un settore che tocca sicurezza, privacy, responsabilità legale.

Nel mezzo, l’industria tecnologica, che spinge per ridurre gli ostacoli.
E i cittadini, sempre più esposti a rischi inediti.

Una frattura americana che modella il futuro dell’AI

La sospensione dell’ordine esecutivo non è un passo indietro definitivo.
È una pausa tattica, un modo per evitare un conflitto istituzionale troppo aperto mentre l’amministrazione misura la resistenza del sistema.

Ma la linea di faglia resta lì, evidente:

  • innovazione contro regolazione
  • centralizzazione contro autonomia statale
  • e un settore, l’AI, che cresce più rapidamente degli strumenti giuridici pensati per contenerlo.

Il vero nodo, quello non ancora affrontato, è un altro: gli Stati Uniti possono guidare la corsa globale all’AI senza un quadro normativo coerente, o sono destinati a dibattersi in un conflitto interno che rallenterà la loro capacità di competere?

Una risposta, per ora, non c’è.
Eppure l’impressione è chiara: la battaglia tra Washington e gli Stati sull’AI non è un episodio.
È il preludio di una nuova stagione politica, una in cui il potere tecnologico si misura anche nel diritto di stabilire chi, negli USA, può davvero dettare le regole del futuro digitale.

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