Tokyo amplia le no-fly zone per droni contro la nuova minaccia del terrorismo

RedazioneRedazione
| 13/11/2025
Tokyo amplia le no-fly zone per droni contro la nuova minaccia del terrorismo

Tokyo rafforza il controllo dello spazio aereo a bassa quota per contrastare droni sempre più veloci e sofisticati.

Il governo giapponese estende le aree interdette al volo entro 1.000 metri da siti critici, mentre cresce l’ansia globale per l’uso terroristico dei droni di nuova generazione.

C’è una linea sottile, quasi invisibile, ma sempre più fragile, che separa l’innovazione dall’insicurezza.
Il Giappone, Paese che ha fatto della tecnologia un’estensione di sé, oggi si trova a ridisegnare quella linea per proteggere la propria infrastruttura nazionale.

Secondo quanto appreso dal Nikkei, Tokyo si prepara ad ampliare drasticamente le no-fly zone per droni, in risposta alla crescita esponenziale di velivoli commerciali sempre più veloci, intelligenti e, potenzialmente, pericolosi.
Un cambiamento che non riguarda solo la sicurezza interna, ma definisce una nuova postura strategica in un’epoca in cui il cielo, improvvisamente, è diventato vulnerabile.

L’evoluzione dei droni: da hobby tecnologico a rischio di sicurezza nazionale

Negli ultimi cinque anni, il mercato dei droni commerciali ha compiuto un salto tecnico che pochi avrebbero previsto con questa rapidità.
Le versioni più recenti, acquistabili senza particolari autorizzazioni, superano facilmente:

  • i 100 km/h di velocità
  • decine di chilometri di autonomia
  • stabilizzazione avanzata tramite sensori multipli
  • capacità di carico non banale
  • sistemi di guida semi-autonoma con waypoint intelligenti.

Una combinazione che, per gli analisti della sicurezza, rappresenta la “tempesta perfetta”: accessibilità, potenza, velocità.
In altre parole, strumenti potenzialmente utilizzabili per lo spionaggio, il sabotaggio, perfino attacchi mirati.

Il Giappone ha studiato con attenzione episodi internazionali, dal Medio Oriente all’Ucraina, in cui piccoli droni commerciali sono stati trasformati in armi improvvisate.
L’idea che un Paese pacifico come il Giappone non possa essere un bersaglio è, ormai, un’illusione.

Le nuove restrizioni: una cintura protettiva di 1.000 metri intorno ai siti critici

Il cuore della riforma consiste nell’ampliare le aree vietate al volo dei droni fino a 1.000 metri da:

  • centrali elettriche e nucleari
  • aeroporti civili e militari
  • palazzi governativi
  • basi delle Forze di autodifesa
  • infrastrutture industriali sensibili
  • depositi energetici e logistici
  • snodi ferroviari ad alta densità
  • aree designate per grandi eventi pubblici.

La scelta non è casuale.

I droni moderni sono sufficientemente veloci da coprire brevi distanze in pochi secondi, troppo pochi per permettere alle forze dell’ordine di intervenire.
Un buffer più ampio offre, invece, un margine di manovra prezioso per intercettare, disturbare o neutralizzare eventuali velivoli ostili.

È un modo per trasformare lo spazio aereo a bassa quota in una sorta di zona cuscinetto, dove la prevenzione è più efficace dell’intercettazione tardiva.

Non è solo prevenzione: il Giappone risponde a minacce già viste

Ufficialmente, Tokyo non parla di “eventi critici”, ma il Paese ha vissuto episodi che hanno accelerato la scelta:

  • un drone trovato sul tetto dell’ufficio del Primo Ministro
  • intrusioni non autorizzate vicino agli aeroporti di Haneda e Kansai
  • droni avvistati durante eventi pubblici ad alta visibilità
  • tentativi di sorvolo di infrastrutture energetiche.

Questi casi, per quanto isolati, hanno mostrato quanto sia facile per un dispositivo commerciale infrangere perimetri considerati, fino a ieri, inviolabili.

Tokyo conosce bene la lezione: la sicurezza perfetta non esiste, ma l’assenza di cornici regolatorie è un invito aperto al rischio.

Innovazione vs sicurezza: un equilibrio fragile nel Paese dei robot

Il Giappone è una potenza tecnologica.
È il Paese che testa droni agricoli autonomi, robot logistici volanti, reti di consegna automatizzata.
Bloccare tutto sarebbe non solo inutile, ma controproducente.

Ecco perché il governo sta lavorando a un modello ibrido:

  • geofencing obbligatorio per impedire l’accesso alle zone vietate
  • registrazione digitale dei droni e dei loro operatori
  • integrazione dei sistemi nei futuri corridoi U-Space
  • tecnologie anti-drone a disposizione delle forze dell’ordine
  • linee guida per startup e operatori commerciali.

Il Giappone vuole proteggersi, senza soffocare l’innovazione. Un equilibrio difficile, certo, eppure imprescindibile.

Un segnale globale: il cielo del futuro sarà regolato, non libero

La decisione giapponese non è isolata.
Stati Uniti, Francia, Regno Unito e Australia stanno costruendo sistemi simili, anticipando un futuro in cui il traffico di droni commerciali, industriali, autonomi sarà parte integrante delle città.

E questo comporta:

  • nuove leggi
  • nuovi sistemi di controllo
  • nuove responsabilità
  • nuovi rischi
  • nuove forme di terrorismo tecnologico.

Il Giappone, spesso criticato per un eccesso di prudenza, questa volta è tra i primi a spingere una normativa più severa.

Il cielo giapponese entra nell’era della sicurezza preventiva

Il Giappone sta facendo ciò che molti Paesi rimandano: prepararsi a un futuro in cui il cielo a bassa quota non sarà più uno spazio neutrale, ma un nuovo dominio di competizione, vulnerabilità e controllo.

In un mondo dove i droni sono diventati la forma più accessibile di tecnologia aerea, Tokyo sceglie di ridisegnare i confini prima che sia troppo tardi.

È una decisione politica.
È una decisione tecnologica.
Ed è, soprattutto, una decisione culturale: riconoscere che anche l’innovazione più brillante porta con sé un’ombra e che governarla è parte essenziale della sua promessa.

Il cielo del futuro non sarà libero. Sarà regolato. E il Giappone, ancora una volta, ci sta arrivando prima degli altri.

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