L’India rivede al ribasso le tempistiche sull’idrogeno verde: l’export rallenta, il focus si sposta sul mercato interno e sulle fragilità della politica energetica globale.
Per anni l’India è stata il Paese che, più di altri, sembrava voler saltare una fase della storia energetica e atterrare direttamente nel futuro. L’idrogeno verde doveva essere il suo biglietto da visita: pulito, scalabile, esportabile. Un modo per sovvertire gli equilibri globali e presentarsi, finalmente, non come follower ma come driver della transizione.
E, invece,come spesso accade nelle storie che riguardano la decarbonizzazione globale, la realtà ha introdotto una pausa. Una specie di vibrazione fuori tempo. I progetti destinati all’export, quelli più visibili e più celebrati, saranno avviati più tardi del previsto. E il governo, con una sobrietà che quasi sorprende, ammette di dover ricalibrare le aspettative.
Secondo Santosh Sarangi, segretario al Ministero delle Energie Rinnovabili, l’India produrrà circa 3 milioni di tonnellate entro il 2030. L’obiettivo dei 5 milioni? Posticipato al 2032. Due anni possono sembrare un dettaglio, ma nell’architettura geopolitica dell’idrogeno verde sono un segnale.
E non un segnale qualsiasi.
La promessa dell’idrogeno verde e il ritorno del realismo
L’idrogeno verde, lo sappiamo, è stato dipinto come la cerniera che unisce ciò che finora è rimasto distante: rinnovabili intermittenti, industria pesante, trasporti globali. Un ponte ambizioso, forse necessario. Ma la promessa, spesso, corre più veloce della sua infrastruttura.
L’India si era ritagliata il ruolo del protagonista. Ampie distese solari, vento abbondante, costi in calo: uno scenario quasi textbook. E la narrativa, a un certo punto, ha iniziato a correre da sola: esportazioni verso Europa, rotte marittime decarbonizzate, mega-progetti nel deserto.
Poi, lentamente, si è insinuata una domanda: e se la domanda globale non fosse così certa?
Una domanda scomoda, certo, ma inevitabile. Perché costruire elettrolizzatori a ritmi vertiginosi ha senso solo se dall’altra parte ci sono mercati stabili, politiche coerenti, acquirenti che firmano contratti pluriennali. L’Europa, in questo senso, ha iniziato a mandare segnali, come dire, intermittenti.
Europa indecisa. Export indiano sospeso. Una catena che scricchiola.
Il nodo arriva proprio da Bruxelles. L’Unione Europea, pur avendo descritto l’idrogeno verde come una priorità assoluta, procede ora con tempi più lenti. Non tanto nelle dichiarazioni, quanto nella parte concreta: gli incentivi, le quote obbligatorie, i meccanismi d’importazione.
L’incertezza europea diventa così incertezza globale. E per l’India, che conta proprio sull’UE come primo grande mercato di sbocco, questo significa instabilità. I progetti sull’export restano tecnicamente validi, ma economicamente? Ecco, quello è un altro discorso.
Gli investitori leggono tra le righe. E le righe, per ora, non dicono: “Costruite, ci saremo”. Dicono piuttosto: “Vediamo. Poi, forse, ne parliamo”. Una pausa. Una sospensione.
Il settore marittimo? Il grande assente che pesa su tutti
C’è poi il capitolo shipping, quello che, nei grafici delle COP internazionali, viene sempre indicato come “hard-to-abate”. La decarbonizzazione dei trasporti marittimi globali avrebbe dovuto essere la grande occasione dell’idrogeno verde.
In teoria sì.
In pratica, però, la roadmap del settore marittimo è stata diluita. Posticipata. Sfumata.
Le compagnie navali eseguono test, stringono protocolli, progettano navi pilota. Ma il salto di scala, quello vero, non è ancora arrivato. Anche qui, un’altra pausa. Un altro “quasi, ma non ancora”.E ogni “non ancora” pesa direttamente sulle strategie indiane.
Cambio di rotta: l’India guarda dentro i propri confini
In questo contesto globale incerto, l’India compie un gesto insolito per un Paese emergente con ambizioni globali: rivaluta ciò che può costruire da sola. Una scelta meno glamour, forse, ma molto più lucida.
Tre i fronti prioritari:
- Shipping domestico: partire dal cabotaggio, dai porti indiani, dalle flotte interne
- Metanolo verde e chimica: integrare l’idrogeno nei processi esistenti, riducendo la dipendenza da feedstock fossili
- Raffinerie: la vera rivoluzione silenziosa. Sostituire l’idrogeno grigio con quello verde è un gesto tecnico apparentemente marginale ma strategico, quasi chirurgico.
È come se l’India avesse deciso di costruire una domanda interna prima di inseguire quella esterna. Un movimento meno teatrale, ma immensamente più stabile.
Il tallone d’Achille: infrastrutture e quei 40 GW “senza casa”
Dietro questa strategia più prudente c’è un’altra realtà: la rete elettrica, i nodi di connessione, la logistica. L’idrogeno verde non nasce nel vuoto: pretende coordinamento, pianificazione, geografie compatibili. Tutto ciò che, spesso, richiede anni di lavoro sotterraneo.
Il dato più rivelatore è questo: 40 gigawatt di progetti rinnovabili indiani non hanno acquirenti. Un’enormità.
Progetti belli sulla carta, utili nei dossier, ma sospesi in un limbo. E il governo vuole evitare che l’idrogeno verde aggiunga altri GW fantasma a questa lista.
Meglio pochi progetti stabili che molti progetti senza cliente. È una lezione di maturità industriale più che una debolezza.
Fine corsa? No. Inizio della fase adulta.
La storia dell’idrogeno verde indiano, così come si sta riscrivendo ora, è meno eroica ma più interessante. Meno “missione”, più “strategia”. Meno retorica, più logica.
E forse, paradossalmente, più rivoluzionaria.
Perché mostra che la transizione energetica non è un grafico con una linea che sale. È un percorso fatto di frizioni, di attese, di scelte che sembrano controintuitive ma che, viste da lontano, costruiscono un ecosistema più solido.
La vera domanda è un’altra: il mondo sarà pronto quando l’India lo sarà?
Perché oggi la fragilità non sta nei progetti indiani, ma nella governance internazionale dell’energia pulita: target che oscillano, incentivi che cambiano, alleanze che si sfilacciano.
L’idrogeno verde rimane una promessa. L’India, nel suo passo più lento e più consapevole, sta dicendo qualcosa che gli altri fingono di non sentire: la rivoluzione energetica non ha bisogno di slogan, ha bisogno di coerenza.
E, soprattutto, di mercati che mantengono la parola data.
Il futuro non arriverà per decreto. Arriverà dove le infrastrutture lo aspettano. E l’India, tutto sommato, ha appena iniziato a comporre il proprio spartito con un po’ più di verità e un po’ meno di rumore.