La Cina concede esenzioni all’export dei chip Nexperia per usi civili, riaprendo i canali di fornitura all’industria automobilistica globale dopo settimane di tensione con l’Olanda e l’Unione Europea.
Dietro la distensione apparente, Pechino ribadisce la propria centralità nella catena dei semiconduttori e invita Bruxelles a intervenire sul sequestro olandese della società. Il futuro dei chip europei si gioca ora tra diplomazia, sicurezza e potere industriale.
La svolta inattesa di Pechino
È arrivato come un segnale silenzioso, ma chiarissimo.
La Cina ha annunciato un allentamento dei controlli all’esportazione dei chip prodotti da Nexperia, limitatamente agli impieghi civili.
La notizia, diffusa dal ministero del Commercio cinese, rappresenta un passo inatteso verso la distensione nella disputa tecnologica tra Pechino e i Paesi Bassi e, più in generale, tra la Cina e l’Unione Europea.
La decisione arriva dopo settimane di tensioni, durante le quali le case automobilistiche europee e asiatiche avevano iniziato a registrare ritardi e stop produttivi a causa della sospensione delle forniture.
Nexperia, infatti, produce componenti fondamentali per il controllo elettronico dei veicoli: microchip di base, ma indispensabili.
La loro assenza, in un settore ancora fragile dopo la crisi dei semiconduttori post-pandemia, rischiava di provocare un effetto domino globale.
Con questa mossa, la Cina ha scelto di riaprire parzialmente i rubinetti. Ma non senza condizioni.
Nexperia: un caso industriale diventato politico
Per comprendere la portata di questa decisione, bisogna guardare alle radici del conflitto.
Nexperia è un’azienda olandese, ma dal 2019 è controllata dalla cinese Wingtech Technology, società quotata a Shanghai e attiva nella produzione di componenti elettronici per smartphone, auto e dispositivi industriali.
A fine settembre, il governo dei Paesi Bassi ha deciso di assumere il controllo diretto di Nexperia, citando preoccupazioni per la sicurezza economica nazionale.
L’esecutivo dell’Aia ha sostenuto che Wingtech stesse pianificando di trasferire in Cina parte della produzione europea, con potenziali conseguenze per la sovranità tecnologica dell’UE.
Pechino ha reagito duramente: ha interrotto l’export dei chip finiti prodotti in Cina, accusando l’Olanda di “azioni ingiustificate” e avvertendo che la mossa avrebbe compromesso la stabilità della catena globale dei semiconduttori.
Una tregua calibrata, non una pace
La decisione annunciata domenica dal ministero del Commercio cinese rientra in una strategia di bilanciamento.
Non è una marcia indietro, ma una mossa tattica: un modo per mostrare cooperazione senza perdere leva diplomatica.
Secondo la nota ufficiale, le esenzioni si applicano solo ai chip destinati a usi civili, una categoria volutamente elastica che lascia a Pechino ampi margini di interpretazione.
Nessuna definizione precisa è stata fornita, ma fonti industriali in Germania e Giappone confermano che le spedizioni verso i produttori automobilistici europei sono già riprese.
Il messaggio è duplice: la Cina vuole presentarsi come partner affidabile per le catene di fornitura globali, ma allo stesso tempo non intende rinunciare al proprio potere contrattuale.
Tra Pechino, L’Aia e Bruxelles: la diplomazia dei chip
Il ministero cinese non ha risparmiato toni critici nei confronti dell’Europa.
Nel comunicato, Pechino “accoglie con favore il coinvolgimento dell’Unione Europea” e invita Bruxelles a “intensificare gli sforzi per spingere la parte olandese a correggere le proprie azioni errate”.
Tradotto: la Cina chiede all’UE di farsi garante di una soluzione politica e di limitare l’autonomia dei singoli Stati membri in materia di controllo industriale.
È un passaggio chiave.
Perché dietro Nexperia non c’è solo un’azienda, ma un principio: chi controlla i semiconduttori controlla le filiere industriali, e quindi la competitività futura.
E l’Europa, nel tentativo di costruire la propria sovranità tecnologica, si trova in una posizione ambigua: da un lato teme la dipendenza cinese, dall’altro non può fare a meno delle forniture asiatiche per mantenere in vita i propri stabilimenti automobilistici.
Il significato strategico: non solo chip, ma potere
Il caso Nexperia è l’ennesimo riflesso di un conflitto più ampio.
Nel mondo post-pandemia, i semiconduttori sono diventati il nuovo petrolio: risorsa strategica, difficile da produrre, essenziale per ogni sistema economico avanzato.
L’Europa dipende ancora in gran parte da Cina, Corea del Sud e Taiwan per la componentistica elettronica.
Gli Stati Uniti, dal canto loro, spingono gli alleati europei a ridurre i legami tecnologici con Pechino, offrendo incentivi e partnership alternative.
La mossa di Pechino, dunque, non è solo una concessione economica: è un messaggio politico.
Significa dire all’Occidente: “Possiamo aiutarvi a evitare la crisi, ma solo se accettate le nostre regole del gioco”.
Una logica di interdipendenza controllata, dove la cooperazione diventa una forma di potere sottile, ma efficace.
L’effetto sull’industria automobilistica
Per il settore auto, la riapertura parziale dei flussi Nexperia rappresenta una boccata d’ossigeno immediata.
Dalle centraline motore ai sistemi di sicurezza elettronici, i chip dell’azienda olandese sono elementi strutturali di milioni di veicoli.
Le restrizioni avevano già rallentato la produzione di marchi tedeschi, giapponesi e coreani, in un momento in cui il mercato globale stava appena uscendo dalla crisi delle forniture iniziata nel 2020.
Ora le linee di assemblaggio possono tornare a respirare, ma nessuno nel settore si illude: la stabilità dipende ancora dalla volontà politica di Pechino.
E la lezione è chiara: serve diversificare, ma la diversificazione richiede tempo, investimenti e infrastrutture che l’Europa ancora non ha.
Il paradosso europeo: autonomia cercata, dipendenza confermata
Il caso Nexperia mette a nudo il paradosso europeo.
L’UE parla di sovranità tecnologica, di “Chip Act” e di riduzione delle dipendenze strategiche.
Eppure, quando una disputa commerciale congela l’export di semiconduttori, è Pechino a decidere quando e come riaccendere le forniture.
La verità è che l’Europa, pur avanzata nella ricerca e nella meccatronica, resta debole nella manifattura dei chip.
La produzione richiede ecosistemi complessi — energia stabile, catene logistiche resilienti, accesso a materie prime — che oggi solo l’Asia può garantire.
Finché questo squilibrio persisterà, la sovranità resterà un obiettivo più politico che tecnico.
Visione e fragilità del nuovo ordine tecnologico
Il gesto di Pechino, più che una concessione, è una dimostrazione di forza calibrata.
Una mano tesa che sa quanto pesa e che si apre solo quanto basta per ricordare chi detiene la leva.
Il caso Nexperia non è un episodio isolato, ma un microcosmo della nuova geopolitica industriale:
– Le economie avanzate cercano indipendenza tecnologica
– La Cina difende il proprio dominio sulle catene produttive
– Gli Stati Uniti tentano di ridisegnare l’equilibrio globale dell’innovazione.
E nel mezzo, l’Europa. Dipendente, prudente, costretta a muoversi tra principi e necessità.
Il futuro dei chip e forse del potere industriale del XXI secolo si deciderà non nei laboratori o nei consigli di amministrazione, ma nelle relazioni tra Stati, nella capacità di bilanciare interdipendenza e controllo.
E se la Cina ha oggi riaperto i suoi rubinetti, non è per debolezza, ma per ricordare che in un mondo digitale, ogni flusso può essere anche un’arma.
La tecnologia, come la diplomazia, ha imparato a sorridere. Ma senza mai smettere di misurare.