Gaza soffoca tra i rifiuti: l’altra emergenza della guerra

| 08/11/2025
Gaza soffoca tra i rifiuti: l’altra emergenza della guerra

Tra tende e macerie, montagne di rifiuti e acque contaminate minacciano la salute pubblica e l’ambiente. L’ONU parla di due milioni di tonnellate di immondizia non trattata.

Con i servizi municipali collassati e la popolazione allo stremo, Gaza è diventata una discarica a cielo aperto: la guerra invisibile contro l’inquinamento, la malattia e l’abbandono.

L’odore della guerra che non se ne va

A Gaza, la guerra ha lasciato un’eredità che non fa rumore, ma riempie l’aria.
Tra le macerie e le tende improvvisate, un odore acre e persistente si diffonde ovunque: plastica bruciata, acque stagnanti, rifiuti in decomposizione.
Non è un episodio passeggero, ma un sintomo strutturale: un’intera popolazione costretta a vivere dentro una crisi ambientale cronica.

Oggi la Striscia è un mosaico di rovine e cumuli di immondizia.
Le strade, un tempo trafficate, sono diventate corridoi di scarti e detriti.
Ogni temporale trascina con sé liquami e materiali tossici, alimentando un odore che sembra non avere fine.

Servizi collassati e infrastrutture distrutte

Con l’inizio del conflitto, la raccolta dei rifiuti si è fermata quasi immediatamente.
Le autorità locali hanno perso accesso ai siti di stoccaggio, mentre le discariche principali, situate lungo il confine con Israele, sono diventate zone off-limits.
Anche dopo la recente tregua, la ripresa è solo parziale: i servizi municipali non esistono più nella loro forma precedente.

Secondo Alessandro Mrakic, responsabile dell’ufficio dell’UNDP a Gaza, “la scala del problema è immensa: oltre due milioni di tonnellate di rifiuti non trattati giacciono sul territorio, con rischi enormi per la salute pubblica e per la falda acquifera”.

Questa paralisi amministrativa, unita alla distruzione delle infrastrutture sanitarie e idriche, ha trasformato Gaza in un laboratorio di emergenza permanente.

Un ecosistema contaminato

Le bombe non hanno colpito solo gli edifici, ma anche il suolo, le tubature e le discariche.
Il risultato è un ecosistema inquinato da un miscuglio di scarti urbani, macerie e materiali tossici: cemento, carburanti, metalli pesanti, microplastiche e resti di armamenti.

Senza un sistema di smaltimento, molti sfollati bruciano plastica e rifiuti per cucinare o riscaldarsi.
I fumi che si alzano dai campi profughi creano una nube persistente di sostanze nocive.
Il fuoco, usato per sopravvivere, si trasforma così in un nuovo strumento di contaminazione.

Il ciclo è perverso: il calore sprigiona gas tossici, la cenere ricade sul terreno e i residui finiscono nelle acque di scolo.
Ogni gesto quotidiano — respirare, bere, lavarsi — diventa potenzialmente pericoloso.

Epidemie silenziose e salute pubblica al collasso

Negli ospedali da campo si moltiplicano i casi di infezioni respiratorie, gastroenteriti, scabbia e micosi.
I medici descrivono un quadro sanitario paragonabile a quello di una catastrofe prolungata: scarsità di medicinali, strutture sovraffollate, condizioni igieniche minime.

Le patologie cutanee e intestinali si diffondono rapidamente nei campi profughi, dove decine di migliaia di persone vivono in tende a contatto diretto con i rifiuti.
Secondo i dati sanitari raccolti dalle organizzazioni locali, oltre metà dei pazienti pediatrici presenta sintomi legati all’inquinamento ambientale.

Il deterioramento igienico non è un effetto collaterale, ma una conseguenza diretta della guerra urbana.
L’ambiente è diventato il principale vettore di malattia.

L’acqua, da risorsa vitale a minaccia invisibile

Sotto la superficie, il problema più grave è quello dell’acqua.
Con gli impianti fognari distrutti e i pozzi contaminati, la falda acquifera, unica fonte idrica per gran parte della popolazione , è ormai satura di sostanze chimiche.

L’UNDP avverte che Gaza è sull’orlo di una catastrofe ecologica dentro la catastrofe umanitaria.
Ogni pioggia o allagamento trasporta nuove ondate di contaminazione verso il mare e nel sottosuolo.
Ciò che un tempo dissetava, oggi avvelena.

L’acqua contaminata sta alimentando malattie gastrointestinali diffuse e infezioni cutanee.
La prospettiva di una bonifica è remota: secondo gli esperti, serviranno anni di interventi mirati anche solo per stabilizzare i livelli di inquinamento.

Sopravvivere tra i rifiuti

Nei campi profughi di Khan Younis e Rafah, la vita quotidiana è fatta di piccoli gesti di sopravvivenza.
Persone che scavano fosse per sotterrare i rifiuti, famiglie che tentano di delimitare uno spazio pulito davanti alla tenda, volontari che raccolgono bottiglie di plastica per riutilizzarle come contenitori d’acqua.

Ogni atto di pulizia ha un valore simbolico: mantenere la dignità nel caos.
In un contesto dove lo Stato è assente e le istituzioni collassate, la popolazione si affida a forme spontanee di resilienza collettiva.

Ma la realtà è inesorabile: senza un intervento internazionale coordinato, la gestione dei rifiuti resterà impossibile.
Le operazioni di raccolta d’emergenza sono limitate e le attrezzature per il trattamento assenti.
Ogni giorno, le montagne di immondizia crescono.

Un disastro ambientale dimenticato

La crisi dei rifiuti di Gaza è diventata un disastro ambientale a lungo termine, con implicazioni regionali.
Le correnti marine trasportano parte dei rifiuti e degli agenti inquinanti verso il Mediterraneo, minacciando le coste di Israele ed Egitto.
Il problema, quindi, non è più locale, ma transfrontaliero.

Gli esperti ambientali avvertono che, in assenza di una strategia di contenimento, il degrado ecologico di Gaza rischia di estendersi oltre i suoi confini.
Eppure, la questione resta ai margini delle agende diplomatiche, oscurata dal dibattito militare e politico.

Secondo l’ONU, il deterioramento delle condizioni ambientali riduce la speranza di vita, compromette le fonti alimentari e minaccia la stabilità sanitaria dell’intera regione.

L’aria che resta

A Gaza, oggi, la guerra non si misura più in esplosioni.
Si misura nell’aria che si respira, nell’acqua che scorre, nella pelle che brucia.
È una guerra che continua nel silenzio, attraverso la contaminazione del corpo e del territorio.

In questo scenario, la sopravvivenza assume un significato diverso: resistere diventa respirare, mantenere la propria umanità anche quando l’ambiente stesso sembra negarla.

Il futuro di Gaza non dipenderà soltanto dalla fine dei bombardamenti, ma dalla capacità di restituire ai suoi abitanti un bene primario: l’aria pulita, l’acqua potabile, il diritto di vivere senza veleno.

Finché questo non accadrà, la guerra, in un modo o nell’altro, continuerà a bruciare.

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