Allarme analfabetismo funzionale in Italia: 1 adulto su 3 in difficoltà

| 08/11/2025
Una persona tiene in mano un documento con l’immagine di un iceberg, simbolo dell’analfabetismo funzionale in Italia, mentre sullo sfondo sfocato si intravedono altre persone in un contesto professionale.

L’Italia affronta da tempo una grave emergenza educativa. Non è solo una opinione comune fra chi cerca personale qualificato, ma è una certezza che si evince dai dati che emergono da varie statistiche internazionali.

Un esempio evidente: secondo i dati del Programme for the International Assessment of Adult Competencies 2023 (PIAAC 2023) dell’OCSE: il 35% degli adulti tra i 16 e i 65 anni è analfabeta funzionale. Questo significa che più di un terzo della popolazione adulta italiana, pur sapendo leggere e scrivere, non riesce a comprendere testi complessi come un contratto, un’informativa bancaria o un grafico giornalistico.

Un peggioramento significativo

Questi adulti riescono a comprendere solo testi molto brevi e semplici, raggiungendo al massimo il livello 1 su una scala da 0 a 5. Questo dato è particolarmente preoccupante se confrontato con il passato: nel 2012 la percentuale era del 28%, quindi si è avuto un peggioramento di 7 punti percentuali in dieci anni.

L’Italia in fondo alla classifica OCSE

Con il 35%, l’Italia si posiziona ben al di sotto della media OCSE del 26% e risulta tra gli ultimi paesi della classifica. Solo Cile, Lituania, Polonia e Portogallo registrano risultati peggiori, mentre paesi come Israele, Lettonia, Spagna e Ungheria si trovano a livelli comparabili.

All’estremo opposto, solo il 5% degli italiani raggiunge competenze alte nella comprensione dei testi (high performer), contro una media OCSE del 12%: praticamente solo 1 adulto su 20 è in grado di comprendere e valutare testi articolati.

IndicatoreItalia
(PIAAC 2023)
Media OCSE
(PIAAC 2023)
Analfabeti funzionali (Livello 1 o inferiore)35%26%
High Performer (Livello 4/5)5%12%

Un’Italia profondamente divisa

Anche le differenze territoriali sono drammatiche:

  • Nord-Est: 21%
  • Centro: 28%
  • Nord-Ovest: 30%
  • Sud: 49%
  • Isole: 53%

Come si può vedere solo nel Nord-Est la situazione è migliore della media OCSE (26%), mentre nel Mezzogiorno, oltre la metà della popolazione adulta è analfabeta funzionale, con percentuali paragonabili a quelle del Cile, che chiude la classifica OCSE.

Le conseguenze sul lavoro e sulla formazione

L’analfabetismo funzionale crea un pericoloso circolo vizioso:

  • Solo il 14% degli analfabeti funzionali partecipa a corsi di formazione, contro il 62% di chi ha competenze alte
  • Il tasso di attività lavorativa scende al 60% per gli analfabeti funzionali, contro una media del 71%
  • Minori competenze significano minori opportunità di trovare e mantenere un lavoro

Il fenomeno colpisce soprattutto chi ha titoli di studio bassi e la fascia d’età 55-65 anni. Ma anche i giovani (16-24 anni) mostrano punteggi inferiori alla media OCSE, evidenziando problemi strutturali nel sistema educativo che si trascinano nella vita adulta.

Le cause di tutto questo

Le cause dell’analfabetismo funzionale in Italia sono molteplici e interconnesse. Sebbene il documento non le analizzi in dettaglio, possiamo individuare alcuni fattori chiave che emergono dai dati e dal contesto più ampio:

1. Problemi nel sistema educativo Il fatto che anche i giovani italiani (16-24 anni) abbiano punteggi inferiori alla media OCSE indica che il problema nasce già a scuola. Questo suggerisce metodologie didattiche inadeguate, scarsa enfasi sulla comprensione critica dei testi e possibili carenze nella formazione degli insegnanti.

2. Mancanza di formazione continua Solo il 14% degli analfabeti funzionali partecipa a corsi di aggiornamento, creando un circolo vizioso: chi ha meno competenze non si forma e resta indietro, perdendo ulteriormente terreno.

3. Divario territoriale strutturale L’enorme differenza tra Nord (21% al Nord-Est) e Sud (53% nelle Isole) riflette disparità socio-economiche profonde: minori investimenti in istruzione, meno opportunità lavorative qualificate, emigrazione dei più istruiti.

Cause più profonde e contesto generale

4. Scarsa cultura della lettura L’Italia ha storicamente bassi livelli di lettura abituale. Senza pratica costante, le competenze di literacy si deteriorano nel tempo.

5. Digitalizzazione frammentata Il passaggio al digitale può aver escluso chi non ha sviluppato competenze digitali, creando nuove forme di esclusione.

6. Mercato del lavoro poco qualificato Molti settori dell’economia italiana non richiedono competenze avanzate, riducendo l’incentivo ad aggiornarsi.

7. Invecchiamento della popolazione La fascia 55-65 anni è la più in difficoltà, e l’Italia ha una popolazione tra le più anziane d’Europa.

Conclusione

In conclusione, il peggioramento di 7 punti percentuali in soli 10 anni evidenzia come queste cause si stiano aggravando rapidamente anziché migliorare e che quindi sia necessario e urgente un intervento a livello sistemico, non semplici aggiustamenti dei percorsi scolastici.

Il punto critico è che l’analfabetismo funzionale è solo la punta dell’iceberg di una crisi delle competenze molto più profonda. Se il 35% degli adulti italiani non riesce a comprendere un contratto o un grafico, quali saranno le loro competenze in ambiti ancora più complessi e cruciali per il mondo del lavoro moderno? La capacità di usare strumenti informatici avanzati, di pianificare autonomamente il proprio lavoro, di risolvere problemi imprevisti, di collaborare in team, di aggiornarsi costantemente su nuove tecnologie e procedure: tutte queste competenze presuppongono una base di literacy che evidentemente manca a un terzo della popolazione adulta.

Stiamo parlando di persone che difficilmente possono lavorare senza supervisione costante, che non riescono ad adattarsi ai cambiamenti tecnologici, che sono escluse da qualsiasi posizione che richieda autonomia decisionale. In un’economia globale sempre più basata sulla conoscenza, sull’innovazione e sulla flessibilità, un paese con il 35% di analfabeti funzionali è un paese che sta perdendo competitività in modo strutturale e irreversibile.

Le conseguenze economiche sono devastanti. Questi lavoratori sono confinati in mansioni sempre più marginali e a rischio automazione, con salari bassi e nessuna prospettiva di crescita. Le imprese italiane faticano a innovare e a competere perché non trovano personale qualificato. Il sistema produttivo si impoverisce, intrappolato in settori a basso valore aggiunto proprio perché manca la forza lavoro capace di gestire attività più complesse.

Gli interventi necessari devono essere radicali e immediati. Non si tratta più di promuovere la lettura o aprire biblioteche: serve una riqualificazione massiva della forza lavoro attraverso programmi obbligatori e incentivati di upskilling, legati direttamente alle esigenze del mercato del lavoro. Le imprese devono essere coinvolte non come sponsor ma come attori principali, con sgravi fiscali legati agli investimenti reali in formazione del personale.

Il sistema scolastico va ripensato dalle fondamenta, abbandonando l’illusione che si possa “diplomare tutti” senza verificare che le competenze siano realmente acquisite. Servono test rigorosi, recuperi obbligatori, bocciature quando necessario, e soprattutto una didattica che prepari davvero al mondo del lavoro, non che distribuisca titoli di carta privi di valore.

Infine, bisogna accettare una verità scomoda: senza un intervento drastico, l’Italia rischia di diventare un paese di serie B, incapace di competere nell’economia moderna, con un terzo della popolazione sostanzialmente esclusa dal mercato del lavoro qualificato. Non è più tempo di convegni e belle parole: serve un piano nazionale di emergenza educativa, con risorse, obiettivi misurabili e responsabilità politiche chiare. Ogni anno perso rende il recupero più difficile e costoso.

Barberio & Partners s.r.l.

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