Cina–Corea del Sud: l’asse dell’AI e della cyber-sicurezza che ridisegna l’APEC

| 01/11/2025
Cina–Corea del Sud: l’asse dell’AI e della cyber-sicurezza che ridisegna l’APEC

Cina e Corea del Sud accelerano su intelligenza artificiale, lotta al telefraud e accordo di libero scambio: cosa significa davvero l’incontro di Gyeongju per catene del valore, sicurezza digitale e diplomazia regionale.

A margine dell’APEC, Xi Jinping e Lee Jae-myung aprono un cantiere strategico su AI, biopharma, green economy e “silver economy”, con la promessa di cooperare contro le truffe online transnazionali. Dietro la retorica, la posta in gioco: supply chain dei chip, governance del cyberspazio e l’autonomia strategica di Seul fra Washington e Pechino.

Un incontro, molte agende: perché Gyeongju conta davvero

È facile archiviare un bilaterale come routine diplomatica. Non questo. Il colloquio tra Xi Jinping e Lee Jae-myung, consumato a margine del vertice APEC a Gyeongju, rompe un ghiaccio lungo anni e rimette in moto il motore faticoso, ma vitale della comunicazione strategica in Asia nordorientale. Il contesto è esplicito: un’Asia che corre sull’intelligenza artificiale, incrocia rivalità tecnologiche e subisce la pressione di reti criminali transnazionali sempre più sofisticate.
La foto di rito racconta poco. Il tempo scelto, i dossier aperti e le parole calibrate, molto di più. La Corea del Sud vuole crescere senza perdere autonomia; la Cina vuole cooperare senza apparire dipendente. In mezzo, un tavolo di lavoro che intreccia politica industriale, sicurezza digitale e una diplomazia fatta di aggiustamenti minuziosi. Pazienti, ma non timidi.

L’AI come architettura di potere (non solo tecnologia)

Quando Xi propone di accelerare i negoziati sulla seconda fase del FTA e “esplorare il potenziale” in AI, biopharma, green economy e silver economy, non sta elencando genericità. Sta indicando i punti di leva del prossimo decennio. L’AI è ormai un’infrastruttura: modella il design dei semiconduttori, orienta gli investimenti in cloud, edge e calcolo ad alte prestazioni, stabilisce dove si crea valore e dove, al contrario, si accumula dipendenza.
Per Seul, hub globale dei chip, la cooperazione con Pechino è un moltiplicatore industriale, ma anche una variabile delicata nelle relazioni con Washington. Per Pechino, lavorare con la Corea del Sud significa rimanere agganciata all’avanguardia tecnologica regionale, nonostante i regimi di controllo all’export e la frammentazione normativa. Tradotto: la collaborazione sull’AI è geopolitica applicata.

Semiconduttori: la filigrana (invisibile ma decisiva) del negoziato

Ogni volta che in Asia si parla di AI, dietro l’angolo spuntano i chip. Samsung e SK Hynix incarnano la capacità sudcoreana di saldare materiali, design e capacità produttiva in una catena che pochi Paesi al mondo possono replicare. È qui che il tavolo sino-coreano diventa chirurgico: come salvare competitività e continuità industriale senza violare vincoli normativi e sensibilità geopolitiche?
La risposta di Gyeongju non è un sì o un no, ma un metodo: compartimentare i dossier, costruire protocolli di cooperazione su standard, ricerca congiunta e componentistica non sensibile, mentre si mantiene prudenza sull’hardware più avanzato. È l’arte dell’equilibrio, ma anche un test di maturità tecnologica.

Dalla retorica alla governance: la proposta Xi sui crimini digitali

La chiamata di Xi a cooperare su telefraud e truffe online non è un inciso. È il segnale che sicurezza e fiducia digitale diventano beni pubblici regionali. Le reti criminali che operano tra Sud-est asiatico e ambiti digitali più opachi prosperano sul mismatch regolatorio: giurisdizioni che non dialogano, tempi investigativi sfasati, silos informativi.
Una piattaforma operativa sino-coreana — scambio dati, task force congiunte, procedure probatorie interoperabili — è insieme deterrenza e diplomazia. Per la Cina, anche un investimento d’immagine: dimostrare che può fornire sicurezza oltre che sviluppo. Per la Corea, ridurre la vulnerabilità sociale a un fenomeno che, ormai, erode fiducia nei servizi digitali e costa consenso politico. In mezzo, un punto chiave: riconoscere che cybercrime e supply chain sono già la stessa storia.

La Corea del Sud come potenza intermedia “intelligente”

Lee Jae-myung pratica una forma di bilanciamento funzionale: tenere saldo l’ombrello di sicurezza americano, preservando però spazi autonomi di politica industriale e cooperazione regionale. Non è cerchiobottismo; è strategia basata su interessi concreti: occupazione qualificata, leadership nei settori chiave (chip, batterie, biotecnologie), resilienza delle catene del valore.
La Corea del Sud si propone come piattaforma di convergenza, anziché “pedina” di blocchi contrapposti. È una scelta che richiede grammatica paziente: accordi incrementali, standard tecnici comuni, diplomazia regolatoria. A Gyeongju si intravede questa postura: un ponte credibile quando la retorica globale cerca spesso lo scontro, non il compromesso.

Gyeongju, simbolo e messinscena: perché il luogo non è mai neutrale

Scegliere Gyeongju, culla della dinastia Silla, è un gesto estetico e politico. Qui la Corea racconta una lunga memoria, una continuità identitaria che non teme la modernità tecnologica. E lancia un messaggio implicito ai partner: il Paese può ospitare differenze e tenere insieme storie che altrove si respingono.
La diplomazia coreana si allena da anni a questo doppio registro: heritage e innovazione, soft power e hard tech. Non stupisce che proprio qui si scriva un capitolo sulle infrastrutture del futuro: AI, cybersicurezza, transizione energetica. Quello che cambia è il tono. Meno alzate di voce, più ingegneria istituzionale.

Silver economy e biopharma: le economie del tempo lungo

Nel pacchetto evocato da Xi c’è anche la silver economy. Tema spesso messo in coda, ma strategico. Invecchiamento demografico, cura, dispositivi medici connessi, biopharma integrata con analytics e AI clinica: è qui che si vedono le economie resilienti, quelle capaci di trasformare una pressione sociale in industria competitiva.
Per Seul è terreno naturale: sanità digitale avanzata, aziende farmaceutiche in spinta, un ecosistema di startup med-tech che scalano. Per Pechino è scala di mercato e apprendimento rapido. Cooperare su dati sanitari con tutte le cautele, trial clinici e standard interoperabili può creare un mercato asiatico della salute che, nel medio periodo, diventa benchmark globale.

Oltre i blocchi: la regola d’oro della cooperazione “selettiva”

La lezione più interessante di Gyeongju è quasi stilistica: abbandonare i massimalismi. Non ci sono annunci roboanti, ma un’agenda modulare che evita il tutto-o-niente. Si rafforza ciò che conviene a entrambi (AI applicata, green tech, telefraud), si glaciano i punti nevralgici (hardware sensibile), si intessono routine di contatto per amortizzare shock futuri.
È la grammatica della cooperazione selettiva: un lessico che l’Asia ha iniziato a parlare con più scioltezza degli altri. Non pacifismo di facciata, piuttosto pragmatismo istituzionale. Ed è forse l’unica politica realistica nell’epoca delle interdipendenze critiche.

Economia verde e security of supply: i fili che non si vedono

La green economy evoca turbine e pannelli. In realtà, al centro ci sono metalli critici, chimica avanzata, software di ottimizzazione alimentati da AI. È uno spazio dove la cooperazione sino-coreana può spostare l’ago: progetti pilota su idrogeno, reti di riciclo dei materiali strategici, standard tecnici su tracciabilità e carbon accounting.
Più che slogan, un’agenda di ingegneria industriale: tante viti, pochi fari. Ma sono le viti a reggere i ponti. E i ponti, in Asia, servono più dei fari.

Politica interna, consenso e la variabile tempo

Ogni diplomazia è anche politica domestica. In Corea, l’opinione pubblica chiede crescita di qualità, salari che tengano il passo, protezione sociale. In Cina, stabilità, contenimento dei rischi e una narrativa di modernizzazione che non freni l’innovazione. L’agenda Xi–Lee potrà camminare solo se produce benefici tangibili e rapidi: sicurezza digitale percepibile, sbocchi per l’export tech, progetti comuni che creano posti qualificati.
Il tempo, più dei comunicati, dirà se la cooperazione avrà inerzia. La diplomazia paziente, quella che costruisce abitudini di lavoro, spesso batte gli annunci di un giorno.

Una cornice possibile: dalla fiducia fragile alla fiducia operativa

La parola mancante nei dossier è fiducia. Quella politica è scarsa, quella operativa si può costruire. Come? Con protocolli trasparenti, meccanismi di de-escalation nel digitale (incident reporting condiviso), sandbox regolatorie congiunte per AI ad alto impatto, audit reciproci su progetti a rischio. Sono cose noiose? Forse. Ma fanno mercato e sicurezza, insieme.

Il secolo corto della cooperazione selettiva

Gyeongju non promette miracoli. Offre, però, una strada stretta: quella in cui AI, cybersicurezza e semiconduttori non sono più capitoli separati, ma un’unica infrastruttura di potere. Cina e Corea del Sud, in questo perimetro, possono diventare co-architetti riluttanti di un ordine asiatico pragmatico, meno ideologico e più ingegneristico.
Sarà un percorso fatto di micro-intese e qualche improvviso passo indietro. Ci saranno pause,inevitabili, e ripartenze. Ma se l’Asia vuole evitare che il futuro le venga imposto, dovrà abituarsi a costruirlo per accumulo: vite serrate, standard condivisi, fiducia sufficiente. Non romantica, operativa.
Alla fine, la domanda è semplice: chi scriverà il codice dell’AI che governerà i nostri sistemi e con quali regole? Seul e Pechino, oggi, almeno si sono sedute allo stesso tavolo a disegnarne il manuale d’uso. È poco? È moltissimo. In tempi come questi quasi rivoluzionario.

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