Europa, il lungo addio all’energia russa: la road map che riscrive potere, industria e sicurezza entro il 2028

RedazioneRedazione
| 20/10/2025
Europa, il lungo addio all’energia russa: la road map che riscrive potere, industria e sicurezza entro il 2028

L’Unione Europea compie il passo che molti consideravano impossibile: azzerare ogni fornitura di petrolio e gas russo entro il 2028. Una decisione che intreccia energia, politica e identità strategica.

La strategia è chiara: ridurre a zero la dipendenza da Mosca, proteggere il mercato interno dagli shock geopolitici e rilanciare un nuovo modello di sicurezza energetica. Ma la sfida sarà mantenere coesione politica, reggere l’impatto sui prezzi e trasformare un costo immediato in un investimento strutturale per l’industria europea.

Un voto che ridisegna la mappa energetica d’Europa

A Lussemburgo, in una riunione tanto tecnica quanto storica, i ministri dell’Energia dei Ventisette hanno approvato il piano che porterà alla fine delle importazioni di gas e petrolio dalla Russia entro gennaio 2028.
È la conclusione di un processo politico iniziato all’indomani dell’invasione dell’Ucraina, quando Bruxelles comprese che la dipendenza energetica non era più una semplice questione economica, ma una vulnerabilità strategica.

Il cronoprogramma approvato è stringente: dal gennaio 2026 non sarà più possibile firmare nuovi contratti con fornitori russi; dal giugno 2026 scadranno i contratti a breve termine ancora attivi e dal gennaio 2028 si chiuderà definitivamente ogni rapporto commerciale a lungo termine.
Una decisione che segna la fine di un’epoca: per decenni, Mosca non è stata solo un fornitore, ma un pilastro invisibile dell’architettura industriale europea.

Dalla dipendenza all’autonomia: una transizione che riscrive i rapporti di forza

L’Europa non sta solo cambiando fornitore. Sta cambiando paradigma.
Il legame energetico con la Russia, costruito negli anni della Guerra Fredda, era diventato nel tempo un vincolo quasi fisiologico: pipeline come Nord Stream, Yamal o Druzhba erano arterie economiche e simboliche, un “patto” implicito tra stabilità dei prezzi e silenzio politico.

La guerra in Ucraina ha infranto quella simmetria.
Da allora, la dipendenza è diventata un rischio e la sicurezza un obiettivo industriale.
La nuova strategia dell’Unione si fonda su un principio semplice, ma rivoluzionario: meglio pagare di più, ma controllare le proprie scelte.
È una riconversione culturale prima ancora che energetica, una dichiarazione di indipendenza che intreccia sicurezza, economia e dignità politica.

Il prezzo della libertà energetica

L’uscita dalla dipendenza russa non è una liberazione senza conseguenze.
Dal 2021, i costi dell’energia in Europa sono più che triplicati in diversi settori industriali; l’inflazione energetica ha colpito famiglie e PMI, mentre i governi hanno dovuto varare misure di sostegno per centinaia di miliardi di euro.
Il prezzo della libertà, dunque, non è solo simbolico: è sociale, fiscale e produttivo.

Le imprese più energivore — dall’acciaio alla chimica, dalla ceramica all’agroalimentare — devono oggi ripensare intere filiere.
Alcune, soprattutto in Europa centrale, si interrogano sulla sostenibilità economica di una transizione così rapida.
Eppure, dietro la fatica immediata si intravede una verità strategica: l’energia a basso costo non è mai gratuita se implica dipendenza, vulnerabilità e ricatti.

“L’indipendenza non si misura solo in metri cubi di gas, ma nella libertà di decidere chi siamo” ha dichiarato Kadri Simson, Commissaria europea per l’Energia.
“Stiamo pagando un prezzo alto, ma lo stiamo pagando per non essere più ostaggi”.

Dove va l’energia europea: il nuovo portafoglio globale

Svincolarsi da Mosca significa anche ridisegnare la geografia energetica.
Gli Stati Uniti sono ormai il primo fornitore di GNL all’Europa, seguiti da Qatar, Norvegia e Algeria.
L’Africa, in particolare, sta emergendo come nuovo partner strategico: Senegal, Nigeria e Mozambico potrebbero rappresentare la prossima frontiera di approvvigionamento.

Ma la diversificazione non è sinonimo di stabilità.
Il mercato del GNL è globale e competitivo, soggetto a fluttuazioni di prezzo, rischi logistici e tensioni geopolitiche.
In altre parole, l’Europa ha sostituito la certezza dei gasdotti con la volatilità delle navi metaniere.
Questo comporta una dipendenza diversa: non più da un singolo attore, ma da una rete di equilibri internazionali che può cambiare con un conflitto o una crisi di transito.

La politica dell’energia: sovranità e contraddizioni

Dietro le formule tecniche e i diagrammi di flusso, l’energia resta una questione di potere.
Per anni, Mosca ha usato il gas come strumento di influenza e pressione diplomatica.
Con questa decisione, Bruxelles ribalta lo schema: trasforma l’energia da arma di ricatto a architrave della propria sovranità.

Ma la coesione interna non è scontata.
Il Nord Europa accelera sulle rinnovabili e sull’idrogeno, il Sud spinge per una strategia mediterranea, l’Est teme la desertificazione industriale.
Le tensioni tra Stati membri potrebbero riemergere se i prezzi restassero alti o se la transizione avesse impatti occupazionali più duri del previsto.
L’unità politica, dunque, sarà la vera infrastruttura da costruire — più complessa di qualsiasi gasdotto.

Rinnovabili, reti e accumulo: il nuovo sistema nervoso dell’Europa

Il piano europeo non è solo una strategia di sganciamento, ma una visione di trasformazione industriale.
Il cuore del progetto è creare una rete energetica pienamente integrata, in grado di trasferire elettricità e dati in tempo reale tra Paesi.
È la nascita di un “cloud energetico europeo”, dove l’energia prodotta in eccesso in Spagna o Grecia può essere utilizzata in Germania o in Polonia.

Parallelamente, la Commissione punta a triplicare la capacità installata di solare ed eolico entro il 2030 e ad avviare la produzione su larga scala di idrogeno verde, destinato a decarbonizzare i processi industriali più difficili.
Il passaggio è epocale: dall’energia come merce alla rete come bene comune.
Una visione che mette insieme tecnologia, industria e responsabilità ambientale, ma che richiede investimenti stimati in oltre 600 miliardi di euro nei prossimi cinque anni.

Le nuove fratture: chi può permettersi la transizione

Non tutti i Paesi europei partono dallo stesso punto.
La Spagna e il Portogallo hanno una forte capacità di rigassificazione, l’Italia e la Germania hanno diversificato velocemente, mentre i Paesi dell’Est rischiano di rimanere schiacciati tra prezzi alti e scarsa capacità di investimento.
Questa asimmetria rischia di trasformarsi in un divario politico: chi beneficia della transizione e chi la subisce?

Per evitare nuove spaccature, l’Europa dovrà attivare strumenti di solidarietà energetica, come acquisti congiunti, piani di cofinanziamento e fondi per le aree industriali in difficoltà.
In gioco non c’è solo la riuscita tecnica della transizione, ma la tenuta stessa del progetto europeo come comunità di destino condiviso.

Idrogeno e molecole verdi: la nuova frontiera industriale

L’uscita dal gas russo accelera la spinta verso tecnologie di nuova generazione: idrogeno verde, biometano e carburanti sintetici.
Oltre a ridurre le emissioni, queste filiere possono creare centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro qualificati, rilanciando la manifattura europea.
Ma per funzionare servono standard comuni, infrastrutture dedicate e un mercato interno dell’idrogeno realmente operativo.

In questo senso, l’Europa sta costruendo il proprio “Green Deal industriale”: un ecosistema che lega politica climatica e competitività economica, trasformando la transizione in un fattore di potere e non in un costo.

L’energia come nuova lingua del potere europeo

Nel mondo post-pandemico e post-Ucraina, l’energia è diventata la grammatica della geopolitica.
Non è più solo un tema tecnico, ma il luogo in cui si definiscono le gerarchie del potere globale.
La decisione europea di tagliare definitivamente i legami energetici con Mosca non è dunque un atto amministrativo: è una dichiarazione di sovranità politica e morale.

La sfida, ora, è reggere nel tempo: mantenere il consenso interno, garantire la competitività industriale, evitare che l’autonomia energetica si traduca in isolamento economico.
Ma per la prima volta da decenni, l’Europa non reagisce a una crisi: la anticipa, la struttura, la governa.

E se riuscirà a farlo senza smarrire la coesione e la visione, allora il 2028 non sarà solo la fine di un’epoca energetica.
Sarà l’inizio di una nuova sovranità europea, fondata su un principio semplice e rivoluzionario:
che il potere, nel XXI secolo, non si misura più in barili o metri cubi, ma nella capacità di decidere da soli come accendere la luce.

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