Annunciata a Comolake con eccesso di enfasi e come primato nazionale la “Q-Alliance”, ma l’Italia non guida la trasformazione digitale, come si vorrebbe far credere. Al contrario, la rincorre, spesso con anni di ritardo, tra burocrazia, bandi frammentati e una politica che confonde gli annunci roboanti ed i proclami urlati con quelle azioni concrete di cui si avverte invece la mancanza. L’eccessivo uso di superlativi, che hanno accompagnato l’annuncio di Comolake, assieme ai tanti proclami degli ultimi mesi, stonano con il pacato pragmatismo che accompagna, al contrario, l’operato della Premier Giorgia Meloni.
Leggere che “…l’Italia del Quantum è realtà…” fa sorridere amaramente chi conosce davvero lo stato dell’innovazione nel nostro Paese. Ne abbiamo già parlato qualche giorno fa (Q-Alliance: la spericolata e pericolosa illusione quantistica italiana), ma alcune precisazioni diffuse negli ultimi giorni invitano ad entrare in maggior dettagli.
La verità è che l’Italia è ancora ai margini della generale competizione tecnologica globale, con investimenti in ricerca tra i più bassi d’Europa, infrastrutture digitali incomplete e un sistema universitario che continua a perdere i suoi migliori talenti.
Parlare pertanto di “Italia del Quantum” o di “strategia nazionale sul Quantum Computing”, come si è fatto allegramente a Comolake, senza avere un solo centro nazionale operativo dedicato al calcolo quantistico, senza una filiera industriale concreta e con zero startup significative nel settore, vuol dire molto semplicemente vendere illusioni, non risultati.
Nel frattempo, Francia e Germania investono miliardi nei propri hub quantistici e costruiscono partnership reali con l’industria e la ricerca.
Un Protocollo d’Intesa trasformato nelle Tavole di Mosé
Il Memorandum of Understanding (MoU) che è stato annunciato pomposamente a Comolake per presentare la cosiddetta Q-Alliance auspica semplicemente un possibile futuro accordo tra le due società nordamericane firmatarie, D-Wave e IonQ, niente altro che una semplice manifestazione di interesse. Non a caso, nonostante l’uso di termini che indicavano presunti “…primati mondiali…”, anzi intergalattici, una delle due società, IonQ, non ha neanche fatto un comunicato stampa da indirizzar al proprio mercato globale.
Qualcuno potrà anche considerare la boutade consumata a Comolake come un gesto “diplomatico”, ma va allora sottolineato che la dichiarazione di intenti riguarda semplicemente due società americane. Il governo italiano non figura nell’intesa e se le due società non faranno nulla di ciò che è stato strombazzato, tutto finisce lì, senza che si sia spostata una sola matita.
Un Protocollo d’Intesa (MoU) o un comunicato stampa non fanno un ecosistema. E l’Italia purtroppo continua a non avere un suo ecosistema digitale.
Mancano piani di investimento pluriennali, manca una governance chiara, mancano partnership pubblico-private operative e soprattutto manca una strategia industriale coerente che colleghi ricerca, imprese e formazione, coniugandole assieme.
L’Italia non guida la trasformazione digitale, come si vorrebbe farci credere con toni imbonitori. Al contrario, la rincorre, spesso con anni di ritardo, tra burocrazia, bandi frammentati e una politica che confonde gli annunci roboanti ed i proclami urlati con azioni concrete di cui si avverte la mancanza.
L’unica Quantum Leap di cui avremmo davvero bisogno è quella culturale. Occorrerebbe passare dal marketing politico alla concretezza dei progetti reali che danno risultati tangibili.
Eppure, se guardiamo all’Italia, il potenziale c’è — perché scienziati, università e imprese di talento non mancano — ma serve una visione seria, una visione coordinata e sostenuta da risorse vere.
Il futuro non si costruisce con le promesse o con i post su Facebook o Linkedin. Lo si costruisce solo con competenza, coerenza e risultati verificabili.
A voler entrare nei dettagli, a Comolake è stata presentata questa “Q-Alliance” come il soggetto che costruirà in Lombardia “…il più grande hub del mondo nel calcolo quantistico…”, con 100 dipendenti.
Ma il più grande al mondo in base a quale parametro?
Il numero dei dipendenti? Ebbene, questo non corrisponde al vero, perché quel numero di dipendenti rientra nelle grandezze ordinarie, anzi sottodimensionato rispetto ad altre analoghe strutture.
La capacità di calcolo? Ma non si fa alcun riferimento a questo, così come non si dà alcun altro riferimento a dati concreti su una operazione che appare come espressione dell’annuncite a cui stiamo ormai facendo l’abitudine.
Presentare in modo così chiassoso qualcosa che ancora non ha alcuna forma e indicazioni di concretezza, e comunicarla priva di numeri, senza calendario e contratti, indica una propensione al marketing politico e dichiara implicitamente quanto poco si conosca la realtà del Quantum Computing in Europa e nel mondo.
100 ricercatori? Ma quanti ne hanno i più grandi centri di calcolo quantistici nel mondo?
Ecco alcuni dati indicativi sul numero di dipendenti nelle principali realtà del settore quantistico.
IBM Quantum, divisione quantistica dell’omonima società ha circa un centinaio di specialisti dedicati al Quantum Computing.
Google Quantum AI conta poco più di 150 dipendenti, circa 1/3 in più degli specialisti di Microsoft Azure Quantum. Poi c’è Quantinuum (fusione tra Honeywell Quantum Solutions e Cambridge Quantum, che conta circa 450 dipendenti, mentre IonQ e D-Wave, le due società che hanno sottoscritto il MoU relativo ad una ipotetica iniziativa in Lombardia contano complessivamente un numero di 250 dipendenti la prima e 200 dipendenti la seconda.
Infine, vi sono centri di ricerca quantistica universitari o pubblici, come l’Institute for Quantum Computing (IQC) a Waterloo, che ospita più di 300 ricercatori, mentre altri centri di eccellenza australiani o statunitensi ne hanno da qualche decina a centinaia.
In questo contesto i 100 ricercatori che teoricamente l’iniziativa annunciata dal Sottosegretario Butti rientrano nella più assoluta normalità, anzi appaiono anche sottodimensionati rispetto ad altre strutture invece concretamente già operanti.
I centri di calcolo quantistici e non, pubblici e privati in Europa
I centri di calcolo di Quantum Computing in Europa sono situati in vari Paesi e con una molteplicità di soggetti in campo.
Possiamo innanzitutto citare molte aziende e istituti che figurano come membri del consorzio European Quantum Industry Consortium.
Si tratta di aziende come Accenture, Air Liquid, Airbus, BASF, Cap Gemini, DB Systel, Deloitte, Diehl. E.ON, Fresenius, Orange Quantum System, Sap, Thales, Roche, Robert Bosch Gmbh, STMicroelettronics, Rohde & Schwarz e altri.
Poi ci sono le PMI e le startup come Alice & Bob, Alpine Quantum Technologies GmbH, Amires, ANAQOR, EleQtron, HQS Quantum Simulations, IQM, JoS, Quantum, Kiutra, Quantum Brilliance, Quantum Motion, Quanscient, Qublox, Qruise e molte altre.
Infine ci sono gli istituti di ricerca e accademici come CEA, CERN, Fraunhofer, IMEC, Oxford Quantum Circuits, Quantum Center ETH Zurich, University of Cambridge e altri.
Questa rete mista di centri di ricerca pubblici e privati, istituti di ricerca e aziende costituisce l’attuale ecosistema europeo del calcolo quantistico, con iniziative coordinate dalla UE per la diffusione e sviluppo delle tecnologie quantistiche in più Paesi. Poi vi sono e iniziative con grandi capacità di calcolo, che in prospettiva può essere parzialmente (certo con non poco sforzo) dirottata sul calcolo quantistico (magari una volta riscontrata una adeguata domanda).
Quantum Computing e capacità di calcolo nei principali Paesi europei
Vediamo qual è la situazione nei singoli Paesi europei.
In Germania da giugno 2024 c’è il Quantum data center di IQM Quantum Computers, nato per supportare applicazioni industriali e il primo centro dati quantistico IBM in Europa si trova a Ehningen. Sul versante pubblico c’è il Liebniz Supercomputing Centre di Monaco in fase di sviluppo che ospita l’Euro-Q-EXA, con computer da 1.000 qubit. Poi c’è l’ecosistema nazionale, fatto di centri di ricerca come il Max Planck Institute for Quantum Optics, il Quantum Applications and Research Laboratory LMU di Monaco, poi l’Institute of Functional Matter and Quantum Technologyes dell’Università di Stoccarda, infine il Fraunhofer Gesellschaft. Poi ci sono le imprese private impegnate nel settore, come AIRBUS, EleOtron (Siegen), HQS Quantum Simulations di Karlsruhe, Oruise di Saarbrucken, l’Aventix di Berlino, infine iniziative come KEEquant, JoS Quantgum, Kiutra e Quantum Factory.
In Francia è attivo il sito che è stato selezionato per il progetto Euro QCS, che è già operativo con quantum simulators integrati in supercomputer esistenti.
In Italia è presente il progetto EuroQCS-Italy, ospitato dal CINECA come parte dell’infrastruttura europea EuroQCS, integrato nel supercomputer Leonardo, con tecnologia basata su qubit neutral atoms).
Poi ci sono Repubblica Ceca, (con IT4Innovations Nationl Supercomputing con il quantum computer LUMI-Q basato su qubit superconduttori), la Polonia (con il Pozan Supercomputing and Networking Center, parte di EuroQCS-Poland, basato su tecnologia ytapped ions), infine la Spagna, (con il Barcelona Supercomputing Center, che è parte di EuroQCS-Spain e integrato nel supercomputer MareNostrum5, basato su quantum annealer analogico).
Conclusioni
Appare evidente come l’annuncio di Comolake sia frutto di una iperbole narrativa, magari dettata da esigenze di marketing politico. Va tuttavia notato come l’eccessivo uso di superlativi che hanno accompagnato l’annuncio di Comolake assieme ai tanti proclami degli ultimi mesi stonino con il pacato pragmatismo che accompagna, al contrario, l’operato della Premier.
L’innovazione italiana, per crescere, avrebbe bisogno di maggiore sobrietà, ma soprattutto di idee chiare.