SAF, l’ora della verità: perché l’Europa dell’aviazione chiede una politica industriale (non solo mandati)

| 14/10/2025
SAF, l’ora della verità: perché l’Europa dell’aviazione chiede una politica industriale (non solo mandati)

Le compagnie aeree europee sollecitano Bruxelles: più produzione, sussidi mirati e mercato funzionante per il carburante sostenibile. Tra costi tripli, filiere fragili e competizione globale, il Sustainable Aviation Fuel rischia di diventare il vero test della politica industriale europea.

L’Unione Europea ha acceso la miccia della transizione aerea con ReFuelEU Aviation, imponendo un minimo obbligatorio di carburante sostenibile nei voli commerciali. Ma i CEO di Ryanair, Lufthansa, Air France-KLM, easyJet e IAG avvertono: senza un mercato funzionante e incentivi adeguati, l’obiettivo 2050 resta sulla carta. Mentre la produzione non decolla, le compagnie si scontrano con prezzi tripli, forniture limitate e un rischio crescente di dipendenza tecnologica dall’estero.

Il paradosso del volo verde: mandati ambiziosi, molecole assenti

Il 2% di Sustainable Aviation Fuel (SAF) obbligatorio nei serbatoi europei nel 2025 doveva essere il primo passo di una scalata virtuosa verso il 6% nel 2030 e il 70% nel 2050. Sulla carta, un traguardo da leadership globale. Nella realtà, un mandato che corre più veloce della produzione.

Le compagnie aeree si trovano incastrate tra una normativa che impone di usare un carburante “pulito” e una filiera che quel carburante non lo produce in quantità sufficienti. È un cortocircuito tipicamente europeo: ambizione normativa senza corrispettivo industriale.
L’Europa regola come se fosse già pronta a fornire alternative su larga scala, ma il motore industriale resta al minimo regime.

L’appello dell’aviazione: dall’obbligo all’opportunità economica

Dietro l’apparente resistenza delle compagnie non c’è negazione climatica, ma una domanda di realismo economico. Alla conferenza stampa congiunta di Airlines for Europe (A4E), i CEO dei maggiori vettori europei hanno chiesto un’alleanza industriale, non nuovi vincoli. Vogliono investire, ma non in perdita.

Le richieste sono chiare: sussidi mirati per coprire la differenza di prezzo tra SAF e cherosene, semplificazione autorizzativa per i nuovi impianti, contratti di fornitura a lungo termine per garantire la bancabilità dei progetti.
“Oggi il SAF costa da tre a cinque volte più del jet fuel convenzionale” ha spiegato Kenton Jarvis di easyJet. “Se costasse uguale, i mandati sarebbero superflui”.

Dietro la battuta c’è una verità sistemica: la sostenibilità non può essere costruita solo a colpi di regolamento. Senza incentivi, la transizione rischia di restare un lusso per pochi.

I prezzi del carburante verde e il nodo della fiducia

Il SAF oggi costa in media €2.000-3.000 per tonnellata, ma i picchi superano anche i €7.000, secondo l’ICCT. Una volatilità che spaventa le compagnie e disincentiva i contratti di lungo periodo.
In parallelo, cresce il sospetto che i fornitori di energia — da TotalEnergies a Neste — stiano speculando sull’obbligo di legge per imporre sovrapprezzi mascherati.

Il direttore generale di IATA, Willie Walsh, non usa mezzi termini: “l’industria petrolifera sta facendo profitti extra sulle spalle della sostenibilità”. Parla di price gouging, un’accusa inedita per un settore abituato alla diplomazia.
Eppure, anche i produttori hanno le loro ragioni: senza margini garantiti non possono finanziare i nuovi impianti e i progetti pilota restano tali.
Il risultato è un mercato immaturo, dove la fiducia è la prima vittima e la trasparenza la grande assente.

Gli incentivi europei: troppo pochi, troppo lenti

Per compensare i costi, Bruxelles ha introdotto un sistema di quote ETS dedicate all’aviazione. Nel 2024 sono state distribuite circa €125 milioni in equivalenti di carbon credits per aiutare le compagnie a coprire il gap SAF.
Ma è un cerotto su una frattura strutturale.
Il mercato europeo dell’aviazione brucia oltre 55 milioni di tonnellate di carburante l’anno: l’impatto reale degli incentivi è inferiore all’1% del fabbisogno totale.

Dal 2026, inoltre, le compagnie aeree perderanno le quote ETS gratuite e dovranno acquistare il 100% delle emission allowances all’asta. Tradotto: costi ambientali più alti e meno risorse per investire in carburanti verdi.
In assenza di una leva finanziaria più coraggiosa, il mandato rischia di diventare un vincolo regressivo — più punitivo che trasformativo.

La filiera che non decolla: feedstock scarsi, tecnologie immature

Il tallone d’Achille è la catena produttiva.
Il 90% del SAF oggi prodotto in Europa deriva da processi HEFA, che utilizzano oli esausti o grassi animali. Ma la disponibilità di feedstock è limitata, e la concorrenza con altri settori (biocarburanti stradali, chimica verde, cosmetica) ne aumenta il prezzo.

Gli e-fuels, carburanti sintetici derivati da idrogeno verde e CO₂ catturata, rappresentano la frontiera tecnologica più promettente, ma anche la più lontana.
Un solo impianto commerciale può costare oltre un miliardo di euro e richiedere volumi enormi di energia rinnovabile: un paradosso in un continente che fatica ancora a costruire parchi eolici e solari su scala.

Il caso Shell Rotterdam, dove un mega-impianto di biocarburanti è stato sospeso per mancanza di redditività, è emblematico: persino i colossi dell’energia esitano a impegnarsi senza un quadro di incentivi stabile.
Il risultato è un’Europa che detta regole, ma importa tecnologia e combustibile, come fece un tempo con il gas.

La trappola della competitività: quando il green costa troppo

L’obbligo di fare rifornimento per almeno il 90% negli aeroporti UE (la clausola anti-tankering) nasce per evitare che i vettori “saltino” i mandati rifornendosi in Paesi non regolati. Ma la misura, pur virtuosa, rischia di penalizzare la competitività dei vettori europei.

Una compagnia asiatica o del Golfo può aggirare l’obbligo facendo scalo in mercati con carburante tradizionale più economico.
Nel frattempo, i vettori UE, già gravati dal sistema ETS, si trovano a operare in un regime asimmetrico, dove la sostenibilità diventa un costo competitivo.

Il punto non è se la transizione debba avvenire, ma come farla senza disarmare industrialmente il continente.
Senza una strategia industriale unitaria, l’Europa rischia di trasformare il suo vantaggio etico in uno svantaggio economico.

La nuova geopolitica del carburante verde

Il SAF non è solo una tecnologia: è una nuova materia prima strategica.
Chi controllerà la produzione su larga scala controllerà anche le rotte economiche del futuro. Gli Stati Uniti, grazie all’Inflation Reduction Act, stanno attirando miliardi in investimenti per gli e-fuels.
Il Medio Oriente, forte di energia solare a basso costo, prepara impianti di sintesi carbonica competitivi.
La Cina, con le sue economie di scala, si posiziona come potenziale esportatore di carburanti sintetici low-cost.

L’Europa rischia di rimanere nel mezzo: normativamente ambiziosa, ma industrialmente fragile.
Senza una filiera interna solida, il continente si troverà a importare non solo energia, ma anche il proprio futuro climatico.
Il rischio è di sostituire la dipendenza dal petrolio con una nuova dipendenza da tecnologia e know-how extraeuropei.

La via d’uscita: de-risking, partenariati e visione industriale

Per rendere reale il decollo verde, servono strumenti di politica industriale all’altezza della sfida.

  • Contratti per differenza (CfD) che compensino il delta di prezzo tra SAF e cherosene
  • Off-take agreements pluriennali garantiti da BEI o governi nazionali, per dare stabilità agli investimenti
  • Semplificazione normativa per gli impianti e armonizzazione degli standard sui feedstock
  • Fondi pubblici mirati — non a pioggia, ma concentrati sulle tecnologie più scalabili.

E soprattutto, una roadmap chiara al 2040, con obiettivi intermedi realistici.
Come nel caso dell’idrogeno, l’Europa deve passare dal “green talk” al “green build”: meno retorica, più capacità produttiva.

Governance e corresponsabilità: una filiera, molti protagonisti

La transizione non si fa per decreto, ma per collaborazione sistemica.
I regolatori devono offrire stabilità; i produttori, trasparenza e calendarizzazione degli investimenti; le compagnie aeree, impegni vincolanti di acquisto; gli aeroporti, infrastrutture di stoccaggio dedicate.
Anche i consumatori — le grandi aziende e le amministrazioni pubbliche — possono diventare clienti pilota del SAF, generando domanda iniziale e riducendo il rischio di mercato.

È un modello di governance distribuita, dove ognuno ha un pezzo di responsabilità e di opportunità.
Se manca una sola di queste tessere, la transizione si inceppa.

Dalla regola alla realtà: la sfida industriale dell’Europa

L’appello dei CEO europei non è una rivolta contro l’ambiente, ma una richiesta di coerenza tra ambizione e realtà.
L’Europa non può più permettersi di essere un laboratorio normativo senza officine produttive.
Il rischio non è solo quello di mancare i target climatici, ma di perdere sovranità industriale su un settore che vale miliardi e occupa centinaia di migliaia di persone.

Il volo verde, per decollare davvero, ha bisogno di una politica industriale che creda nel lungo periodo.
Solo allora il SAF smetterà di essere una sigla in un regolamento europeo e diventerà il carburante del futuro europeo: competitivo, disponibile, replicabile.

Se l’Europa saprà trasformare l’obbligo in opportunità, potrà guidare la nuova economia del cielo.
Se invece continuerà a imporre obiettivi senza costruire strumenti, rischierà di essere spettatrice del suo stesso progetto.

E a quel punto, la sostenibilità — da promessa — potrebbe diventare la più costosa delle illusioni.

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