La guerra delle stablecoin: Wall Street, Europa e Tokyo alla conquista della moneta digitale globale

RedazioneRedazione
| 11/10/2025
La guerra delle stablecoin: Wall Street, Europa e Tokyo alla conquista della moneta digitale globale

Dieci colossi bancari aprono un fronte comune per esplorare una stablecoin “made in G7”. Efficienza, potere e rischio sistemico si intrecciano in un progetto che prova a portare la programmabilità del denaro dentro l’architettura della finanza regolata.

La finanza tradizionale non guarda più il mondo cripto dal vetro di sicurezza della sala di controllo: ci entra. Dieci tra le maggiori banche globali — da Bank of America a Deutsche Bank, da Goldman Sachs a UBS, insieme a Citi, MUFG, Barclays, TD Bank, Santander e BNP Paribas — hanno avviato un lavoro congiunto per capire se abbia senso emettere asset digitali ancorati 1:1 alle valute del G7 su blockchain pubbliche. È un’ipotesi, non una decisione. Ma è l’ipotesi che conta: un consorzio di istituzioni sistemiche che, per la prima volta, valuta di standardizzare una moneta digitale privata dentro i confini della regolazione bancaria. Se riuscisse, cambierebbe il modo in cui circola la liquidità, come si regolano i pagamenti e chi esercita davvero il controllo sulla moneta nel XXI secolo.

Perché proprio ora: il denaro programmabile come leva competitiva

L’idea di una stablecoin bancaria non nasce in un vuoto. Il rally delle criptovalute, il ritorno d’interesse politico negli Stati Uniti e la maturazione tecnologica delle infrastrutture pubbliche hanno creato un contesto nuovo. Finora le stablecoin hanno vissuto soprattutto dentro i mercati cripto, come lubrificante per scambi e arbitraggi; poco, pochissimo, nell’economia reale. Il consorzio punta a rovesciare la geometria: portare la programmabilità del denaro dove oggi stanno i volumi, ossia nei pagamenti corporate, nelle tesorerie delle multinazionali, nelle catene del valore globali e nel mercato dei capitali.

Il valore potenziale non è ideologico, ma industriale: riduzione dei tempi di regolamento (da T+2 a quasi tempo reale), meno frizioni nei pagamenti transfrontalieri, minore rischio controparte grazie a regolamento atomico e smart contract, gestione fine della liquidità intraday. Sono argomenti che parlano alle direzioni finanziarie. E sono il nucleo del business case.

Cosa potrebbe essere (e non essere) una “stablecoin G7”

Una stablecoin emessa o sponsorizzata da banche sistemiche non è un clone degli attuali token privati. Le scelte di design sono decisive:

  • Riserva e custodia: attività liquide, separate, ispezionabili; presumibile prevalenza di titoli di Stato a brevissima scadenza e depositi presso controparti centrali
  • KYC/AML nativi: identità digitale integrata nel ciclo di vita del token; accesso “a cerchi” (banche, imprese, fornitori di pagamento) per prevenire usi illeciti e abilitare audit
  • Programmabilità con guardrail: smart contract sì, ma con circuit breakers, whitelist/blacklist e diritti di intervento in linea con i requisiti prudenziali
  • Interoperabilità: dialogo con reti pubbliche e permissioned, con ponti verificati e standard comuni per evitare “giardini chiusi”
  • Governance: regole su chi può emettere, come si gestiscono gli oracoli dei tassi di cambio G7 e come si decide in caso di fork o incidenti di rete.

Questa architettura punta a istituzionalizzare ciò che finora è stato “artigianale”. Ma istituzionalizzare significa anche accettare che la moneta programmabile obbedisca a norme e che, all’occorrenza, possa essere spenta, riaccreditata, tracciata.

Il convitato di pietra: i regolatori

La mossa delle banche entra in un territorio sensibile. Banche centrali e autorità di vigilanza temono che stablecoin su larga scala possano spostare depositi dall’intermediazione tradizionale verso strumenti a riserva separata, frammentando la trasmissione della politica monetaria. È il nocciolo delle perplessità espresse da varie autorità: la priorità resta evitare corse alla liquidità e minimizzare gli effetti domino nei mercati monetari.

Il consorzio lo sa. Per questo la narrativa ufficiale è prudente: “esplorare il valore, garantire conformità, rispettare il risk management”. Tradotto: il progetto può vivere solo se allinea sicurezza sistemica, trasparenza della riserva e una governance verificabile. Il punto politico è un altro: se il denaro programmabile diventa mainstream, chi ne decide le regole ultime — il consorzio, il regolatore, o entrambi?

Il mercato da battere: Tether & co. e il paradosso della fiducia

Oggi la mappa è chiara: poche stablecoin dominano un mercato che vale centinaia di miliardi, con Tether in posizione largamente prevalente. È un paradosso: un settore nato per la trasparenza che sconta asimmetrie informative e zone grigie regolatorie. Ed è qui che le banche vedono lo spazio: offrire una controparte riconosciuta, con controlli e responsabilità, per drenare utilizzo dall’ecosistema cripto verso un circuito regolato.

Attenzione però all’effetto network. La moneta è un bene di rete: vince chi è accettato ovunque. Per superare l’inerzia, il consorzio dovrà portare merchant, PSP e grandi piattaforme a integrare i token nativamente nei flussi di pagamento e negli ERP aziendali. Senza quella massa critica, anche la stablecoin più “solida” resta un esercizio di stile.

Token deposit vs stablecoin: due strade, una strategia

Non tutte le banche sposano la stessa tesi. Una parte del settore vede nei depositi tokenizzati la via maestra: stessa banca, stesso conto, nuova forma digitale. È una differenza non solo tecnica: i token deposit restano pienamente dentro il perimetro bancario e della garanzia sui depositi; la stablecoin — anche se bancaria — tende a poggiare su riserve segregate e a vivere su reti più aperte.
Per i clienti corporate la domanda è pragmatica: che cosa semplifica davvero la tesoreria? Se la stablecoin riduce tempi, costi e riconciliazioni, vince. Se i depositi tokenizzati offrono gli stessi benefici senza cambiare processi, vince l’abitudine.

La verità è che i due percorsi non si escludono. Una strategia credibile potrebbe vedere co-esistere stablecoin (per i pagamenti interbancari e cross-border ad alta velocità) e token deposit (per la gestione quotidiana della liquidità on-chain).

Il caso Europa e la sfida dell’euro digitale

La partita è anche geopolitica. In Europa un fronte bancario sta lavorando a una stablecoin in euro; altrove, alcune istituzioni hanno già testato emissioni proprietarie con adozione limitata. Il punto europeo è duplice: non farsi imporre standard nati altrove e dialogare con i progetti di valuta digitale di banca centrale.
Se una stablecoin bancaria in euro raggiungesse massa critica prima della versione retail dell’euro digitale, potrebbe prefigurare standard de facto su wallet, identità e compliance. Oppure produrre sovrapposizioni: due strumenti digitali che cercano la stessa utilità d’uso. In entrambi i casi, il coordinamento istituzionale sarà decisivo.

I rischi che contano davvero (e come mitigarli)

Un progetto del genere porta rischi concreti e gestibili solo con disegno accurato:

  1. Rischio di corsa ai rimborsi: in stress di mercato, richiesta simultanea di conversione. Mitigazioni: riserve ultra-liquide, limiti di concentrazione, gate temporanei esplicitati a priori
  2. De-peg e fiducia: scostamento dal valore 1:1. Mitigazioni: trasparenza frequente e verificata su portafoglio, mark-to-market, oracoli multipli per i tassi di cambio G7
  3. Operativo e smart contract: bug, exploit, cattiva gestione delle chiavi. Mitigazioni: security by design, audit indipendenti, policy di rotazione e kill switch regolati
  4. Interoperabilità e ponti: i bridge sono il punto debole. Mitigazioni: standard comuni, bridge permissioned, assicurazioni parametriche
  5. Concentrazione e antitrust: rischio di standard proprietari di fatto. Mitigazioni: governance aperta, regole di accesso non discriminatorie, comitati indipendenti su prezzi e API.

Solo se queste barriere vengono affrontate prima del lancio, la stablecoin bancaria può presentarsi come infrastruttura affidabile, non come gadget di branding.

Dove nasce la domanda: use case con P&L

Il mercato non premia le slide. Premia i casi d’uso con conto economico:

  • Pagamenti B2B transfrontalieri: pagare fornitori in Asia o America con regolamento quasi istantaneo e riconciliazione automatica nel gestionale
  • Mercato dei capitali on-chain: emissione, collocamento e regolamento di strumenti a breve in delivery-versus-payment su blockchain
  • Gestione liquidità intraday: trasferire fondi tra giurisdizioni in minuti, riducendo l’uso di linee di credito ponte
  • Commercio globale: lettere di credito e documenti doganali tokenizzati, con pagamento che si libera al verificarsi di condizioni reali.

Ogni use case ha una metrica chiave: giorni e costi risparmiati, capitale liberato, errori evitati. Solo così una stablecoin bancaria diventa prodotto, non manifesto.

La vera posta in gioco: standard, non branding

È facile innamorarsi dei nomi. Ma la partita è sugli standard: come si costruisce l’identità digitale, come si certificano i dati nel mondo fisico (spedizioni, inventari, servizi), come si definisce la finalità del regolamento su reti pubbliche.
Chi stabilisce gli standard — che sia un consorzio bancario, un’alleanza pubblico-privata o un regolatore — scrive le regole della competitività per i prossimi dieci anni. È qui che una stablecoin bancaria può diventare asse infrastrutturale e non semplice strumento.

Chi controllerà la moneta programmabile?

Il progetto delle dieci banche non è solo un capitolo della storia delle crypto; è un test di sovranità. Se la moneta diventa codice, chi controlla il codice controlla la moneta: banche centrali, consorzi privati o un’inedita co-governance? La risposta non sarà binaria. Ma una cosa è chiara: la prossima infrastruttura del denaro nascerà dove fiducia istituzionale e tecnologia verificabile si incontrano.

La finanza ha già fatto una scelta: entrare nel territorio programmabile e provare a definirne i confini prima che altri lo facciano. Se le banche sapranno unire standard aperti, trasparenza radicale e casi d’uso con P&L misurabile, la stablecoin del G7 potrà segnare la normalizzazione del denaro digitale. In caso contrario, resterà un esercizio elegante.
In entrambi i casi, la direzione è segnata: la moneta del futuro sarà programmabile, interoperabile e verificabile. La domanda aperta, quella da prima pagina, è chi avrà il diritto — e la responsabilità — di premerne gli interruttori.

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