Gli Stati Uniti autorizzano miliardi di dollari in esportazioni di chip AI verso Abu Dhabi. Un patto tecnologico che intreccia potere economico, diritto dell’innovazione e geopolitica digitale, ridefinendo la mappa strategica del Golfo.
Nell’era in cui la potenza di calcolo è la nuova moneta della supremazia globale, Washington sceglie di trasformare i chip in strumenti di politica estera.
Con il via libera alle esportazioni Nvidia verso gli Emirati Arabi Uniti, gli Stati Uniti non aprono soltanto una rotta commerciale, ma un fronte diplomatico: l’intelligenza artificiale diventa linguaggio di potere, terreno di alleanze e strumento di influenza.
Dietro le licenze e le sigle industriali si cela una strategia che unisce capitale, tecnologia e geopolitica in un disegno di lungo periodo. E che potrebbe riscrivere le regole del gioco nel Medio Oriente — e, forse, nell’intero equilibrio digitale mondiale.
Il contesto: un patto di silicio tra Washington e Abu Dhabi
La decisione del Dipartimento del Commercio statunitense di approvare l’export di chip Nvidia verso gli Emirati Arabi Uniti, per un valore stimato di diversi miliardi di dollari, non è un atto tecnico. È un segnale politico.
Secondo Bloomberg News e Reuters, il Bureau of Industry and Security ha concesso le licenze nell’ambito di un accordo bilaterale siglato in maggio, volto a consolidare una partnership di lungo periodo sull’intelligenza artificiale.
Il programma prevede che Abu Dhabi possa importare fino a 500.000 unità di chip avanzati Nvidia all’anno a partire dal 2025. Le licenze avranno durata iniziale fino al 2027, ma con clausole di estensione fino al 2030.
In cambio, gli Emirati si sono impegnati a realizzare investimenti equivalenti negli Stati Uniti, in particolare nel settore dei data center, delle infrastrutture digitali e della ricerca sull’intelligenza artificiale.
L’intesa rientra in una strategia più ampia di Washington: quella di costruire una rete di alleanze tecnologiche “fidate”, in contrapposizione al blocco sino-russo. È, di fatto, il primo esperimento concreto di AI diplomacy, dove la potenza di calcolo diventa leva di influenza e architettura geopolitica.
Un accordo che vale molto più dei chip
Sul piano economico, l’intesa con gli Emirati segna una tappa decisiva nella strategia industriale di Nvidia, ormai fulcro dell’ecosistema globale dell’intelligenza artificiale.
Con una quota di mercato superiore all’80% nei semiconduttori per l’AI, l’azienda di Jensen Huang è oggi più vicina a un asset strategico che a una semplice corporation. Le nuove licenze garantiscono un flusso di export costante verso una regione in cui l’investimento tecnologico cresce a doppia cifra e dove i fondi sovrani dispongono di una liquidità senza eguali.
Per Abu Dhabi, il vantaggio è altrettanto rilevante. I chip Nvidia costituiranno la base per la costruzione di nuovi data center ad alta densità, fondamentali per addestrare modelli linguistici di grandi dimensioni e sviluppare soluzioni di intelligenza artificiale nazionale.
Il progetto si intreccia con la Vision 2031, il piano emiratino che mira a trasformare il Paese in una AI-driven economy, meno dipendente dagli idrocarburi e più integrata nelle catene globali dell’innovazione.
In questa prospettiva, i chip diventano un’infrastruttura politica: un investimento in sovranità digitale e una forma di assicurazione economica in un mondo dominato dai dati e dal calcolo.
La tecnologia come linguaggio del potere
La concessione delle licenze Nvidia non rappresenta soltanto una transazione commerciale, ma un cambio di paradigma strategico.
Gli Stati Uniti — dopo anni di restrizioni sulle esportazioni tecnologiche — stanno sperimentando un modello di cooperazione selettiva: aprire le proprie tecnologie più avanzate solo ai partner considerati affidabili, legandoli con clausole economiche e impegni regolatori.
Questa politica, che potremmo definire “Silicon Diplomacy”, rientra nella più ampia ristrutturazione delle catene di fornitura post-pandemia. Washington non mira più soltanto a contenere la Cina: punta a ricostruire una rete di paesi trusted che condividano standard di sicurezza, governance e trasparenza tecnologica.
Abu Dhabi, dal canto suo, ha compreso la posta in gioco: non vuole essere cliente, ma partner.
Il nuovo Nvidia–Technology Innovation Institute Joint Lab, inaugurato nella capitale nel 2025, rappresenta un passo decisivo in questa direzione. Dedicato all’AI e alla robotica avanzata, il centro si inserisce in un ecosistema che include collaborazioni con Microsoft, OpenAI e università globali. È un modello di “soft power tecnologico”, dove ricerca e diplomazia si confondono.
Regole, licenze e diritto dell’innovazione
Dietro l’accordo si cela un intricato sistema normativo.
Le esportazioni di chip ad alte prestazioni rientrano, infatti, nel regime di Export Administration Regulations (EAR), che controlla la vendita di tecnologie dual-use, cioè suscettibili di impiego civile e militare.
Ogni licenza deve assicurare che i chip non siano riesportati verso paesi sottoposti a restrizioni — Cina in primis — e che il loro impiego sia coerente con i vincoli di sicurezza nazionale.
La clausola di reciprocità, che lega la concessione delle licenze all’impegno di investimento sul suolo americano, introduce un precedente interessante nel diritto commerciale internazionale.
Non si tratta più soltanto di “export control”, ma di “economic conditionality”: una forma di diplomazia economica che premia chi accetta regole di trasparenza, governance dei dati e tracciabilità tecnologica.
Tuttavia, il rischio resta. Società emiratine come G42, partner in progetti di AI e calcolo quantistico, sono state oggetto di verifiche per i legami indiretti con entità cinesi.
Il delicato equilibrio tra apertura commerciale e sicurezza strategica sarà una delle principali sfide giuridiche dei prossimi anni.
Il Golfo come nuovo snodo strategico
La concessione delle licenze a Nvidia si inserisce in un contesto di competizione globale in cui i chip rappresentano la nuova forma di potere.
Il Medio Oriente — un tempo campo di battaglia per l’energia — sta diventando teatro di un’altra corsa: quella al controllo dei dati e dell’infrastruttura cognitiva.
Gli Emirati, con la loro stabilità politica e la capacità finanziaria di investire su larga scala, sono candidati ideali per ospitare la Silicon Belt americana nel Golfo.
In parallelo, Washington tenta di contrastare l’influenza tecnologica cinese, che negli ultimi anni ha fatto leva su partnership con Arabia Saudita e Qatar. L’obiettivo non è solo economico: è strategico.
Chi controlla il calcolo, controlla la conoscenza; e chi controlla la conoscenza, definisce il potere del futuro.
In questa nuova “guerra fredda digitale”, gli Emirati si muovono con equilibrio, cercando di mantenere una postura di neutralità attiva: collaborano con gli Stati Uniti, ma non chiudono le porte all’Oriente. È un gioco sottile, di cui la diplomazia americana è pienamente consapevole.
La dimensione industriale e formativa
Sul piano interno, l’accordo tra Washington e Abu Dhabi è anche una lezione di politica industriale.
Gli Stati Uniti stanno riscoprendo il valore strategico del controllo tecnologico come leva economica. Il CHIPS and Science Act ha aperto la strada a una politica industriale orientata alla sicurezza nazionale, e la partnership con gli Emirati ne rappresenta un’estensione globale.
Per gli Emirati, la posta in gioco è la costruzione di competenze. Le nuove infrastrutture AI richiederanno migliaia di ingegneri, ricercatori e data scientist locali.
Abu Dhabi punta a diventare un centro di attrazione per talenti globali, con un modello di formazione e ricerca pubblico-privato che unisce università, fondi sovrani e grandi multinazionali del settore tech.
In prospettiva, ciò significa spostare il baricentro della conoscenza tecnologica più vicino al Golfo, in una regione che per decenni è stata percepita solo come fonte di energia. Ora, invece, diventa fonte di calcolo.
Scenari e criticità
Nonostante l’entusiasmo, restano nodi aperti.
Le tempistiche degli investimenti reciproci non sono ancora definite, e la burocrazia americana — storicamente lenta in materia di export control — potrebbe rallentare la piena attuazione del piano.
Inoltre, la capacità effettiva degli Emirati di assorbire questa tecnologia dipenderà dall’equilibrio tra governance dei dati e tutela della privacy, ambiti in cui la normativa locale è ancora in via di consolidamento.
Ma la sfida più grande sarà politica: mantenere il consenso interno negli Stati Uniti, dove una parte del Congresso guarda con sospetto a ogni forma di trasferimento tecnologico avanzato verso paesi extra-NATO.
Se il progetto dovesse fallire, rischierebbe di alimentare la narrativa protezionista; se invece avrà successo, potrebbe inaugurare un nuovo modello di cooperazione industriale globale.
Verso una diplomazia del calcolo
Il via libera a Nvidia è più di una licenza commerciale: è l’embrione di una diplomazia del calcolo.
Nel mondo post-industriale, i chip sostituiscono l’acciaio e il petrolio come strumenti di potere. L’intelligenza artificiale è il linguaggio con cui le nazioni misurano la loro influenza, e la sovranità tecnologica diventa il nuovo volto della geopolitica.
Washington e Abu Dhabi stanno sperimentando un equilibrio inedito, dove la sicurezza si intreccia con l’innovazione e la cooperazione economica diventa un atto politico.
Se questo modello reggerà, potremmo assistere alla nascita di una nuova architettura globale — un ordine non più fondato sull’energia o sulla forza militare, ma sulla capacità di elaborare, comprendere e governare l’intelligenza artificiale.
Il potere, oggi, non si misura più in barili o missili. Si misura in teraflop.
E chi controllerà il calcolo, controllerà il futuro.