Chip War europea: tutti i Paesi UE nella coalizione per il Chips Act 2.0

RedazioneRedazione
| 29/09/2025
Chip War europea: tutti i Paesi UE nella coalizione per il Chips Act 2.0

Dalla retorica delle quote alla concretezza della filiera: l’Europa prova a blindare tecnologie critiche, competenze e capitali. La “Semicon Coalition”, guidata dall’Olanda e ora estesa a tutti i 27 Stati membri, chiede un reset operativo: tempi più rapidi, budget dedicato, specializzazione intelligente e una vera politica del talento.

Per anni l’Europa ha vissuto dando per scontato che i chip sarebbero sempre arrivati: container puntuali, prezzi ragionevoli, un ecosistema globale affidabile. Poi sono arrivati pandemia, colli di bottiglia, tensioni tra Washington e Pechino, il rischio Taiwan. Le catene si sono inceppate e l’Unione ha scoperto che senza semiconduttori non si fanno auto, non si lanciano satelliti, non si addestra l’IA. Il Chips Act è stato il primo scatto d’orgoglio (20% di quota globale entro il 2030); oggi però l’asticella si sposta: non più un numero, ma resilienza tecnologica. La Semicon Coalition – nata nei Paesi Bassi e ormai firmata da tutti i 27 – consegna a Bruxelles un messaggio chiaro: serve un Chips Act 2.0 che trasformi l’ambizione in capacità produttiva, con tempi certi e scelte nette.

Perché il 20% non basta (e forse non serve)

La Corte dei conti europea ha raffreddato gli entusiasmi: al ritmo attuale l’UE arriverà intorno all’11,7% della catena del valore dei chip nel 2030, lontana dal 20%. Ma il punto non è inseguire un target cosmetico. Una quota di mercato globale dice poco se l’Europa resta priva dei nodi che contano: chip per l’IA, componenti di potenza per l’e-mobility, packaging avanzato, strumenti di produzione. Meglio rinunciare al feticcio della percentuale e mettere in sicurezza gli anelli essenziali della filiera, quelli che accendono – o spengono – interi settori industriali.

Che cosa chiede davvero la “Semicon Coalition”

La coalizione non propone slogan, ma ingegneria istituzionale. In sintesi: una politica industriale che scelga, finanzi e costruisca:

  • Tecnologie critiche al centro: finanziare dove l’Europa può essere indispensabile (power electronics, sensori, RF, packaging 2.5D/3D, apparecchiature, materiali), senza disperdere risorse su tutto
  • Permitting fast-track: sportelli unici, tempi vincolanti, iter ambientali coordinati a livello UE. Ogni mese risparmiato è un vantaggio competitivo
  • Capitale paziente e scalabile: un budget separato per i chip, strumenti di garanzia e co-investimento paneuropei che riducano il costo del capitale per progetti da miliardi
  • Competenze: formazione verticale (operatori di linea, process engineer, progettisti), dottorati industriali, mobilità intra-UE, visti rapidi per profili extraeuropei

Le lezioni della prima fase: Intel e oltre

La prima ondata di investimenti ha portato buoni annunci, ma ha mancato l’obiettivo più ambizioso: attrarre produzione leading-edge. Il dietrofront di Intel su una mega-fab in Germania è stato un promemoria: incentivi da soli non bastano se energia, tempi autorizzativi, costo del capitale e disponibilità di talenti non chiudono il conto. L’Europa ha finanziato molta capacità di fascia media – utile – ma ha faticato a sedersi al tavolo dove si decidono i nodi di frontiera che alimentano cloud, difesa e intelligenza artificiale. Il Chips Act 2.0 nasce per correggere questa traiettoria.

Dove l’Europa è forte (e può diventare decisiva)

Non partiamo da zero. L’UE è insostituibile nelle apparecchiature (litografia, metrologia, deposizione), competitiva nei chip di potenza per automotive e industria, avanzata in sensori, analogico e mixed-signal. Vanta centri come imec, CEA-Leti, Fraunhofer, filiere di packaging che possono scalare a fan-out, RDL, SiP. In queste aree l’Europa può non solo essere autosufficiente, ma esportare leadership. Il 2.0 dovrebbe concentrare qui il grosso della spinta, collegando R&D, piloting e industrializzazione con pipeline di progetti end-to-end.

Dove l’Europa è vulnerabile (e come rimediare)

Tre punti deboli ricorrenti:

  1. Produzione leading-edge: assenza di grandi foundry di nodo avanzato in suolo UE; dipendenza da Asia su nodi logici cutting-edge
  2. EDA e IP: fortissima dipendenza da fornitori extra-UE per tool di progettazione e IP logiche
  3. Energia e permitting: costo energetico e tempi autorizzativi spesso incompatibili con la finestra tecnologica

Rimedi pratici: partnership strategiche con alleati per colmare gap (EDA, IP), hub energetici dedicati per i siti più energivori, e un perimetro di sicurezza economica (export control coordinato, screening investimenti) che protegga i nodi sensibili senza soffocare l’innovazione.

Talento: il vero collo di bottiglia

I capannoni non fanno chip, le persone sì. Oggi mancano tecnici di processo, manutentori specializzati, ingegneri di linea, progettisti. Servono interventi su tre piani:

  • Formazione breve (ITS evoluti, academies on-site) per ruoli operativi in 6–12 mesi
  • Cattedre industriali e dottorati nelle aree critiche, cofinanziati dalle imprese
  • Canale “Talent Express” UE: visti rapidi e riconoscimento titoli per profili STEM extra-UE, con incentivi alla permanenza

Ogni euro di capex rende molto di più se il sito nasce con una pipeline di competenze pronta.

Finanza: perché serve un budget separato

I semiconduttori sono un’industria capex-intensive e ciclica. Un budget ordinario, frammentato tra programmi, non regge. Il settore chiede un fondo dedicato e leve di garanzia paneuropea per abbassare il costo del capitale e attirare investitori privati. Strumenti tipo IPCEI vanno semplificati e resi più rapidi; procurement pubblico (difesa, sanità digitale, mobilità) può fare da domanda di qualità, dand o visibilità pluriennale alle linee produttive.

Velocità come vantaggio competitivo

La concorrenza non aspetta. Il 2.0 deve fissare SLA regolatori: quanti giorni per ciascun step autorizzativo, quali documenti, quale sportello unico, quale autorità sblocca i colli di bottiglia. Vanno mappati e preparati siti “shovel-ready” (energia, acqua di processo, connessioni ferroviarie e portuali) in ogni macro-regione. La governance? Leggera, ma incisiva: un Project Delivery Office europeo con poteri di coordinamento su progetti cross-border.

Geopolitica: autonomia, non autarchia

L’Europa non diventerà Taiwan né la Silicon Valley e non deve illudersi di fare tutto. Ma può – e deve – essere autonoma nei nodi che contano per la propria sicurezza economica. Questo significa costruire capacità interne selezionate e, allo stesso tempo, alleanze funzionali con Stati Uniti, Giappone, Corea per tool, materiali, IP. Il perimetro di sicurezza – export control, screening investimenti, resilienza delle forniture – va disegnato con il bisturi, non con la mannaia: proteggere ciò che è strategico senza amputare la cooperazione necessaria.

Come misurare il successo (senza farsi ingannare dai grafici)

Dimentichiamo per un attimo la “quota 20%”. E guardiamo a KPI che contano:

  • Tempo medio dal progetto all’avvio cantiere e al primo wafer
  • Numero di linee attive in tecnologie critiche (potenza, RF, sensori, packaging avanzato) e volumi serviti a settori strategici UE
  • Talenti formati/attratti e tasso di retention dopo 3–5 anni
  • Euro privati catalizzati per ogni euro pubblico
  • Stress test: quanto regge la supply chain europea a shock logistici o geopolitici.

Se questi indicatori migliorano, la quota verrà da sé.

Scenari a 12–36 mesi: cosa aspettarsi davvero

12 mesi: prime autorizzazioni fast-track, cantieri aperti su siti “pronti”, programmi formativi on-site, fondo dedicato impostato
24 mesi: linee pilota in packaging avanzato e potenza, primi contratti di procurement pubblico “Made in EU” per settori mission-critical, pipeline talenti stabilizzata
36 mesi: specializzazione visibile per macro-regioni (cluster per packaging, power, strumenti), tempi autorizzativi dimezzati, capacità esportabile dove l’Europa è forte.

Sovranità tecnologica, senza illusioni

La Semicon Coalition mette l’Europa davanti allo specchio. Non serve un altro slogan, serve esecuzione: scegliere dove vogliamo essere indispensabili, finanziare con massa critica, costruire in fretta e formare persone. La sovranità, nel XXI secolo, non è un tricolore su una fabbrica: è poter decidere i propri cicli industriali, assicurare tecnologie chiave a chi cura, difende, muove il Paese.
Se il Chips Act 2.0 diventerà cantieri, competenze e contratti – non slide – l’Europa smetterà di inseguire e tornerà a det dettare lo standard in ciò che sa fare meglio. Se fallirà, resterà un grande mercato che acquista innovazione altrui, esposto a ogni scossa del mondo. La finestra è stretta, il tempo è poco: è il momento di passare dalla promessa alla potenza.

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