Dal declino in Europa alla sfida globale: H&M cerca riscatto a San Paolo e Delhi

| 29/09/2025
Dal declino in Europa alla sfida globale: H&M cerca riscatto a San Paolo e Delhi

Consumi in rallentamento in Europa, dazi e fiducia debole negli Stati Uniti: il colosso svedese cambia rotta. Aperture mirate in America Latina, debutto di Cos a Delhi, rete globale ridisegnata. Ma tra concorrenza feroce e nuovi pubblici da conquistare, la scommessa è tutt’altro che scontata

Per anni la geografia di H&M è stata semplice: Europa come casa, Stati Uniti come seconda gamba, resto del mondo come espansione. Oggi quella mappa non regge più. I consumi in Europa frenano, gli Stati Uniti sono appesantiti da dazi e fiducia altalenante e la risposta del gruppo guidato da Daniel Erver è netta: spostare il baricentro verso i mercati emergenti. Il primo passo è arrivato ad agosto con l’inaugurazione del negozio di San Paolo, seguito da un piano di aperture in Brasile e da un annuncio che vale una strategia: Cos, il brand premium del gruppo, sbarcherà a Delhi entro fine anno. In controluce, la domanda che conta: il fast fashion può reinventarsi partendo da Sud, mentre Zara e Shein alzano l’asticella della competizione?

Da una rete sterminata a una rete selettiva

H&M non rincorre più la metrica “più negozi uguale più vendite”. Dalla fine del 2019 la rete globale si è ridotta del 19%, scendendo a 4.118 store ad agosto—il livello più basso dal 2016—con altre 200 chiusure previste nel 2025, soprattutto nei mercati maturi. Il modello cambia: meno capillarità, più qualità. Flagship in quartieri-icona—dal Marais a Parigi a Huaihai Road a Shanghai—per spingere brand, storytelling e margini; poi aperture chirurgiche dove la penetrazione è ancora bassa, ma la domanda potenziale è alta. È un reset che non riguarda solo gli indirizzi: è un diverso modo di leggere le città, i flussi turistici, le aree ad alto scontrino.

Brasile: volume, visibilità e “licenza di crescere”

La prima boutique brasiliana, a San Paolo, è stata collocata in un mall di fascia alta, scelta che dice molto: partire dall’alto per disegnare percezione, prima di inseguire volumi. Entro novembre arriveranno altri due negozi e nel 2026 almeno quattro ulteriori aperture, inclusa Rio de Janeiro. L’operazione è anche un test latinoamericano più ampio, con lanci in Venezuela (Q4) e Paraguay (2026) dopo l’ingresso in El Salvador.
Opportunità evidenti—mercati giovani, urbanizzazione in crescita, fame di marchi globali—ma anche rischi concreti: inflazione intermittente, volatilità politica, costi logistici. La differenza la farà l’esecuzione: assortimenti adattati per clima e gusti locali, pricing intelligente rispetto alle valute, supply chain snella per evitare scaffali “fuori stagione”.

India: la scommessa del “lusso accessibile” con Cos

Se il Brasile è la leva dei volumi, l’India è la leva del posizionamento. Cos—il marchio premium di H&M—aprirà a Delhi nel quarto trimestre, puntando a una classe media urbana in rapida ascesa, abituata allo shopping digitale e sempre più attenta a qualità e design. Prezzi guida: 149 dollari per un abito, 299 per un cashmere.
Qui la sfida non è solo vendere capi: è legittimare un’estetica e un prezzo in un mercato dove il valore si misura in modo diverso tra metropoli e città di provincia. La carta vincente? Esperienza in store (servizi, fitting, personalizzazione), integrazione omnicanale e, soprattutto, collezioni pensate per il contesto—tessuti, palette, silhouettes che dialoghino con clima e culture locali. Se Cos convincerà Delhi, H&M avrà trovato una seconda via al margine oltre il fast fashion.

Stati Uniti ed Europa: i mercati che non perdonano

Erver resta cauto sugli USA nel quarto trimestre: i dazi hanno spinto alcuni retailer a ritoccare i listini, mentre la fiducia dei consumatori è scesa più della pazienza per gli acquisti impulsivi. In Europa, core storico del gruppo, l’inflazione “di ritorno” e i tassi alti hanno rimodulato lo scontrino medio. Qui la strategia è difendere quota con collezioni più reattive, una filiera accorciata e l’uso accorto dei flagship nelle destinazioni turistiche ad alta visibilità. Meno promozioni a tappeto, più micromarkdown mirati, l’equilibrio tra volumi e margini è sottilissimo.

Competitor: tra l’orologio di Zara e il turbo di Shein

Il perimetro competitivo è spietato. Zara (Inditex) ha ridotto i negozi a 5.528 puntando su un “phygital” quasi perfetto: tempi di immissione rapidi, app fluida, store concepiti come estensioni del canale digitale. Shein corre su un’altra pista: micro-lotti, algoritmi che captano trend in tempo reale, prezzi che abbassano la soglia psicologica all’acquisto.
Per H&M la risposta non può essere “solo più capi”: servono collezioni con tasso di desiderabilità più alto, ritmi di refresh credibili (senza inseguire la bulimia), e uno storytelling responsabile che parli a un consumatore stanco dell’ “usa e getta”, ma ancora sensibile al valore.

Store meno numerosi, brand più forte: la logica dei flagship

Ridurre la rete non significa ritirarsi: significa alzare l’asticella. I flagship servono come centri di gravità: lanci, capsule, collaborazioni, servizi (ritiri rapidi, resi “frictionless”, riparazioni dove possibile), e contenuti per i social. È qui che si consolida l’immagine, si testano formati e si recupera redditività attraverso ticket più alti e mix di prodotto più ricco. L’apertura a San Paolo va letta così: un segnale al mercato locale e un laboratorio per replicare in altre piazze della regione.

Prodotti, filiera, sostenibilità: la partita che non si vede

Il fast fashion si gioca anche dietro le quinte. Per stare in campo, H&M deve accorciare il lead time senza sacrificare controllo qualità e trasparenza. Localizzare parte della produzione o dei finishing step, bilanciare il sourcing tra Asia e Americhe, ottimizzare trasporti e magazzini: sono decisioni che valgono quanto la scelta di una vetrina.
Sul fronte ESG, il gruppo dovrà mostrare progressi misurabili—materiali riciclati di qualità, durabilità reale, modelli di circolarità che non siano solo marketing. I clienti premium di Cos e i giovani attenti al tema sostenibilità premiano la coerenza; i regolatori europei, sempre più, la impongono.

Cosa guarderanno analisti e investitori

Il giudizio dei mercati è per definizione scettico. Daniel Schmidt (Danske Bank) avverte che è presto per dire se il Brasile muoverà l’ago dei conti già nel 2026: l’accoglienza è buona, ma la conversione in like-for-like e margini va dimostrata. I KPI chiave:

  • Sell-through e rotazione inventario nelle nuove piazze
  • Traffico e conversione nei flagship vs. store tradizionali
  • Full-price sell (meno dipendenza da sconti)
  • Gross margin al netto dei dazi
  • Tasso di riacquisto e NPS nelle città test (San Paolo, Rio, Delhi).

Reinventarsi davvero: meno rumore, più segnale

H&M ha imboccato una strada chiara: tagliare dove rende poco, investire dove può crescere bene. Brasile per i volumi, India per il posizionamento: due laboratori che misureranno se il fast fashion può sfuggire alla morsa tra l’orologio svizzero di Zara e il turbo algoritmico di Shein.
La verità è che “aprire nuovi negozi” non basta più. Servono collezioni con carattere, supply chain intelligenti, negozi che siano piattaforme esperienziali e un’idea di sostenibilità che sopravviva allo stress test del prezzo. Se H&M riuscirà a fare questo salto, la rotta a Sud non sarà una fuga: sarà una nuova frontiera.
Se fallirà, resterà la sensazione di un gigante che ha cambiato indirizzo senza cambiare pelle. E in un mercato che premia solo chi sa ridurre il rumore e aumentare il segnale, è l’unica differenza che conta.

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