Una bozza di riforma propone di consentire ai colossi globali dell’e-commerce di acquistare direttamente dai fornitori indiani per rivendere sui mercati esteri. Una svolta che potrebbe spingere le esportazioni digitali, ma che solleva accuse di monopolio e il timore di un colpo mortale ai milioni di negozianti locali.
Per decenni l’India ha difeso il proprio mercato interno dall’assalto delle multinazionali, imponendo regole severe all’e-commerce: nessuna vendita diretta, solo marketplace digitali che connettono venditori e clienti. Ora, però, il governo di Nuova Delhi sembra pronto a cambiare rotta. Una bozza della Direzione Generale del Commercio Estero (DGFT), visionata da Reuters, propone di permettere a giganti come Amazon di acquistare direttamente prodotti da fornitori indiani per rivenderli all’estero. Una riforma che, se approvata, avrebbe il sapore di una rivoluzione: accelerare l’export digitale, ma al prezzo di mettere in discussione l’equilibrio fragile tra crescita globale e protezione del commercio tradizionale.
Un cambio di paradigma per l’e-commerce indiano
Le regole attuali riflettono un’impostazione protezionista: colossi come Amazon e Flipkart (controllata da Walmart) non possono vendere direttamente né ai consumatori indiani né a quelli esteri. Sono costretti a fungere da semplici intermediari digitali, percependo commissioni su transazioni tra terze parti.
La bozza DGFT scardina questa architettura. Prevede un modello di export facilitato da terzi, in cui entità collegate alle piattaforme si occuperebbero di documentazione, compliance e procedure doganali. L’obiettivo dichiarato è abbattere la burocrazia che oggi ostacola le piccole imprese: meno del 10% di quelle attive online riesce a esportare, frenata da normative complesse e costi amministrativi insostenibili.
Crescita globale o monopolio mascherato?
Dietro la retorica della facilitazione si nasconde una partita più grande. Con questa riforma, Amazon acquisirebbe un ruolo diretto e centralizzato nelle catene di approvvigionamento indiane. Non solo vendite: controllo logistico, accesso privilegiato ai fornitori, gestione della compliance. Un potere che, per i critici, rischia di trasformarsi in monopolio mascherato.
Le associazioni dei commercianti locali, in particolare la Confederation of All India Traders (CAIT), denunciano che la mossa equivale a consegnare le chiavi del commercio indiano alle multinazionali. “È un piano che scivola pericolosamente su un piano inclinato” – ha dichiarato il presidente B.C. Bhartia – “Sarà quasi impossibile monitorare se i prodotti siano davvero destinati all’export o vengano dirottati nel mercato interno”.
Geopolitica dell’export: l’asse Nuova Delhi–Washington
Il tempismo della proposta non è neutrale. L’India e gli Stati Uniti sono da anni impegnati in un difficile negoziato per un accordo commerciale, spesso bloccato da divergenze sulle tariffe e sulle regole digitali. Aprire all’export diretto delle piattaforme straniere sarebbe un gesto distensivo verso Washington, che da tempo spinge per regole meno restrittive.
Per Nuova Delhi, la posta in gioco è duplice: da un lato, attrarre capitali e consolidare il rapporto strategico con gli Stati Uniti in un’epoca di competizione globale con la Cina; dall’altro, non alienare milioni di piccoli commercianti che costituiscono il cuore del consenso politico interno.
I numeri di Amazon e la promessa dell’export
Amazon dichiara di aver facilitato esportazioni dall’India per 13 miliardi di dollari dal 2015, con l’ambizione di arrivare a 80 miliardi entro il 2030. Per il colosso di Seattle, la bozza DGFT rappresenta un’occasione per moltiplicare i volumi e consolidare la propria posizione come principale canale di export digitale indiano.
Eppure, le ombre restano. L’antitrust indiano ha già accusato Amazon di pratiche anticoncorrenziali, come sconti predatori e favoritismi verso venditori selezionati. L’azienda ha respinto ogni accusa, ma l’episodio alimenta i sospetti che il nuovo schema possa amplificare dinamiche già contestate.
Il fragile ecosistema dei piccoli commercianti
L’India ospita oltre 60 milioni di piccole attività commerciali, dal negozio di quartiere al venditore ambulante. Molte di queste realtà faticano a competere con la logistica e i prezzi aggressivi delle grandi piattaforme. La paura è che, con un accesso diretto all’export, Amazon rafforzi il proprio potere a tal punto da marginalizzare ulteriormente i piccoli operatori, riducendo la diversità del tessuto economico.
La questione non è solo economica: è sociale e politica. I piccoli commercianti rappresentano una rete capillare che sostiene intere comunità e che storicamente ha un peso cruciale nei processi elettorali. Metterli in difficoltà potrebbe avere ripercussioni imprevedibili sulla stabilità sociale e sul consenso al governo.
Controlli e sanzioni: basteranno?
La bozza DGFT prevede che le nuove regole valgano solo per l’export e introduce sanzioni severe e persino azioni penali per chiunque tenti di aggirarle. Inoltre, il modello verrebbe implementato in forma sperimentale, con la possibilità di estenderlo dopo una revisione.
Ma i critici non si fidano. In un sistema complesso come quello indiano, distinguere tra export genuino e vendite camuffate sul mercato interno sarà un compito titanico. Senza controlli trasparenti e indipendenti, la riforma rischia di trasformarsi in un varco difficile da richiudere.
Il bivio dell’India digitale
La riforma dell’e-commerce, ancora in fase di bozza, rappresenta un crocevia cruciale per l’India del XXI secolo. Da un lato, l’apertura promette di spingere l’export digitale, attrarre capitali e rafforzare i legami geopolitici con gli Stati Uniti. Dall’altro, rischia di destabilizzare milioni di piccoli commercianti, pilastro economico e sociale del Paese.
Il dilemma è emblematico: come diventare un player globale senza sacrificare l’ecosistema interno? Come aprire le porte all’innovazione senza trasformare l’India in un terreno di conquista per le Big Tech?
La risposta definirà non solo il futuro dell’e-commerce indiano, ma la traiettoria stessa dell’India digitale. Perché in gioco non ci sono soltanto miliardi di dollari, ma l’idea di chi controllerà il commercio indiano del domani: i marketplace locali o le multinazionali globali?