Microsoft rompe con Israele: stop al cloud per la sorveglianza di Gaza

| 26/09/2025
Microsoft rompe con Israele: stop al cloud per la sorveglianza di Gaza

Il colosso tecnologico interrompe l’accesso del Ministero della Difesa israeliano ad alcuni strumenti digitali dopo inchieste su un presunto sistema di sorveglianza di massa nei territori palestinesi. Una decisione che segna un precedente storico per le Big Tech e apre un dibattito globale sulla neutralità tecnologica

Oggi, non sarà ricordato come un giorno qualsiasi per il mondo della tecnologia. Con un annuncio secco e carico di implicazioni, Microsoft ha comunicato di aver disattivato una serie di servizi cloud e di intelligenza artificiale utilizzati dal Ministero della Difesa israeliano. La decisione è arrivata dopo una revisione interna che ha confermato, almeno in parte, le denunce giornalistiche su un programma di sorveglianza elettronica nei territori palestinesi occupati.

Non è solo un gesto tecnico, ma un atto politico che rompe il mito della neutralità tecnologica: un’azienda privata che si mette di traverso a un governo sovrano, in nome di principi etici e di reputazione globale.

L’inchiesta che ha acceso i riflettori

L’origine dello scandalo va ricercata in un’inchiesta congiunta del Guardian, di +972 Magazine e della testata israeliana Local Call. Pubblicata in agosto, ha svelato l’uso di Azure, il cloud di Microsoft, per archiviare enormi quantità di telefonate palestinesi e per elaborarle con strumenti di intelligenza artificiale avanzata.

Secondo il dossier, non si trattava di raccolta dati limitata a fini di sicurezza, ma di un sistema strutturato di sorveglianza di massa, in grado di monitorare e tracciare milioni di conversazioni. Un meccanismo reso possibile da infrastrutture private occidentali, con il risultato di trascinare Microsoft in un terreno che fino a pochi anni fa sembrava esclusivo delle agenzie di intelligence statali.

La presa di posizione di Brad Smith

“Non forniamo tecnologia per facilitare la sorveglianza di massa dei civili”. Con questa frase, Brad Smith, presidente di Microsoft, ha fissato un confine netto. Nel suo post ufficiale, ha ammesso che l’indagine interna aveva trovato evidenze concrete di un utilizzo improprio dei servizi, compreso l’accesso a data center nei Paesi Bassi e a funzioni di AI particolarmente sensibili.

Microsoft ha, quindi, deciso di disabilitare le sottoscrizioni coinvolte, notificando formalmente l’IMOD. Un gesto che sottolinea una nuova consapevolezza: le Big Tech non possono più considerarsi infrastrutture neutrali, perché il loro ruolo tocca direttamente i diritti fondamentali e gli equilibri geopolitici.

Tra etica e realpolitik

La decisione, tuttavia, non è totale. Microsoft ha specificato che i servizi di cybersicurezza continueranno a essere forniti a Israele e ad altri Paesi del Medio Oriente. In una regione scossa da conflitti, la cybersicurezza resta un asset strategico e Redmond non intende ritirarsi da un ruolo che incrocia interessi americani e alleanze storiche.

È un equilibrio fragile: da un lato, il rispetto dei diritti umani e la necessità di non essere complici di sorveglianza di massa; dall’altro, la realtà delle relazioni geopolitiche che spingono le Big Tech a mantenere la loro presenza in mercati strategici.

Le proteste dentro Microsoft

Il caso arriva in un momento già teso per l’azienda. A fine agosto, Microsoft aveva licenziato quattro dipendenti che avevano protestato contro i rapporti con Israele, due dei quali avevano organizzato un sit-in proprio nell’ufficio di Brad Smith. La società ha giustificato i licenziamenti con “gravi violazioni delle policy” e “rischi per la sicurezza”.

Ma la frattura è evidente: sempre più dipendenti chiedono che le Big Tech rispettino principi etici, anche a costo di rinunciare a contratti miliardari. È il segnale di una nuova coscienza interna alla Silicon Valley, pronta a sfidare i vertici aziendali quando percepisce un tradimento dei valori fondamentali.

Un precedente che cambia le regole

La mossa di Microsoft segna un precedente globale. Mai prima d’ora una Big Tech aveva interrotto pubblicamente servizi a un ministero della difesa di un Paese alleato degli Stati Uniti. È un atto che apre domande cruciali: chi governa le infrastrutture digitali che sostengono intere economie e apparati militari? Sono i governi a decidere o sono le aziende che controllano cloud e intelligenza artificiale?

La vicenda mette in luce un vuoto normativo: non esiste ancora un quadro internazionale che disciplini l’uso militare delle infrastrutture digitali private. E in questo vuoto, le decisioni aziendali finiscono per avere un peso politico enorme.

La fine dell’innocenza tecnologica

Il caso Microsoft-Israele è più di un conflitto contrattuale: è il simbolo di una nuova era. Dimostra che la neutralità tecnologica non esiste più. Ogni riga di codice, ogni algoritmo, ogni cloud storage può diventare strumento di sorveglianza, arma geopolitica o linea di difesa dei diritti umani.

Con la scelta di bloccare i servizi AI e cloud al Ministero della Difesa israeliano, Microsoft ha mandato un messaggio al mondo intero: le Big Tech non sono spettatrici, ma attori centrali nei grandi conflitti del XXI secolo.
La vera domanda ora è: chi controllerà la tecnologia che controlla il mondo?

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