Il progetto Thacker Pass, destinato a diventare la più grande miniera di litio dell’emisfero occidentale è al centro di una trattativa che intreccia politica, finanza e geopolitica. L’amministrazione Trump punta a entrare direttamente nel capitale di Lithium Americas, trasformando la corsa al litio in una battaglia per il controllo strategico della transizione energetica.
Nelle vaste pianure desertiche del Nevada, tra canyon spazzati dal vento e cantieri che lavorano senza sosta, prende forma un progetto da miliardi di dollari: Thacker Pass. È qui che si gioca una partita cruciale per il futuro energetico degli Stati Uniti, un cantiere che non è solo industriale, ma anche politico e geopolitico. L’amministrazione Trump non si accontenta più di finanziare: vuole diventare azionista, fino al 10% di Lithium Americas, l’azienda che guida lo sviluppo. Una mossa che segna un cambio di paradigma e accende i riflettori su una nuova corsa all’“oro bianco”.
Lo Stato-azionista: un modello che rompe con il passato
Gli Stati Uniti hanno storicamente diffidato dall’interventismo pubblico diretto nell’economia. Eppure la Casa Bianca sta progressivamente cambiato approccio. Già con Intel e MP Materials, l’amministrazione aveva aperto la strada a una strategia che oggi assume toni più decisi: il governo non solo incentiva, ma partecipa attivamente al capitale delle imprese strategiche.
Il messaggio è chiaro: le regole del libero mercato non bastano più a garantire sicurezza nazionale e leadership tecnologica. La posta in gioco è troppo alta. Se la Cina utilizza strumenti statali per consolidare il proprio dominio sulle catene di approvvigionamento, Washington non intende restare spettatrice.
Thacker Pass, la miniera che può riscrivere la geografia del litio
Con un investimento complessivo da 2,26 miliardi di dollari, Thacker Pass è destinato a cambiare le proporzioni del mercato americano. Quando entrerà in funzione nel 2028, la miniera produrrà 40.000 tonnellate di carbonato di litio l’anno, sufficienti ad alimentare fino a 800.000 veicoli elettrici.
Per gli Stati Uniti, che oggi estraggono meno di 5.000 tonnellate complessive e dipendono in larga misura dall’estero, il salto è epocale. Ma non si tratta solo di volumi: è una questione di indipendenza strategica. Attualmente, oltre il 75% della raffinazione mondiale è nelle mani cinesi. Thacker Pass rappresenta la possibilità di costruire una filiera domestica che riduca la vulnerabilità di Washington alle pressioni di Pechino.
General Motors: partner indispensabile o concorrente scomodo?
A rendere la partita ancora più complessa è il ruolo di General Motors. Il colosso automobilistico ha già investito 625 milioni di dollari, acquisendo una quota del 38% e il diritto di acquistare gran parte della produzione per vent’anni. Per GM, che ha scommesso la propria strategia sull’elettrificazione, Thacker Pass è un pilastro del futuro industriale.
Ma per la Casa Bianca questa posizione dominante rischia di essere un problema. Da qui le pressioni per riequilibrare i poteri interni al progetto e garantire che lo Stato abbia voce in capitolo sulle decisioni cruciali. È uno scontro sotterraneo tra logiche aziendali e logiche politiche, con un punto in comune: entrambe le parti sanno che il litio di Thacker Pass sarà determinante per il futuro dell’automotive americano.
I rischi di un progetto miliardario
Dietro gli entusiasmi, restano le incognite. Il mercato del litio, dopo il rally del 2021-2022, ha visto un brusco calo dei prezzi, spinto dall’eccesso di produzione cinese. Una volatilità che mette a rischio i margini e complica la sostenibilità finanziaria di investimenti plurimiliardari.
Lithium Americas, con una capitalizzazione di circa 750 milioni di dollari, è ancora un player relativamente fragile rispetto ai giganti globali. La richiesta di rivedere il calendario di rimborso del prestito con il Dipartimento dell’Energia lo dimostra. E se i prezzi dovessero restare depressi, anche un progetto strategico come Thacker Pass potrebbe trovarsi in difficoltà.
La corsa globale all’oro bianco
Il litio non è semplicemente una materia prima: è la linfa vitale della transizione energetica. Le batterie agli ioni di litio alimentano auto elettriche, smartphone, reti energetiche. E chi controlla il litio controlla una parte significativa del futuro industriale del pianeta.
Oggi la Cina domina il settore: è tra i principali produttori mondiali insieme a Australia e Cile, ma soprattutto detiene la leadership assoluta nella raffinazione. Mentre Pechino stringe alleanze con Paesi sudamericani e investe massicciamente in Africa, Washington cerca di recuperare terreno costruendo una filiera nazionale. Thacker Pass, in questa prospettiva, non è solo una miniera: è una testa di ponte geopolitica.
Una nuova idea di capitalismo americano?
L’ingresso diretto dello Stato nel capitale di Lithium Americas solleva una domanda più ampia: siamo di fronte a un nuovo modello di capitalismo americano? Un capitalismo che accetta l’idea di un interventismo mirato, giustificato dalla sicurezza nazionale e dalla competizione globale?
Per alcuni è un ritorno alle origini: durante la Guerra Fredda lo Stato aveva un ruolo molto più attivo nel sostenere industrie strategiche. Per altri, è una rottura pericolosa con i principi del libero mercato, che rischia di politicizzare eccessivamente l’economia. Quel che è certo è che la decisione di Trump di entrare in Lithium Americas segna un punto di svolta.
Un futuro ancora da scrivere
La corsa al litio è la corsa al futuro. E Thacker Pass è il banco di prova su cui si misureranno le ambizioni americane. Se il progetto sarà completato nei tempi previsti e se il governo saprà gestire il suo nuovo ruolo di azionista, gli Stati Uniti potrebbero finalmente ridurre la loro dipendenza dalla Cina e posizionarsi come leader nella transizione energetica.
Ma se i prezzi del litio resteranno bassi, se i ritardi accumuleranno costi o se il progetto verrà schiacciato tra logiche politiche e industriali divergenti, il rischio è che Thacker Pass diventi il simbolo delle contraddizioni americane di fronte alla sfida del XXI secolo.
La nuova corsa all’oro bianco non è solo una storia di miniere e prestiti. È la fotografia di un Paese in bilico tra libero mercato e interventismo, tra pragmatismo e visione geopolitica. Ed è il segnale che il futuro dell’energia, e quindi del potere globale, si deciderà non nei palazzi di Washington o Pechino, ma tra le polverose distese del Nevada.