Il Canada accusa la piattaforma di non proteggere i minori e di raccogliere dati sensibili, mentre cresce la diffidenza globale verso il colosso cinese.
L’indagine di Ottawa costringe TikTok a rafforzare i controlli e a limitare il marketing sui giovani utenti, ma la partita sulla sicurezza digitale e sull’influenza geopolitica è appena iniziata.
Un social che non è più solo intrattenimento
Non è più soltanto un’app di balletti e tendenze virali: TikTok è diventato un crocevia dove si intrecciano privacy, politica e geopolitica. In Canada, un’inchiesta congiunta ha svelato che centinaia di migliaia di bambini continuano ad accedere alla piattaforma ogni anno, malgrado il divieto ufficiale per gli under 13. I loro dati sensibili vengono raccolti, profilati e trasformati in carburante per contenuti e inserzioni. È un campanello d’allarme che supera i confini nazionali: da Ottawa a Bruxelles, da Washington a Pechino, cresce la sensazione che il futuro della sicurezza digitale globale si giochi dentro un’app di pochi secondi.
L’indagine canadese: una crepa nel modello TikTok
Il rapporto presentato dal commissario federale per la privacy Philippe Dufresne, insieme alle autorità di Québec, Columbia Britannica e Alberta, è chiaro: le misure di TikTok per impedire l’uso ai bambini e proteggere le loro informazioni personali sono inadeguate.
La scoperta più inquietante riguarda la raccolta sistematica di dati sensibili. Non solo preferenze di visione o cronologia, ma veri e propri profili digitali che alimentano l’algoritmo e la pubblicità mirata. «TikTok raccoglie enormi quantità di informazioni sui propri utenti, inclusi i minori. Questi dati vengono poi utilizzati per orientare contenuti e annunci, con conseguenze potenzialmente dannose, soprattutto per le fasce più giovani», ha dichiarato Dufresne.
Il problema, però, va oltre il Canada: è il riflesso di un modello di business che si regge su una materia prima fragile e preziosa — l’attenzione e i dati dei più giovani.
Le promesse dell’azienda: svolta autentica o maquillage?
Di fronte alle accuse, TikTok ha promesso di introdurre nuove misure: controlli più rigorosi sull’età, maggiore trasparenza nell’uso dei dati, restrizioni sulla pubblicità personalizzata per gli under 18. Una concessione significativa riguarda il divieto agli inserzionisti di targettizzare i minori, fatta eccezione per categorie generiche come lingua o area geografica approssimativa.
Sulla carta, un passo avanti. Ma la domanda resta aperta: un’azienda costruita sull’ingegneria dei dati può davvero rinunciare a sfruttare il bacino d’oro rappresentato dagli adolescenti? O si tratta di un maquillage necessario per resistere alle crescenti pressioni normative, senza intaccare il cuore del modello economico?
Un portavoce dell’azienda ha parlato di «rafforzare ulteriormente la piattaforma per gli utenti canadesi», pur contestando alcune delle conclusioni dell’inchiesta. Una risposta calibrata, che cerca di rassicurare i regolatori senza rinunciare alla narrativa di un’azienda “responsabile”.
Oltre il Canada: una diffidenza globale
Il caso nordamericano è solo l’ultima tappa di una diffidenza ormai diffusa. In Europa, le principali istituzioni hanno vietato TikTok sui telefoni del personale. Negli Stati Uniti, il Senato ha approvato una legge per impedirne l’uso da parte dei dipendenti federali. In entrambi i casi, la privacy è solo uno dei fronti: il vero timore è che l’app possa diventare una cassa di risonanza per gli interessi geopolitici di Pechino.
ByteDance, la società madre, ha sede in Cina. Ed è questo a rendere TikTok diverso dai suoi concorrenti americani: nel clima di rivalità crescente tra Washington e Pechino, la piattaforma diventa automaticamente un terreno di sospetto. L’ipotesi — mai provata, ma mai del tutto smentita — che i dati possano finire nelle mani del governo cinese ha trasformato TikTok in un nodo strategico, più che in un semplice social di intrattenimento.
La battaglia sulla regolamentazione digitale
Il caso canadese porta con sé una domanda cruciale: siamo davvero pronti a regolare le piattaforme digitali globali? Governi e istituzioni hanno iniziato a muoversi, ma la velocità dell’innovazione ha spesso lasciato la politica indietro.
Le autorità canadesi, imponendo cambiamenti concreti, cercano di segnare una linea rossa. Ma da sole non bastano: il carattere transnazionale di TikTok e delle altre big tech richiede un coordinamento che, al momento, appare frammentato. Bruxelles, Washington e Ottawa parlano la stessa lingua sulla necessità di più regole, ma agiscono ancora in ordine sparso. E mentre i legislatori discutono, milioni di adolescenti scorrono video, lasciano tracce digitali e diventano oggetto di strategie di profilazione sempre più raffinate.
Una questione culturale, oltre la politica
C’è poi un’altra dimensione, spesso trascurata: quella culturale ed educativa. TikTok non è solo un luogo di intrattenimento, ma una vera e propria piazza digitale dove gli adolescenti costruiscono identità, linguaggi e relazioni. Regolare l’algoritmo è necessario, ma non sufficiente. Senza un investimento serio nell’educazione digitale, genitori e scuole continueranno a inseguire un fenomeno che evolve più velocemente delle regole.
Il bivio digitale
La vicenda canadese dimostra che TikTok non è soltanto una piattaforma, ma un banco di prova globale. Da un lato, obbliga l’azienda a confrontarsi con un mondo che pretende più responsabilità e trasparenza. Dall’altro, mette i governi davanti a un’urgenza: costruire regole efficaci e coordinate per un ecosistema che non conosce confini.
Il futuro della sicurezza digitale non si gioca solo nelle aule dei tribunali o nei parlamenti, ma anche negli schermi degli smartphone dei più giovani. Ed è qui che il vero bivio si fa evidente: accettare che i dati dei nostri figli diventino la valuta di un’economia algoritmica, o immaginare un modello in cui l’innovazione tecnologica conviva con la protezione dei diritti fondamentali.
Se TikTok è il simbolo del presente, la sua regolamentazione — o la sua assenza — dirà molto su che tipo di futuro digitale siamo disposti ad accettare.