La dipendenza energetica dalla Russia ci ha insegnato, in modo brutale, cosa significa delegare la nostra autonomia a un fornitore unico. Oggi, quel pericolo si ripresenta sotto una nuova veste: il digitale. Architetture informatiche fondate su pochi provider, servizi cloud centralizzati, DNS monopolizzati: basta un blackout, un aggiornamento mal riuscito o una scelta commerciale per spegnere la nostra economia.
Questo articolo racconta perché la sovranità tecnologica non è una bandiera ideologica, ma una strategia di sopravvivenza. E perché spetta ai vertici delle organizzazioni – pubbliche e private – il compito di scegliere, prepararsi e agire.
Le parole del passato parlano al presente
George Santayana, filosofo e saggista ispano-americano, più di un secolo fa, scrisse una frase che è diventata un monito per i popoli e per i governi: “Chi non ricorda la storia è condannato a ripeterla.” Non è solo retorica: è un avvertimento. Uno di quelli che, se ignorati, presentano il conto con durezza.
Negli ultimi anni, l’Europa ha pagato caro il prezzo della propria amnesia strategica.
Per decenni, ha costruito la propria economia su un’assunzione silenziosa: che il gas russo sarebbe sempre arrivato, che nulla avrebbe mai interrotto quel flusso vitale.
Poi è arrivata la crisi, e con essa la realtà.
Nel giro di poche settimane:
- l’energia è diventata un bene di lusso
- le catene di fornitura si sono inceppate
- decisioni industriali sono state stravolte o cancellate
- i governi hanno dovuto affrontare scelte drastiche, in emergenza.
La dipendenza da un solo fornitore non era solo una fragilità ma un’arma puntata.
Ed è proprio questo schema che si sta ripetendo oggi. Solo che il teatro è un altro; non è più la fornitura di gas è il digitale.
La lezione energetica e il rischio sistemico
La storia recente ci ha insegnato una lezione durissima: quando si affida tutto a un solo fornitore, è come lasciare le chiavi di casa in mano a qualcun altro.
Lo abbiamo visto con il gas: appena il flusso si è interrotto, i prezzi sono esplosi, molte produzioni si sono fermate e la società intera ha tremato.
Ma la cosa più grave è stata la perdita di sovranità della capacità di decidere in autonomia, di negoziare da pari e di proteggere i propri cittadini.
Tutto questo si è incrinato nel momento stesso in cui la dipendenza è diventata uno strumento di ricatto.
La lezione è chiara: la dipendenza da un solo fornitore non è un problema tecnico ma un vero r proprio rischio sistemico ed è anche un modo con cui si può minacciare un’intera nazione.
Il digitale come nuova frontiera della dipendenza
Oggi, quella stessa logica di dipendenza si ripropone sotto una nuova forma: il dominio digitale.
Molte organizzazioni pubbliche e private, in tutta Europa, stanno costruendo le proprie architetture informatiche attorno a pochi fornitori globali. Parlo di:
- identità digitali
- DNS
- servizi cloud
- infrastrutture hardware
- aggiornamenti software.
In molti casi, questi servizi sono così integrati nei processi che basterebbe un’interruzione per bloccare tutto: l’accesso ai dati, la gestione della logistica, la fatturazione elettronica e persino il funzionamento di servizi pubblici essenziali.
E non è un’ipotesi teorica.
Nel 2021 e nel 2022 outage globali di provider internazionali hanno già reso inaccessibili piattaforme, strumenti e servizi critici per ore. La vita digitale si è congelata e milioni di utenti sono stati tagliati fuori dai propri strumenti di lavoro, dai propri archivi, dalla propria operatività.
E allora, ci si chiede: cosa accadrebbe se l’interruzione durasse giorni? O se fosse una decisione commerciale, una sanzione geopolitica, o semplicemente un aggiornamento andato male?
La risposta è semplice e brutale: si spegne la fabbrica digitale e, con essa, la nostra economia.
Sovranità tecnologica: strategia, non ideologia
Quando si parla di sovranità tecnologica, qualcuno storce il naso.
La associa a una forma di protezionismo digitale, a una battaglia ideologica contro i grandi player. Ma la verità è un’altra.
La sovranità non è ideologia. È strategia.
È la capacità concreta di:
- continuare a operare quando tutto si complica,
- decidere senza dover chiedere permesso a qualcun altro,
- scegliere anche quando un fornitore dice di no.
In altre parole, sovranità significa libertà operativa. Significa poter reggere l’urto, rialzarsi dopo un blackout, proseguire anche quando gli altri si fermano.
Non è una formula teorica ma una postura organizzativa. È un assetto mentale ed un modo di stare nel mondo digitale con la schiena dritta.
I quattro pilastri della resilienza digitale
Non basta volerlo. Per costruire una reale sovranità digitale servono fondamenta robuste. Secondo me, almeno quattro, per essere precisi:
- tecnologie proprietarie nei nodi critici: laddove un sistema non può fermarsi, occorre avere pieno controllo. Non basta “affidarsi”: bisogna “possedere” la tecnologia, conoscerla, governarla
- infrastrutture sicure: non solo fisiche, ma anche logiche, interconnesse, ridondate, testate. La sicurezza non è un costo ma un prerequisito per ogni processo
- standard condivisi: l’interoperabilità è l’unico antidoto al lock-in. Senza standard aperti, non c’è libertà di movimento e senza libertà, non può esserci sovranità
- competenze diffuse: nessuna tecnologia è sovrana se chi la usa non è preparato. Le competenze devono essere presenti ovunque: nei team tecnici, nei dirigenti, nei Consigli di amministrazione.
Su questi quattro pilastri si può costruire un modello operativo maturo. Un modello fatto di piattaforme solide, processi affidabili, persone competenti e partnership strategiche.
Analizziamo in dettaglio quest’ultimo elemento.
Partnership strategiche per un ecosistema europeo
La sovranità non si costruisce da soli, è un progetto collettivo.
Serve una visione di sistema, in cui le grandi imprese agiscono come cantieri aperti, capaci di generare innovazione su larga scala. Attorno a loro, una costellazione di PMI specializzate, capaci di fornire moduli, componenti, soluzioni interoperabili.
E poi le Istituzioni. Con il loro ruolo di regia, di indirizzo, di garanzia. Perché senza una governance pubblica consapevole, nessun ecosistema può prosperare.
Questa alleanza deve essere misurabile. Occorre una metrica della sovranità basata su KPI, su domande concrete, non slogan del tipo:
Quanti componenti critici posso sostituire in un giorno?
Quanta interoperabilità garantiscono i miei contratti?
Cosa succede se il mio fornitore chiude domani?
Serve una partnership vera che non esista sulla carta, ma nella realtà.
Visione, missione e il ruolo della normativa
La visione è semplice: un’Europa autonoma, sicura, competitiva.
Autonoma, perché fondata su standard comuni, interoperabilità e indipendenza.
Sicura, perché supportata da infrastrutture solide e verificabili.
Competitiva, perché capace di innovare senza catene, senza subire vincoli esterni.
Trasformare questa visione in missione operativa è compito dei decisori.
E oggi esiste già un quadro normativo che indica la rotta: NIS 2, DORA, Cyber Resilience Act.
Da questi strumenti derivano cinque azioni essenziali che possono già essere avviate:
- Mappare le dipendenze critiche: non si sostituisce ciò che non si conosce.
- Pianificare la continuità e la sostituibilità degli asset critici: occorre un piano, non improvvisazione.
- Inserire clausole di sovranità nei contratti: perché in emergenza serve libertà.
- Prevedere esercitazioni di crisi: almeno due volte l’anno. È necessario simulare per sapere reagire.
- Formare i vertici: perché senza governance consapevole, non esiste sicurezza. Questa, peraltro, è la grande svolta della NIS 2: la sovranità è ora una responsabilità del comando.
Conclusione – La linea sottile tra vulnerabilità e sovranità
C’è un momento preciso in cui un’organizzazione scopre se è sovrana oppure no.
È l’istante in cui qualcosa si rompe, un servizio si blocca, un fornitore dice “no”.
Se in quel momento si riesce ad andare avanti, si è sovrani. Se, invece, ci si ferma, si era solo utenti, dipendenti, fragili.
Quindi, la sovranità non è un’utopia, ma una scelta che richiede fatica, investimenti e consapevolezza. Ma è l’unico modo per restare liberi in un mondo in cui la tecnologia è diventata la nuova geografia del potere.
Chi comanda i sistemi, comanda le economie.
E allora sì come ci ha insegnato Santayana: chi non ricorda la storia è condannato a ripeterla ma chi la comprende, può scriverne una nuova.
E questa volta, con la schiena dritta.