Giappone, Toyoake dichiara guerra agli smartphone: massimo 2 ore al giorno

RedazioneRedazione
| 23/09/2025
Giappone, Toyoake dichiara guerra agli smartphone: massimo 2 ore al giorno

La città della prefettura di Aichi è la prima nel Paese a introdurre un limite legale all’uso quotidiano dei telefoni tra i minori. Una misura pionieristica che punta a migliorare sonno e rendimento scolastico, ma che divide opinione pubblica e famiglie.

Nel cuore del Giappone, una piccola città ha deciso di alzare il tiro contro la dipendenza digitale. Toyoake, vicino a Nagoya, è diventata la prima municipalità a vietare ai ragazzi di usare lo smartphone per più di due ore al giorno, con un’ordinanza che apre un fronte inedito nel rapporto tra tecnologia, salute e libertà individuale. È un esperimento che potrebbe cambiare il dibattito nazionale — e forse internazionale — sul futuro della vita connessa.

Una decisione senza precedenti

Il consiglio comunale di Toyoake ha approvato un’ordinanza che stabilisce un tetto massimo di 120 minuti al giorno di utilizzo dello smartphone per i minori. La norma non introduce sanzioni dirette, ma fornisce a scuole e famiglie un riferimento chiaro per monitorare e limitare il tempo digitale.

Si tratta di un provvedimento che rompe gli indugi in un Paese dove, fino ad oggi, le amministrazioni si erano limitate a raccomandazioni e linee guida. Toyoake diventa così la prima città giapponese a trasformare il dibattito sulla dipendenza da smartphone in una regolamentazione concreta.

Dipendenza digitale: un nuovo allarme sociale

Secondo i dati discussi in consiglio, la maggioranza degli adolescenti della città utilizza lo smartphone ben oltre le due ore quotidiane, spesso durante la notte. Chat, social network, streaming e videogiochi online rubano ore preziose al sonno e allo studio.

Gli effetti sono evidenti: calo del rendimento scolastico, aumento dell’assenteismo, difficoltà di concentrazione e, nei casi più gravi, isolamento sociale. Gli psicologi parlano di “sindrome da connessione continua”, un fenomeno che non riguarda più solo la gestione del tempo libero ma la salute mentale ed emotiva delle nuove generazioni.

Libertà individuale o salute pubblica?

L’ordinanza di Toyoake solleva un interrogativo cruciale: fino a che punto un’amministrazione locale può spingersi nel regolare comportamenti privati?

I sostenitori paragonano la misura a politiche già consolidate, come i limiti sull’alcol o il divieto di fumo nei luoghi pubblici. Per i critici, invece, si tratta di un’ingerenza eccessiva, destinata ad avere scarsa efficacia pratica: in un mondo iperconnesso, con tablet, console e laptop sempre a portata di mano, chi controllerà davvero il rispetto del limite?

La questione non è solo legale, ma culturale. Il provvedimento mette in discussione l’idea, radicata negli ultimi vent’anni, che la tecnologia sia un’estensione naturale e inevitabile della vita quotidiana.

Il Giappone e il confronto globale

Il problema sollevato da Toyoake non è esclusivamente giapponese. In Corea del Sud esistono già programmi governativi contro la dipendenza da internet e gaming. Negli Stati Uniti e in Europa cresce il dibattito sull’impatto dei social media sulla salute mentale degli adolescenti, con cause legali intentate contro colossi come Meta e TikTok.

In questo scenario, l’ordinanza di Toyoake si carica di un valore simbolico che va oltre i confini nazionali: per la prima volta, un ente locale affronta il nodo dell’uso eccessivo dello smartphone non solo come problema familiare, ma come questione di salute pubblica.

Reazioni contrastanti

Le prime reazioni riflettono un Paese diviso. Molti genitori e insegnanti accolgono positivamente l’iniziativa, vedendola come un supporto istituzionale a battaglie quotidiane spesso perse in partenza. «Avere una regola ci aiuta a fissare confini chiari», afferma una madre di due adolescenti.

Dall’altro lato, cresce lo scetticismo: i giovani potrebbero aggirare facilmente il limite utilizzando dispositivi multipli e resta incerto se una misura top-down possa davvero modificare abitudini ormai radicate. Alcuni analisti avvertono inoltre che il rischio è quello di creare una norma simbolica, più utile a generare dibattito che a cambiare comportamenti.

Una chiusura visionaria e critica

L’ordinanza di Toyoake è un atto pionieristico, ma anche un esperimento fragile. È il tentativo di rispondere a un problema reale con strumenti legislativi che, da soli, rischiano di non bastare. Eppure, il suo valore non sta solo nell’imposizione delle due ore, ma nel rompere un tabù: ammettere che il tempo trascorso sugli schermi non è solo una scelta privata, ma un tema di interesse collettivo.

La sfida sarà culturale più che normativa. Limitare l’uso non significa necessariamente educare e il rischio è che la misura diventi un alibi per non affrontare le cause profonde della dipendenza digitale: solitudine, pressione scolastica, mancanza di alternative di socializzazione reale.

Il futuro della salute digitale si giocherà qui: non nella quantità di ore passate sugli schermi, ma nella capacità delle società di ridefinire il rapporto tra tecnologia, benessere e comunità. Toyoake ha acceso la miccia. Ora resta da capire se il Giappone — e il resto del mondo — avranno il coraggio e la lucidità di portare avanti la discussione senza fermarsi alla superficie del problema.

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