Da anni Elon Musk annuncia l’arrivo imminente dei taxi senza conducente, ma i ritardi, le ambiguità comunicative e i vincoli normativi mettono in discussione la credibilità di un progetto che sostiene la valutazione da un trilione di dollari di Tesla.
Ogni anno la stessa promessa: i robotaxi Tesla stanno per arrivare. Ogni anno la stessa realtà: rinvii, test limitati e definizioni sempre più sfumate di cosa significhi davvero “guida autonoma”. Elon Musk continua ad alimentare la visione di una flotta driverless capace di rivoluzionare la mobilità, ma l’episodio della Baia di San Francisco ha mostrato quanto il confine tra innovazione e illusione possa essere sottile. Dietro la narrativa futurista, la domanda resta aperta: i robotaxi sono il prossimo grande passo dell’automotive o un miraggio costruito per sostenere l’hype finanziario di Tesla?
Promesse infinite, realtà in ritardo
Elon Musk non è nuovo a dichiarazioni che anticipano un futuro straordinario. Dal 2014 annuncia regolarmente che i robotaxi sarebbero stati operativi “entro l’anno successivo”. Oggi, nel 2025, il panorama non è cambiato: un piccolo test ad Austin, supervisionato da conducenti umani e annunci roboanti che rimandano sempre la data del debutto vero.
Questa dinamica non è priva di conseguenze. Per gli investitori, le promesse di Musk non sono semplici previsioni: sono la base narrativa di una capitalizzazione di mercato superiore a 1 trilione di dollari. È l’idea che Tesla non sia solo un costruttore di auto elettriche, ma la pioniera indiscussa della guida autonoma.
San Francisco: tra aspettative e disillusione
L’estate scorsa, Musk aveva indicato la Baia di San Francisco come il prossimo terreno di conquista. Ma alla prova dei fatti, la realtà è stata molto diversa. Tesla non aveva presentato alcuna domanda per i permessi necessari a gestire taxi autonomi in California — un processo che richiede anni di test e controlli.
Invece, l’azienda ha organizzato viaggi su prenotazione con auto guidate da esseri umani, destinate a pochi clienti selezionati, sotto una licenza normalmente usata per i servizi limousine. Niente ride-hailing on-demand, niente autonomia completa. Un progetto che, più che una rivoluzione, è sembrato un espediente per tenere viva la narrazione.
Regolatori in allarme
Le reazioni non si sono fatte attendere. Documenti ottenuti da Reuters mostrano come funzionari californiani e federali siano rimasti sorpresi e preoccupati dagli annunci di Tesla. Un alto dirigente statale chiese espressamente chiarimenti, parlando di “confusione pubblica” generata dalla comunicazione di Musk.
La risposta dell’azienda è stata evasiva: Tesla non risponde a domande dei media, si è limitato a dire un portavoce, e i clienti riceveranno informazioni “quando disponibili”. Nel frattempo, Musk twittava che l’area di servizio dei robotaxi Tesla era già più estesa di quella dei concorrenti.
La battaglia delle parole: cos’è davvero un robotaxi?
Il cuore del problema è semantico. Tesla ha iniziato a usare il termine “robotaxi” non per descrivere un servizio di veicoli senza conducente, ma anche per riferirsi alla funzione Full Self-Driving (FSD), che resta comunque un sistema di assistenza avanzata e non una guida autonoma.
Questa ambiguità ha un effetto immediato: alimenta l’entusiasmo degli investitori e mantiene vivo l’immaginario futurista. Ma crea anche un vuoto di trasparenza che i regolatori non possono ignorare. La California Public Utilities Commission è stata chiara: Tesla ha l’obbligo di distinguere con precisione tra servizi umani e servizi autonomi.
Una promessa che vale miliardi
Per Musk, i robotaxi non sono solo una promessa tecnologica: sono il cuore della narrativa finanziaria di Tesla. L’idea che milioni di auto elettriche possano trasformarsi in una flotta driverless capace di generare entrate ricorrenti giustifica gran parte della valutazione stellare della società.
Non a caso, anche il pacchetto retributivo proposto per Musk — uno dei più ricchi mai visti nella storia corporate — è legato a performance che includono proprio la realizzazione del progetto robotaxi. Ma a dieci anni dai primi annunci, ciò che resta tangibile sono solo test limitati e supervisionati.
La pressione del presente
La narrazione dei robotaxi si intensifica proprio mentre Tesla affronta difficoltà crescenti. Le vendite di veicoli elettrici mostrano segnali di rallentamento, i margini si assottigliano, la concorrenza cinese incalza. In questo scenario, Musk alza la posta: promette un’espansione a ritmo “iper-esponenziale” entro la fine dell’anno, con robotaxi capaci di servire metà della popolazione americana.
Ma queste affermazioni appaiono sempre più scollegate dalla realtà operativa. E alimentano un sospetto: che il robotaxi sia diventato non tanto un progetto industriale quanto uno strumento narrativo per difendere la quotazione di Tesla e consolidare il ruolo carismatico di Musk.
Visione o illusione?
Il caso dei robotaxi Tesla racconta più di una semplice vicenda aziendale: mostra la tensione tra visione e accountability in un’industria che sta ridefinendo il proprio futuro. Musk resta un visionario capace di catturare capitali e immaginazione globale, ma la distanza crescente tra promessa e realtà rischia di minare la fiducia stessa che alimenta Tesla.
La vera sfida non sarà solo tecnologica, ma culturale e politica: costruire fiducia pubblica in una tecnologia che chiede di affidare la nostra sicurezza a un algoritmo. Se Tesla continuerà a confondere narrativa e realtà, la parola “robotaxi” rischia di trasformarsi da simbolo di futuro a sinonimo di illusione.
Il prossimo decennio dirà se Musk sarà ricordato come il pioniere che ha reso reale la mobilità autonoma o come il leader che ha venduto un sogno troppo grande da realizzare. Nel frattempo, il futuro dell’autonomia non si giocherà più solo sulle strade, ma nella credibilità di chi promette di guidarci verso di esse.