Pechino mette il bavaglio ai social: Weibo e Kuaishou sotto accusa per gossip e contenuti futili

| 22/09/2025
Pechino mette il bavaglio ai social: Weibo e Kuaishou sotto accusa per gossip e contenuti futili

Il regolatore del web cinese ordina rettifiche immediate a due delle piattaforme più popolari del Paese. Nel mirino le liste dei trend, accusate di promuovere gossip e distrazioni. Una stretta che conferma la volontà di Xi Jinping di plasmare un cyberspazio “pulito” e politicamente conforme.

A Pechino, i trend non sono solo un passatempo digitale: sono barometri del consenso e strumenti di potere. Per questo, quando il Cyberspace Administration of China (CAC) ha deciso di colpire Weibo e Kuaishou, accusandole di alimentare gossip e contenuti frivoli, la notizia ha fatto subito il giro del mondo. Non è un episodio isolato, ma l’ennesima dimostrazione che, in Cina, il cyberspazio è prima di tutto un terreno di controllo politico, più che un’arena libera di espressione.

Un nuovo capitolo della regolamentazione digitale

Il CAC ha convocato i rappresentanti delle due piattaforme, ha emesso ammonimenti ufficiali e ha imposto rettifiche entro scadenze precise. Una prassi che non sorprende chi segue da vicino l’evoluzione dell’ecosistema digitale cinese: negli ultimi anni, ogni grande piattaforma ha subito una forma di “rieducazione regolatoria”, spesso con pesanti conseguenze sul valore di mercato e sulla governance aziendale.

Dietro la misura, c’è la volontà di riaffermare un principio cardine: in Cina, la tecnologia è subordinata alla politica. La crescita non è mai totalmente libera, ma condizionata dall’allineamento alle priorità del Partito-Stato.

Gossip sotto accusa: il potere dei trending topics

Il cuore delle critiche riguarda i trending topics, considerati dalle autorità troppo spesso dominati da gossip su celebrità, scandali e vicende private. Se per un osservatore esterno possono sembrare contenuti banali, per Pechino rappresentano invece un problema politico.

I trend sono strumenti in grado di mobilitare milioni di utenti, orientare conversazioni e — in casi estremi — dare voce a malcontenti collettivi. Lasciare che la sfera pubblica digitale si concentri su temi frivoli significa, agli occhi del governo, perdere il controllo della narrazione nazionale. Da qui l’imposizione di un cyberspazio “più sano”, privo di ciò che viene percepito come rumore o distrazione.

La risposta delle piattaforme: conformismo senza alternative

Weibo e Kuaishou hanno risposto con comunicati fotocopia: “accettano sinceramente” le critiche, riconoscono le proprie responsabilità e annunciano la creazione di task force interne per guidare le rettifiche.

È un copione già visto: il linguaggio della sottomissione, che riflette non tanto una scelta strategica quanto una condizione necessaria per continuare a operare. In un mercato dove il margine di dissenso è inesistente, la sopravvivenza aziendale passa per l’obbedienza.

Pressioni a tutto campo: e-commerce e oltre

Il richiamo del CAC arriva poche ore dopo l’apertura di un’indagine da parte del regolatore del mercato sull’unità e-commerce di Kuaishou, accusata di violare la legge nazionale sul commercio digitale. È un segnale inequivocabile: i colpi arrivano da più direzioni, con l’obiettivo di mettere sotto pressione l’intero conglomerato.

La Cina ha già dimostrato di saper sacrificare persino i propri campioni nazionali, come avvenne nel 2020 con lo stop all’IPO record di Ant Group, quando la finanza digitale di Jack Ma divenne troppo potente e troppo autonoma. L’episodio Weibo-Kuaishou si inserisce nello stesso solco: ricordare che nessuna piattaforma, per quanto popolare, è al di sopra della volontà politica.

Xi Jinping e la dottrina del cyberspazio “pulito”

L’intervento si inserisce nella cornice ideologica tracciata da Xi Jinping, che da anni porta avanti la campagna per un cyberspazio “pulito e ordinato”, coerente con i valori del socialismo con caratteristiche cinesi.

Dietro questa formula si cela un doppio obiettivo: da un lato, proteggere la società da contenuti ritenuti volgari o destabilizzanti; dall’altro, consolidare il potere centrale attraverso un controllo sempre più pervasivo delle narrazioni digitali. Il cyberspazio, nell’ottica di Xi, è un’estensione della sovranità nazionale e non un terreno neutrale di libero scambio di idee.

Impatti economici e geopolitici

Per gli investitori internazionali, le nuove misure sono un monito: in Cina, la volatilità politica pesa più dei fondamentali di mercato. Ogni stretta può avere effetti immediati sul valore delle società quotate a Hong Kong o a Wall Street, alimentando incertezza e riducendo l’appeal delle Big Tech cinesi.

Sul piano geopolitico, invece, la mossa rafforza il messaggio che la Cina non intende adottare modelli occidentali di governance digitale. Mentre in Europa e negli Stati Uniti il dibattito si concentra su regolamentazione, privacy e concorrenza, Pechino ribadisce che il controllo politico viene prima di ogni altro criterio.

Il paradosso delle Big Tech cinesi

Il caso Weibo-Kuaishou mostra in maniera plastica il paradosso delle Big Tech cinesi: aziende all’avanguardia, capaci di innovare modelli di business e conquistare miliardi di utenti, ma vincolate a una cornice politica che limita la loro libertà d’azione.

La domanda che si pongono analisti e investitori è semplice e al tempo stesso cruciale: può la Cina restare competitiva a livello globale mantenendo un cyberspazio rigidamente sorvegliato?

La risposta non è scontata. Per ora, l’equilibrio cinese si regge su un compromesso fragile: innovazione sì, ma sempre entro i confini stabiliti dal Partito-Stato. Se questo compromesso reggerà, la Cina continuerà a dominare parti fondamentali dell’economia digitale. Se invece inizierà a soffocare la creatività e la spontaneità che alimentano l’innovazione, il Paese rischia di trovarsi davanti al limite strutturale del proprio modello.

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